Giacomo02

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La fede alla prova delle difficoltà

La lettera dell'apostolo Giacomo, come abbiamo osservato la scorsa volta nell'introduzione a questo studio biblico, appare essere, rispetto alle lettere degli altri apostoli, una lettera eminentemente pratica, cioè meno dottrinale, meno teorica. In essa troviamo cinque capitoli e 108 versetti, e in questi 108 versetti vi sono ben 54 imperativi, comandi ed incoraggiamenti di vita pratica.

Nel cristianesimo teoria e prassi vanno sicuramente sempre assieme. Il Signore Gesù Cristo non era un accademico che insegni teorie dall'alto della sua cattedra, o un filosofo che speculi sui "massimi sistemi" oppure anche un leader religioso che pontifichi dalla finestra dei suoi lussuosi palazzi. Gesù era "l'Emmanuele", cioè "Dio con noi" per il quale il regno di Dio che predicava e viveva consiste tanto "nell'aldiqua" come nell'aldilà: due realtà in sostanziale continuità. Ai Suoi discepoli, soprattutto, Egli stesso era di esempio: "Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri" (Giovanni 13:14). Nel cristianesimo la conoscenza delle "profondità di Dio" (1 Corinzi 2:10) si sposa sempre alla concretezza ed estensione dell'amore: "la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo" (Efesini 3:18).

L'apostolo Giacomo, nella lettera che è diventata parte delle nostre Sacre Scritture come ispirata Parola di Dio, sembra particolarmente interessato a contrastare una tendenza già allora presente fra i cristiani, vale a dire, a concepire l'Evangelo come un "salvarsi l'anima" che si disinteressa di questo mondo e del modo in cui noi viviamo. L'apostolo Giacomo, infatti, esprime in termini inequivocabili come la fede cristiana comporti tangibili evidenze nel nostro modo di pensare, di parlare e di agire, tanto da essere necessariamente un riconoscibile "stile di vita". La sua lettera, infatti, può riassumersi nel suo versetto chiave: "Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta ", indicando con questo come una fede che non si manifesti concretamente nella prassi sia inconsistente, una professione di fede falsa.

Oggi considereremo quanto l'Apostolo scrive nel capitolo 1 dal versetto 2 al 7.

"(2) Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,  (3)  sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. (4) E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti. (5)  Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.  (6)  Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.  (7)  Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, (8)  perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie".

Identifico in questo testo almeno tre insegnamenti di fondo: (1) Come reagire di fronte alle oggettive difficoltà che, come cristiani, incontriamo nel mondo; (2) la vita cristiana come una scuola in cui il nostro carattere viene forgiato: (3) la completa fiducia che noi dobbiamo avere in Dio che, quando si fa carico della nostra vita, "sa quello che sta facendo" e ci rende disponibili tutte le risorse che ci mancano realizzare la nostra vocazione.

Le difficoltà dell'essere cristiani

La vita dei cristiani del primo secolo ed ai quali per primi questa lettera era destinata, era particolarmente dura. La conversione al Signore e Salvatore Gesù Cristo non li aveva portati ad assumere una credenza privata come le altre fra quelle che erano "acquistabili" nel pure allora grande "supermercato delle religioni". La fede cristiana "vissuta" costituiva una minaccia all'ordine costituito della società in cui vivevano tanto da suscitare militante opposizione e persecuzioni, come si può vedere anche solo dalla lettura dei capitoli da 8 a 12 del libro degli Atti.

Ci si potrebbe indubbiamente chiedere in che modo possa mai costituire una minaccia all'ordine costituito una fede che, credendo un un Dio fattosi uomo e risorto dai morti, mirasse "semplicemente" a rendere la gente più amorevole e servizievole... I primi cristiani non ambivano a sovvertire lo Stato e a prendere il potere con la forza e certo non andavano in giro a compiere atti di terrorismo. Eppure, la fede cristiana li rendeva anticonformisti e critici, non solo verso sé stessi, ma anche verso la società in cui vivevano. Inoltre, la fede cristiana li rendeva non facilmente manipolabili dall'establishment politico che non esitava a sfruttare la religione (pagana) per fini politici e commerciali. Molti che erano giunti alla fede cristiana si erano ritrovati, così, a dover fuggire dai loro paesi per salvarsi la vita!

