Giacomo03

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Povertà e ricchezza come prova della fede

La fede cristiana che professiamo è messa alla prova dalle molteplici situazioni in cui ci troviamo a vivere. Si tratta spesso di dure prove, come quando ci troviamo in condizioni di acuta sofferenza.

La nostra fede è in grado di resistere ciononostante, anzi, è in grado, la nostra fede, di trasformare la situazione che stiamo vivendo o anche solo il nostro atteggiamento verso di essa? Oppure la nostra fede è soltanto un'opinione irrilevante che non ci distingue affatto da coloro che non la condividono? Lo dovrebbe.

Questo è ciò che particolarmente mette in rilievo la lettera di Giacomo, quella che stiamo esaminando in questa serie di riflessioni. La volta scorsa abbiamo messo in rilievo come la prova non sia ...uno sgradito incidente, ma come essa debba essere considerata, nella vita del cristiano, uno dei mezzi di cui Dio si avvale per forgiare il nostro carattere e farci procedere verso l'obiettivo che Egli si propone di raggiungere in noi e con noi. Per affrontare queste prove e prevalere su di esse, abbiamo bisogno di conoscere quali siano le risorse, gli strumenti, che Dio mette a nostra disposizione e che dobbiamo fiduciosamente chiedergli in preghiera.

Fra le svariate prove che noi dobbiamo affrontare nel nostro cammino cristiano, l'apostolo Giacomo menziona quelle che riguardano la specifica condizione economica e sociale in cui come cristiani ci troviamo, sia essa di povertà oppure di ricchezza. Carenza o abbondanza di risorse materiali, o una qualsiasi via di mezzo, così come lo è la nostra condizione sociale, indubbiamente mettono alla prova in diversa maniera nostra fede e potrebbero costituire un ostacolo sul nostro cammino cristiano, oppure giungere persino ad allontanarci dall'obiettivo al quale ci chiama la vocazione cristiana, l'Evangelo di Cristo.

Allora come oggi, infatti, Iddio chiama alla fede in Cristo persone di diversa estrazione sociale e mezzi. Già lo vediamo dal tipo di persone che Gesù, durante il Suo ministero terreno, chiama a seguirlo, così come di diversa estrazione sociale e condizioni economiche erano coloro che costituivano le prime comunità cristiane. Si tratta di una questione rilevante sulla quale la lettera di Giacomo ritorna, e che non solo si trova nei versetti che esaminiamo oggi.

Ecco allora la domanda: in che modo manifestiamo la nostra fede cristiana quando ci troviamo in condizione di ristrettezze economiche oppure in condizione di ricchezza ed abbondanza?

Il testo biblico e il suo contesto

I versetti da 9 a 11 del primo capitolo della lettera di Giacomo dicono:

"Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione; e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese".

Questo testo, per i termini che esso usa e per il modo in cui lo traduciamo dalla lingua originale, non è di facile interpretazione.

Vi sono commentatori che dicono come esso riguardi le prove che subentrano quando, per qualche motivo, la condizione economica e sociale di un cristiano cambia e passa da povertà a ricchezza, come pure da ricchezza a povertà. Nel primo caso la domanda sarebbe: Come deve reagire un cristiano quando passa da una "umile condizione" ad una di ricchezza? Per "elevazione", intendiamo qui un salire di livello economico e sociale. Il secondo caso riguarda il cristiano benestante che, per svariati motivi, passa da una condizione di ricchezza a quella di povertà, intendendo per "umiliazione" come un abbassamento di livello economico e sociale. La domanda, per lui, sarebbe: Come deve reagire un cristiano quando passa da una condizione economicamente e socialmente elevata ad una inferiore? Potrebbe, infatti, anche per circostanze non dipendenti da lui, perdere le ricchezze ed il prestigio che aveva prima e talvolta persino a causa delle scelte che la sua fede gli impone! Sia povertà che ricchezza sono indubbiamente fonte di innumerevoli tentazioni per il cristiano.

Altri commentatori (la maggior parte) interpretano il testo, per quanto riguarda il cristiano di umili condizioni, come l'esortazione che l'apostolo fa a considerarle in prospettiva evangelica. Dio, infatti, attraverso tutta la rivelazione biblica e soprattutto in Cristo, sicuramente mostra come Egli scelga e privilegi, come membri del Suo popolo, soprattutto i poveri, gli emarginati, coloro che nel mondo non sono considerati. Sono "gli umili" (in tutti i sensi) quelli che Egli sceglie di benedire ed elevare. D'altro canto i ricchi, quando sono chiamati a far parte del popolo di Dio, sono esortati a "umiliarsi", a relativizzare l'importanza dei beni terreni che possiedono, mettendoli al servizio della causa di Cristo.

