Il Destino di Alexandria

From Theos Koima

Fumo. Polvere.
La cupa tenebra di una notte senza luna ammanta i simulacri funebri nella loro cripta a cielo aperto. Scoperchiata. Profanata.
Muti sguardi fieri, grigie pose d'orgoglio. Fieri cavalieri, insanguinati ma imperturbabili, ed imperituri... alcuni. Perché di altri, di quelle loro fiere pose austere, sparsi a terra non ne rimangono che detriti e polvere, eppur detriti che, in qualche modo, non perdono la loro austera maestà.
Santi che a nessuno mancheranno, che nessuno pregherà più, obliati dalla memoria dei viventi, nella sala degli eroi dimenticati.
Nella notte oscura del 22 Febbraio, nelle spoglie del grandioso duomo di Alexandria, ormai somigliante più ad un antico scavo archeologico mal riuscito, non si distingue più tra presente e passato, tra azione e memoria, tra realtà e rappresentazione, tra moto e stasi: tra vivi e morti.
Le antiche statue, macchiate da sangue di battaglia; scalfite, ferite. Ancora impugnanti le armi in mano. I vivi combattenti muti ed impalati, come simulacri di loro medesimi: forse in quel momento, quella notte, la loro impresa è già divenuta storia del mondo. Forse la notte del 22 Febbraio si scrive così definitivamente nel libro di storia di Kosmos, che il mondo sembra avere bisogno che i suoi partecipanti stiano in quel modo per un tempo che sembra infinito: immobili e muti affinché, come un sigillo od un marchio a fuoco, si possano imprimere nel mondo in modo definitivo, in quella posizione.

Il generale Balder, i lunghissimi capelli dorati slegati e sciolti sulla schiena e sul viso - come un regale manto insanguinato - abbraccia, allungato su una gamba piegata come se fosse stato immobilizzato durante una corsa, in un abbraccio di morte, il vegliardo Friedrich Alderich, ultimo papa di Alexander.
Lo tiene dalla schiena, mentre con l'altra mano tiene la lama spinta sul suo ventre vetusto. Se gli sguardi sono immoti, per attimi incalcolabili, c'è ancora qualcosa che dimostra che il tempo non si è fermato, che, in un certo senso, la battaglia continua ancora.
La mano assassina, adesso non più guantata, di Balder che si arrossa, ricoprendosi del sangue santo del papa, che fluisce a profusione. Il respiro profondo e rumoroso dell'assassino, che, insieme alla espressione tesa del volto, sembra ancora voler bestemmiare e maledire il papa ucciso, condannandolo all'inferno.
Le pulsazioni del corpo del papa morente, nel suo ultimo doloroso attimo di vita, il suo tremare convulsamente, ma senza emettere alcun verso; il suo sguardo luminoso, ormai quasi cieco, sbarrato e fisso sul suo assassino. Lacrime di sangue lungo il volto increspato: ironicamente, sangue del suo assassino, che cade dal giovane volto bellissimo ormai sfregiato profondamente lungo tutto un lato e fino al collo.

Non troppo lontano, un gran tonfo metallico. Tetsuya il ronso, ancora a bocca aperta, tira un profondissimo sospiro, e, tremando come se cercasse di trattenere il fiato vitale dentro nel suo possente collo, d'improvviso lo lascia andare fuori da sé, lasciando cadere l'arma portratrice di disastro ed oblio.

Più lontano, una delle slanciate guglie rimaste ancora in piedi, obliqua, si inclina ancora verso il suolo e, con un gran rumore, si spezza alla sommità e poi cade tutta a terra, frantumandosi ancor più, ed alzando un enorme polverone scuro.

Ma ancora i due si fissano, ed invero non è passato che un istante, quando le labbra del papa morente si schiudono, facendo uscire gli ultimi aliti di vita. Trema il suo labbro inferiore che non ha perso colore, ma è più rosso che mai, colorato da un rivolo di sangue che esce dai lati della bocca; trema il suo labbro al passar via della vita.
Il papa stringe i denti insanguinati, come volesse chiudere il passaggio alla vita che fugge dal suo corpo, anche solo per un momento. Inspira attraverso i denti serrati, e per un attimo si ode il suo silenzio, la sua apnea, quando poi a rompere il silenzio che sembrava sarebbe durato in eterno, in quella scena che segnava la fine di ogni parola, giunge invece un suo ultimo soffio dotato di suono, un ultima parola sussurrata come un alito di vento, che sembra però risuanare come un corno da guerra, come una accusa e contemporaneamente una sentenza a colui che è stato portatore di quella sentenza inevitabile:
<< Giustizia! >>

Ed è di nuovo il silenzio. Un silenzio questa volta pesante e pregnante, la quiete prima di una tempesta.

Ed in quel momento, mentre gli occhi ciechi del papa morente si ribaltano dietro le orbite ed il corpo teso si affloscia su se stesso, segno della vita che ha definitivamente abbandonato il suo corpo, sembra che contemporaneamente il suo corpo vibri e risuoni di un canto, come se venisse da una voce profondissima dentro lo spirito del papa.
O forse questo canto austero, sommesso, mesto, è proprio il suo spirito che, abbandonando l'involucro, risuona come fa l'aria muta che lascia il flauto cantando. Al di fuori del canto non è possibile nient'altro: il generale sanguinante fissa il corpo vuoto e floscio del vecchio con uno sguardo tremante, misto tra timore ed odio, ma di quell'odio viscerale che, mentre il canto continua a risuonare, il generale vorrebbe fare a pezzi quel maledetto involucro esanime: sia lui dannato! Vorrebbe vederlo, se possibile, ancor più morto fra le sue braccia.
Ma sa che, per la prima volta in vita sua, non può far niente.
Al contrario, con il canto che lascia il corpo del papa, sembra che il corpo si alleggerisca, come se la materia stessa di cui è fatto si rarefaccia, e di lui non resti quasi niente di più tangibile di un canto, in quel corpo vecchio che si fa sempre più diafano e luminescente, come se stesse ascendendo piano ad una santità sconosciuta.

Poi, su Alexandria tutta, per le strade e dentro le case, nelle taverne, e nelle focose notti degli amanti, di nuovo cala il silenzio, severo e tiranno, come se, dissolvendosi nell'aria, o forse viaggiandone lontano verso altezze sconosciute, quel canto che si innalzava dalle profondità della terra, avesse portato con sé ogni suono, ogni voce, ogni sospiro.

D'improvviso la terra prende a tremare, sbilanciando i vivi in quel loro atteggiamento statuario ed immobile, che devono ritrovare equilibrio.
Un rombo assordante li schiaccia come in una morsa.
Balder, stringendo i denti, si guarda intorno: i capelli insanguinati di fronte agli occhi mentre si gira. Nessuno è in grado di fare di più.

Vedi anche: Il Destino di Alexandria (dalla Trama)

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