Possiamo comprendere così lo sgomento dei neo-convertiti che immaginiamo inviare messaggi alla "chiesa madre" di Gerusalemme ed a Giacomo, suo conduttore, per informarlo su che cosa stava accadendo e dirgli qualcosa del tipo: "Ora che siamo diventati cristiani, guardate che cosa ci sta capitando! Difficoltà di ogni genere! Difficoltà in noi stessi, difficoltà nelle nostre famiglie, difficoltà nella società in cui viviamo! Come dobbiamo considerare tutto questo?".

Giacomo dice loro che le difficoltà di cui parlano (e che anche lui stesso e i cristiani di Gerusalemme soffrivano) debbono essere ben considerate, rese oggetto di attenta riflessione, in primo luogo come aventi la caratteristica di "prova". Il termine originale usato qui per "prova" è πειρασμός, lo stesso termine usato per indicare sia "tentazione" che "calamità" ed "infermità, afflizione". Il contesto ci fa escludere che Giacomo qui parli di "tentazione a peccare" o di "infermità" (cosa di cui parlerà più tardi nella stessa lettera), quanto piuttosto il fatto che le loro afflizioni devono essere considerate alla stregua di un "test" sia per comprovare la genuinità della loro fede che per forgiare il loro carattere cristiano sia individuale che come chiesa.

Da rilevare come la traduzione italiana qui non sia del tutto adeguata. Giacomo non parla delle afflizioni come di una "possibilità teorica", come se dicesse: "se dovessero capitarvi", "se vi trovaste in condizione di soffrire", "se vi doveste imbattere", "se doveste essere coinvolti", ma "allorché cadrete - ed è certo - tanto da essere completamente circondati da difficoltà di ogni genere" come conseguenza della vostra fede, allora queste difficoltà saranno "una controprova" della genuinità della vostra fede! E' lo stesso discorso delle "opere", dei "frutti", come conseguenza necessaria di una fede autentica. Gesù disse: "Ricordatevi della parola che vi ho detto: 'Il servo non è più grande del suo padrone'. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Giovanni 15:20); come pure: "Chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo" (Luca 14:27), o ancora: "Quanto stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita! E pochi sono coloro che la trovano!" (Matteo 7:14).

L'apostolo Paolo stesso parla delle sue personali difficoltà nel lottare interiormente contro la sua vecchia natura che spesso faceva capolino in lui, delle sue infermità fisiche, come pure spesso delle aperte persecuzioni che subiva nella sua opera missionaria. Fra i tanti esempi di difficoltà a motivo della propria fedeltà a Dio che troviamo anche nell'Antico Testamento, potremmo citare le conseguenze sociali dell'integrità e della valenza del patriarca Giuseppe in Egitto, oppure del profeta Daniele. Daniele, in particolare, viene apprezzato in Babilonia come bravo politico ed amministratore, ma subisce il boicottaggio e la persecuzione dell'invidia di altri e per questo viene condannato facendolo cadere in una fossa dove si trova circondato da leoni pronti a sbranarlo. Viene però miracolosamente soccorso e vendicato (Daniele 6). 

Tutte queste prove devono essere attentamente valutate e considerate non come disgrazie ma, nelle mani di Dio, come finalizzate a qualcosa di positivo sia per noi stessi che per gli altri.

La cosa sicuramente più stupefacente è che Giacomo indica queste prove come un'opportunità di grande gioia, o, come traducono altre versioni italiane, di "perfetta letizia". Queste prove possono essere considerate "un argomento di completa allegrezza", di "pura gioia". Qualcuno potrebbe osservare: "Con che coraggio Giacomo può dire queste cose? Che cos'è? Un masochista, forse?". Eppure ogni difficoltà a motivo della nostra fede, ogni afflizione, e persino la malattia può essere considerata da una prospettiva del tutto diversa da come il mondo guarda ad esse. Possiamo guardarle dalla prospettiva di Dio in favore e non contro il Suo popolo. Possiamo guardare a tutto questo rispetto alla finalità ultima delle prove ed afflizioni. L'apostolo Paolo scrive: "Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati" (Romani 8:28-30). 

A questi versetti di Giacomo che abbiamo trattato aggiungiamo anche, nello stesso capitolo, il versetto 12: "Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano".

Può essere questo motivo di gioia? Sicuramente. Considerate tutto questo come cosa di cui rallegrarvi. Non dovete considerarlo un castigo, una maledizione o una calamità, ma come cosa di cui felicitarsi!