Si discute poi (perché non è del tutto chiaro nel testo) se i ricchi di cui parla siano di fatto, dei cristiani benestanti, oppure dei ricchi increduli. Sicuramente questa seconda interpretazione, quella che consola i poveri e ammonisce i ricchi, è la più "classica" (di essa vi sono numerosi precedenti nell'insegnamento biblico), ma non priva di problemi. E' chiaro, però, che, comunque si guardi questo testo, che ci troviamo di fronte ad un discorso fatto a cristiani che devono chiedersi, nelle più diverse circostanze in cui si trovano, "In che modo reagisco di fronte ad esse? Si tratta di un modo coerente con la mia professione di fede?". Nel caso di oggi, si considerano le loro condizioni economiche o prestigio: povertà o ricchezza, oppure quando si passa da una condizione all'altra. "Nella situazione che sto vivendo, in che modo la mia fede si manifesta e 'fa differenza'? In che modo questo è una prova della mia fede, superando la quale io procedo più speditamente verso una più grande mia somiglianza con Cristo?".

Esaminiamo, così, la problematica specifica che questo testo di pone davanti.

1. Il credente povero deve gloriarsi delle sue eterne ricchezze in Cristo

Giacomo ci propone in questo testo un paradosso che, di fatto, livella le differenze fra ricchi e poveri nella chiesa. Egli dice che i poveri sono ricchi ed i ricchi sono poveri. Egli non perora qui in alcun modo una qualche forma di ridistribuzione forzata o volontaria che sia della ricchezza, ma mostra come nell'ambito della comunità cristiana, le distinzioni sociali che vi sono in questo mondo - prestigio per i ricchi e insignificanza per i poveri - non sussistono (cfr. 2:1-7).

Da notarsi come tutto questo si contrapponga all'eresia del cosiddetto "vangelo della salute e della ricchezza". Giacomo non dice che il fratello povero debba pretendere da Dio "per fede" lussi e ricchezze perché gli sarebbero garantiti dalle promesse di Dio, "se solo li chiede". Questa è una perversione della Parola di Dio che si avvale di promesse malintese per far appello alla naturale avidità delle sue vittime.

Il tema della ricchezza e della povertà è intessuto in tutta la lettera di Giacomo (1:9-11; 2:1-7, 15-16; 5:1-6) e riflette l'insegnamento sia dell'Antico Testamento che di Gesù. Giacomo fa convergere tre elementi:

1. Dio ha una considerazione particolare per i poveri (Salmo 68:5; Deuteronomio 10:18). E' così che Giacomo rileva in 2:5: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?".

2. Proprio perché Dio ha verso i poveri questa considerazione, il Suo popolo dovrebbe pure rifletterla, ad esempio, rispetto ai migranti: "Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto" (Deuteronomio 10:19). E' così Giacomo dice che uno degli aspetti della religione autentica è "soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni" (1:27), tanto che una professione di fede che ignori i bisogni fisici dei fratelli e delle sorelle in fede non può essere considerata autentica: "Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?" (2:15-16).

3. L'Antico Testamento talvolta associa i poveri con gli umili ed i giusti ed i ricchi con i malvagi oppressori, facendo così convergere lo spirituale con l'economico  (Salmi 10; 37:8-17; 72:2,4). Gesù lo fa nelle Beatitudini quando dice: "Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro ... ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione" (Luca 6:20,24). Egli condanna i ricchi che si avvantaggiano a scapito dei poveri. Sarebbe sbagliato, però, presumere che la Bibbia identifichi automaticamente i poveri con i giusti ed i ricchi con i malvagi. La Bibbia ci parla di molte persone ricche che seguono fedelmente il Signore: Abraamo, Giobbe, Davide, Salomone, Zaccheo ed altri. Hanno certo maggiori tentazioni, ma non appartengono meno degli altri al popolo di Dio.

Bisogna anche dire che, nella Bibbia, la ricchezza è una benedizione che spesso Dio conferisce al saggio, mentre la povertà spesso è il risultato del peccato o della pigrizia (Proverbi 3:16; 10:4; 14:23-24).

Benché la Bibbia mostri come la ricchezza possa essere un segno della benedizione di Dio, essa ammonisce pure sui suoi pericoli. Chi desidera arricchirsi cade facilmente in trappole spirituali (1 Timoteo 6:9-10). I ricchi sono spesso proni all'arroganza ed all'avidità (Proverbi 28:11; 15:27). Spesso non vedono il bisogno che hanno di Dio perché confidano troppo nelle loro risorse (Proverbi 11:28). La vita sembra loro buona, non hanno bisogni ed essi ignorano il fatto ovvio che le ricchezze non servono di fronte all'inevitabilità della morte (Proverbi 11:4).