E' lo stesso discorso che pure fa l'apostolo Pietro nella sua prima lettera, dove parla de "l'incendio che divampa in mezzo a voi" o "prova di fuoco": 

"Carissimi, non vi stupite per l'incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome. Infatti è giunto il tempo in cui il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al vangelo di Dio? E se il giusto è salvato a stento, dove finiranno l'empio e il peccatore? Perciò anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio affidino le anime loro al fedele Creatore, facendo il bene" (1 Pietro 4:12-19).

2. Prove per forgiare il carattere cristiano

Una delle finalità principali della prova Giacomo la indica nei versetti successivi: "...sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.  E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti" (3-4). Tutto questo va nella linea dell'intendere la vita cristiana come "una scuola di vita" in cui il carattere viene forgiato, sia il carattere del singolo cristiano, che il carattere della comunità cristiana impara da tutte le sue esperienze e cresce moralmente e spiritualmente, ed anche di numero, come si è più volte dimostrato nel corso della storia: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” (Tertulliano).

"La prova della vostra fede". Il termine qui tradotto con "prova" non è, nell'originale, lo stesso usato per "prove svariate". Se prima era "πειρασμός" (peirasmos), ora è "δοκίμιον" (dokimion) ed indica una "prova di qualità" come si "prova" l'oro nel crogiolo: "Il crogiuolo è per l'argento e il fornello per l'oro, e l'uomo è provato dalla bocca di chi lo loda" (Proverbi 27:21). Si tratta di un test per vedere se, in questo caso, la fede, come dicevamo in precedenza, è genuina e quindi si manifesta o no nella "costanza" [ὑπομονή (hypomoné)]: pazienza, sopportazione, perseveranza, capacità di resistere, essere capaci di sopportare le sofferenze. In Isaia 50:6-7, del Cristo è detto: "Io ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva, e le mie guance a chi mi strappava la barba; io non ho nascosto il mio volto agli insulti e agli sputi. Ma il Signore, DIO, mi ha soccorso; perciò non sono stato abbattuto; perciò ho reso la mia faccia dura come la pietra e so che non sarò deluso" (Isaia 50:6-7).

Esercitare questa "costanza" rende forti, anzi, essa è destinata a contribuire a renderci "perfetti e integri" (CEI). Più che "perfetti" qui si intende "pienamente sviluppati", "maturi", "uomini fatti", come dice Paolo: "...fino a che tutti giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini 4:13), "...nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (CEI). Il cristiano, durante la sua vita, è chiamato a crescere sempre di più moralmente e spiritualmente, a progredire, per assomigliare sempre meglio a Cristo. 

Con la "nuova nascita", all'inizio della sua esperienza cristiana, il cristiano è un "bambino nella fede" che si nutre solo di "latte", ma si suppone che cresca e diventi un cristiano "completo, di nulla mancante". Non sempre è così. "...Infatti, dopo tanto tempo dovreste già essere maestri; invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi degli oracoli di Dio; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido" (Ebrei 5:12). Paolo, però scrive: "Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo" (1 Corinzi 2:6).

L'apostolo Pietro scrive: "La sua potenza divina ci ha donato tutto ciò che riguarda la vita e la pietà mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù. Attraverso queste ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza. Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l'autocontrollo; all'autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'affetto fraterno; e all'affetto fraterno l'amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo" (2 Pietro 1:3-9).

Le "svariate prove" della vita del cristiano sono da accogliere "con gioia" nella consapevolezza che esse contribuiscono non poco alla nostra crescita morale e spirituale. Esse fanno parte del processo della nostra santificazione. Dio così prepara ciascun membro del Suo popolo alla gloria della Sua presenza.

3. Completa fiducia in Dio che ci fornisce le risorse a noi necessarie

Uno a questo punto potrebbe dire: "Ma io sono troppo debole e pavido. Mi mancano le risorse necessarie per essere come qui l'Apostolo descrive. Non ce la farò mai". Dove trovare, infatti, le risorse, le energie per affrontare tutte queste prove? "Devo sapere dove trovare queste risorse, devo avere questa sapienza pratica, questa 'saggezza'". Giacomo, così, risponde: "Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.  Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,  perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie".

Dio non ci chiede di fare nulla per il quale pure non ci provveda le risorse necessarie per adempierlo. Dobbiamo, però chiedergliele con fiducia, esprimere onestamente a Dio le nostre mancanze e bisogni, chiedere che Egli provveda a colmarli: pregare è uno dei privilegi del cristiano. Dio promette che "Guiderà gli umili nella giustizia, insegnerà agli umili la sua via" (Salmi 25:9), come pure Gesù dice: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto" (Matteo 7:7). E' la completa fiducia che noi dobbiamo avere in Dio che, quando si fa carico della nostra vita, "sa quello che sta facendo" e ci rende disponibili tutte le risorse che ci mancano per realizzare la nostra vocazione. Dio può e vuole risponderci generosamente. Dio dona "senza rinfacciare", senza rinfacciarci la nostra passata condotta o la nostra importunità nel chiedere. Egli permette che noi ci accostiamo a Lui liberamente e senza paura. E' pronto ad ascoltarci con pazienza e bontà ed a sovvenire ai nostri bisogni. Non ci risponderà mai in modo duro o sgarbato, facendoci sentire in colpa o peggio, non graditi. Gesù disse: "Colui che viene a me, non lo caccerò fuori" (Giovanni 6:37).

La sapienza (o saggezza) di cui noi abbiamo bisogno nelle prove è quella che ci mette in grado di comprenderne il loro proposito e finalità, per adempiere ai nostri doveri ciononostante o i nuovi doveri che ne conseguono, per imparare le lezioni che Dio vuole insegnarci attraverso di esse. C'è sempre, infatti, qualcosa di prezioso da apprendere dall'afflizione per acquisire l'atteggiamento più appropriato, per trovare - se il caso - i peccati per i quali siamo afflitti ed imparare ad evitarli nel futuro. Nell'afflizione corriamo anche gravi rischi: di lamentarcene e di mormorare, di sviluppare uno spirito di ribellione e di perdere i benefici che avremmo ottenuto se ci fossimo sottomessi in modo dovuto durante le prove. E' così che spesso "manchiamo di sapienza", siamo miopi, il nostro cuore è incline a peccare. Vi sono sicuramente grandi ed importanti questioni al riguardo dei nostri doveri e della salvezza per i quali abbiamo bisogno di essere guidati.

E' importante, però, che noi andiamo in preghiera a Dio con assoluta e totale fiducia, "con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là" (6), altrimenti non riceveremmo nulla. Quanti credenti, però, sono "di animo doppio", o "doppi di cuore", persone da "l'animo oscillante", "divisi a metà", "spiritualmente schizofrenici", di fatto divisi fra Dio e il mondo, un po' credenti ed un po' increduli, che prestano ascolto una volta alle promesse di Dio ed un'altra volta allo scetticismo e l'incredulità del mondo. C'è chi dice o pensa, infatti: "Dio risponderà veramente alla mia preghiera? Mah, non ne sono del tutto convinto. Proviamo a pregare, ma ci credo poco". Quella è la ricetta per non ricevere nulla perché dubita la veracità di Dio e della Sua Parola. Certo, a non tutte le preghiere Dio risponde. Potrebbe ritenere meglio di no o darci quel che chiediamo in un momento più appropriato. Non c'è motivo, però, per il quale Dio ci rifiuti la Sua sapienza quando umilmente Gliela chiediamo!

Proposta di domande per la discussione

  • Può la fede cristiana essere semplicemente una "credenza privata" senza alcun significativo impatto sulla vita personale e sociale?
  • Come rispondere a chi dice: "Se si mettono in evidenza le difficoltà dell'essere cristiani nessuno risponderebbe agli appelli evangelistici? Meglio nasconderle? Oppure ...proporre un cristianesimo a buon mercato?
  • In che modo la persistenza nelle prove è un test per verificare la consistenza della nostra fede?
  • Come reagiamo di fronte alle difficoltà (interiori ed esteriori) della vita cristiana?
  • In che modo le prove possono diventare argomento di grande gioia? E' realistico aspettarselo?
  • Molti cristiani, nella scuola della fede rimangono sempre "alle elementari". Come rispondere a chi dice: "Io non ho tempo per approfondire";; "Io non ho le risorse necessarie per crescere nella fede", "la fede non dev'essere una cosa complicata".
  • Come si può far progredire un cristiano intellettualmente, moralmente e spiritualmente in un contesto di chiese "sempliciste" oppure in quelle che non si prendono sufficiente cura dei credenti, dove essi vengono abbandonati a sé stesso, o peggio, dove ricevono "pietre" e non "pane"?
  • Qual è lo spazio e la funzione della preghiera nella nostra vita?
  • Quand'è che si può essere di "animo doppio" rispetto alla preghiera e perché?
  • Dio risponde sempre alle nostre preghiere? Come reagiamo quando Egli, per i Suoi buoni motivi, non lo fa?

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