La Bibbia pure mostra come pure la povertà sia ambivalente. Può essere il risultato dell'ignorare le vie di Dio (Proverbi 13:8,18). Può essere una rovina (Proverbi 10:15), distruggere i rapporti umani (Proverbi 19:4,7) e la propria indipendenza (Proverbi 22:7). Può divenire una tentazione a rubare (Proverbi 30:7-9). Spesso, però, i poveri hanno maggiore integrità e dignità, cosa di cui i ricchi altrettanto spesso mancano (Proverbi 19:1; 28:6,11).

Il Signore Gesù non benedice la povertà in sé stessa: l'ideologia del pauperismo, l’ideale di povertà professato da alcune comunità cristiane, come gli Ordini mendicanti (soprattutto nel basso medioevo), e l’effettivo stato di povertà in cui esse, per libera scelta, vivevano, può essere considerato una discutibile radicalizzazione della prospettiva evangelica.

Gesù parla dei Suoi discepoli di allora. Sono poveri e sanno di essere privi di risorse. Confidano in Dio e devono confidare in Lui perché non hanno nulla in sé stessi in cui confidare. I ricchi di questo mondo confidano in sé stessi e spesso delle loro risorse ne fanno un idolo, tanto che raramente sono disposti a rinunciarvi per mettere Cristo al primo posto. Gesù stesso afferma, dopo che un Suo potenziale discepolo benestante Gli volta le spalle: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» (Marco 10:23). Non così i poveri. La povertà può essere un vantaggio sulla ricchezza se essa mostra ad una persona il bisogno che ha di Dio, il quale riversa le Sue benedizioni a coloro che Lo invocano.

In questa prospettiva, Giacomo dirige l'attenzione del cristiano povero alla gloria della sua posizione: la sua ricchezza spirituale che acquisisce in Cristo. Quando una persona che, priva di ciò che il mondo considera importante, confida in Cristo come suo Salvatore e Signore, istantaneamente diventa erede di grandi fortune spirituali. Diventa "figlio del Re dei re" ed ha accesso a tutte le risorse del Re. Paolo rappresenta il credente come seduto in cielo con Cristo Gesù (Efesini 2:6). Paolo ripetutamente si riferisce al credente come "in Cristo", a significare che tutto ciò che è vero per Cristo è vero per chi confida in Lui. Ai Corinzi dice: "tutto vi appartiene ... il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro!" (1 Corinzi 3:21-22). Dice che se siamo figli di Dio "siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo" (Romani 8:17). Giacomo dice ai credenti poveri di rallegrarsi di queste preziose verità.

Gli scettici, non avendo idea alcuna della realtà della verità spirituale, si prendono generalmente gioco di Giacomo e di quei cristiani che le affermano, dicendo magari che la cosa "è troppo comoda" e che essa certo non provvede loro il cibo, il vestiario ed il tetto di cui avrebbero bisogno, che si tratta di ben magre magre ed illusorie consolazioni, magari usate da coloro che i beni di questo mondo li vorrebbero solo riservare a sé stessi. Questo modo di vedere le cose, però, sorge da un modo di ragionare materialistico ed ignora il fatto che il bisogno di fondo della creatura umana è di carattere spirituale, non materiale, quale che sia la condizione economica.

Giacomo è consapevole delle critiche che potrebbero essergli rivolte e sottolinea il dovere della concreta solidarietà nell'ambito della comunità cristiana a chi è nel bisogno (un'altra prova della fede!): "Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?" (2:15-16). Paolo, però, dice: "...avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti" (1 Timoteo 6:8), insegnando ai cristiani, in questo modo, la virtù del sapersi accontentare. La Bibbia ci chiama a credere che le nostre ricchezze spirituali in Cristo sono una realtà, un fatto. Le ricchezze materiali, per quanto necessarie (se usate secondo i principi della Parola di Dio) sono illusorie: esse evaporano, svaniscono, davanti ai nostri occhi.

Che significa (per un cristiano di umile condizione) essere fiero, gloriarsi della sua posizione in Cristo? Negativamente, che non deve gloriarsi di nulla che possa essere un proprio vanto, merito o proprietà inalienabile. Paolo ci rimprovera dicendo: "Infatti, chi ti distingue dagli altri? E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se tu non l'avessi ricevuto?" (1 Corinzi 4:7). Se, infatti, tutto ciò che abbiamo deriva dal favore immeritato di Dio verso di noi, allora perché ci inorgogliamo come se se la nostra supposta superiorità venisse da noi stessi? Cristo non è morto per noi perché noi ne eravamo degni, ma "mentre eravamo ancora peccatori" (Romani 5:8).

In positivo possiamo di fatto gloriarci nel Signore, attribuire a Lui ogni gloria. Come dice Paolo in 1 Corinzi 1:26-31 "Fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono ... affinché, com'è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore»".

Se fossimo salvati per nostra scelta avremmo di cui vantarci, ma la salvezza è tutta opera di Dio, a cominciare dalla Sua scelta sovrana di tirarci fuori dal pantano del peccato: mi posso gloriare solo del Signore (cfr. Galati 6:14).

2. Il ricco si deve gloriare della sua umiliazione in Cristo

Abbiamo già menzionato che non è del tutto chiaro se l'uomo ricco di cui parla Giacomo sia un cristiano oppure un non credente. I commentatori sembrano dividersi su questo punto in parti uguali. Se si riferisce ad un ricco non-credente, allora il versetto 10 diventa una forte ironia o sarcasmo: "Che l'uomo ricco si glori del fatto che fra non molto diventerà pasto dei vermi... Si dà così tanto da fare per accumulare ricchezze senza rendersi conto che ben presto saranno appassite come un fiore reciso", riferendosi così al giudizio finale a cui anche lui sarà un giorno sottoposto. L'interpretazione ha sicuramente i suoi meriti ed ha nella Bibbia molti precedenti, come la parabola che Gesù racconta del ricco stolto

«La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'". Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio» (Luca 12:16-21). 

Sembra però più probabile che Giacomo si riferisca a quei cristiani benestanti che sono stati chiamati a far parte del popolo di Dio ed essi hanno accolto con piacere questo invito. Giacomo li menziona, infatti in 2:2-3 "Infatti, se nella vostra adunanza entra un uomo con un anello d'oro, vestito splendidamente", come pure i cristiani che viaggiano per affari e si vantano dei loro progetti di fare dei profitti (4:13-16). In questa prospettiva l'esortazione vede sia la povertà come la ricchezza come una prova della nostra fede (1:12). Un cristiano con molte risorse, infatti, deve "umiliarsi" nel senso di considerarne la relatività e, soprattutto, come Zaccheo, ravvedersi allorché quelle ricchezze siano frutto di ingiustizia.

"Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto" (Luca 19:8-10).

I poveri sono tentati dalla loro povertà e dell'invidia a dedicarsi al perseguimento ad ogni costo della ricchezza. Essi possono essere tentati a sentirsi abbandonati, dimenticati da Dio, a causa della loro povertà e lamentarsene. Giacomo, così, li esorta a focalizzarsi sulle ricchezze spirituali che hanno conseguito in Cristo, mentre la diaconia della comunità cristiana deve sovvenire ai loro bisogni. Come quando, nel libro degli Atti, troviamo i cristiani che, sia a livello individuale che comunitario, si occupano delle vedove prive di risorse: "Se qualche credente ha con sé delle vedove, le soccorra. Non ne sia gravata la chiesa, perché possa soccorrere quelle che sono veramente vedove" (1 Timoteo 5:16).

I ricchi sono tentati a gloriarsi della loro ricchezza e prestigio sociale, quello che proviene dal loro successo finanziario. Giacomo dice loro di gloriarsi, piuttosto, nel loro "abbassamento" in Cristo. La loro ricchezza non li pone su un livello diverso e più alto dei credenti poveri. Le loro ricchezze materiali appartengono solo a questa vita temporanea. Il loro denaro ben presto svanirà. Qualcuno ha detto pensando al gioco degli scacchi: "Quando il gioco è finito, il re e il pedone vanno a finire nella stessa scatola". La dimora dei ricchi, le loro proprietà, i loro titoli in borsa ecc. non significheranno più nulla nella loro tomba. Il cristiano benestante, quindi, non deve seguire il mondo, gloriandosi delle sue ricchezze. Al contrario, egli deve gloriarsi di essere "abbassato" alla sorte comune di tutta l'umanità di aver bisogno del Salvatore Gesù Cristo, alla necessità di dover rinunciare a qualsiasi pretesa (materiale, culturale, spirituale) come se fosse "spazzatura".

L'apostolo Paolo afferma: "...a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo" (Filippesi 3:8).

Un messaggio per ciascuno di noi

Qualcuno potrebbe così pensare che questo testo, parlando dei ricchi, parli dei famosi industriali oppure degli attori famosi, delle "celebrità" che vengono messe in evidenza dai mass-media. Dobbiamo però applicare questo testo a noi! In che modo possiamo gloriarci della nostra umiliazione?

1. In primo luogo possiamo gloriarci del fatto che Dio ci ha aperto gli occhi sulla vanità delle ricchezze e della celebrità mondana. Viviamo forse in funzione di beni materiali o culturali, oppure fama e popolarità mondana? Tutto questo, però, è del tutto futile. Invidiamo forse "i ricchi ed i famosi", oppure diciamo: "Quanto è tragica la loro vita! Questa gente vive per vanità e vacuità e non ha ciò che veramente conta davanti a Dio!".

2. In secondo luogo possiamo gloriarci del fatto che Dio ci ha mostrato che cosa sia l'essenza della felicità autentica e dell'onore. Vera felicità è conoscere Dio. Vero onore è essere al servizio del Signore Gesù Cristo. "Così parla il SIGNORE: «Il saggio non si glori della sua saggezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza: ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono il SIGNORE. Io pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, perché di queste cose mi compiaccio», dice il SIGNORE" (Geremia 9:23-24).

3. In terzo luogo possiamo gloriarci del fatto che per grazia ci è stata data un'eredità eterna che non ci sarà mai tolta. Il Salmo 49 si prende gioco del ricco che congratula sé stesso per ciò che possiede e pensa che la sua fama durerà per sempre. Il Signore però gli dice, senza tanti giri di parole: "Ma anche tenuto in grande onore, l'uomo non dura; egli è simile alle bestie che periscono" (Salmo 49:12). I credenti, però sono destinati: "...per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per noi" (1 Pietro 1:4).

Per gran parte di noi occidentali la crisi economica, la perdita di quelle risorse di cui bene o male godevamo nel "boom economico" può essere salutare perché ci richiama a ciò che più conta, al Signore Gesù ed ad una maggiore maturità spirituale, benedizioni e soddisfazioni, quelle di cui tanti cristiani "del terzo mondo" sono ricchi e delle quali noi drammaticamente manchiamo. E' a quel punto che "ricchi" e "poveri" sono esattamente simili. Né ciò che materialmente possediamo, né ciò di cui materialmente manchiamo può essere un "valore ultimo". Ciò che contra è un creativo rapporto di fiducia con il Signore Gesù, che, impartisce ai Suoi discepoli ricchezze spirituali che giammai diminuiranno o mancheranno di soddisfare. Le prove sono "il grande equalizzatore" perché portano tutti i figlioli di Dio a dipendere solo da Lui. La ricchezza materiale non porta più vicino a Dio, né la povertà Lo tiene più lontano.

"Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione; e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese".

Domande per la discussione

  • In che modo le prove sono strumenti che Dio usa per forgiare il nostro carattere cristiano?
  • Quali strumenti Dio ci mette a disposizione per prevalere nelle prove?
  • In che senso l'umile condizione è "elevazione" nella prospettiva cristiana?
  • In che senso, nella prospettiva cristiana, la persona benestante è "umiliata"?
  • In che modo la gente reagisce quando improvvisamente cade dal benessere alla povertà o dalla poverà al benessere?
  • In che modo vengono considerate le persone di umili condizioni e le ricche nell'ambito della comunità cristiana, e della vostra in particolare?
  • Perché il cosiddetto "vangelo della salute e della ricchezza" è una perversione dell'Evangelo?
  • In che modo nella prospettiva biblica gli umili sono privilegiati? In che senso si intende questa "umiltà"?
  • In che modo anche noi siamo chiamati a privilegiare gli umili?
  • L'equazione ricchi con ingiusti oppressori è sempre corretta?
  • In che modo talvolta nella Bibbia la povertà è considerata frutto di pigrizia e di peccato?
  • E' giusto aspettarsi aiuto dallo Stato quando si è nel bisogno?
  • In che modo la comunità cristiana deve occuparsi dei poveri?
  • Che cos'è l'ideologia del pauperismo e perché è altrettanto sbagliata?
  • Quali sono le ricchezze spirituali che il cristiano trova in Cristo?
  • Quand'è che "è troppo comodo" che i cristiani benestanti dicano a quelli poveri che le ricchezze spirituali sono più importanti?
  • Che significa (per un cristiano di umile condizione) essere fiero, gloriarsi della sua posizione in Cristo?
  • Spiega che cosa insegna Gesù nella parabola del ricco stolto (Luca 12_16-21).
  • Che cosa insegna l'episodio della conversione di Zaccheo? (Luca 19:8-10).
  • Quali particolari tentazioni hanno i poveri?
  • Quali particolari tentazioni hanno i benestanti?

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