Pensieri
From Theos Koima
m |
Lei Magnus (Talk | contribs) m (→'''Adrenalina e paura''') |
||
Line 63: | Line 63: | ||
''“Ho paura, non ce la faccio…il mio cuore batte, pazzo, incontrollato… forse uscirà dal mio petto…'' | ''“Ho paura, non ce la faccio…il mio cuore batte, pazzo, incontrollato… forse uscirà dal mio petto…'' | ||
- | ''Ci siamo, dopo ore snervanti, eccoci, davanti al bivio di vivere o morire… ed io? ed io che farò? Mi sento paralizzato, i miei | + | ''Ci siamo, dopo ore snervanti, eccoci, davanti al bivio di vivere o morire… ed io? ed io che farò? Mi sento paralizzato, i miei compagni mi incitano, mi vogliono al centro della battaglia! Forse hanno ragione, ma non capiscono, non capiscono che io ho paura, io voglio vivere! |
<<E’ normale, capita a tutti…>>. Parole semplici, forse scontate… eppure, quelle parole, dette dalla persona dalla quale meno me lo aspettavo, dal pistolero, anzi in questa occasione spadaccino… '' | <<E’ normale, capita a tutti…>>. Parole semplici, forse scontate… eppure, quelle parole, dette dalla persona dalla quale meno me lo aspettavo, dal pistolero, anzi in questa occasione spadaccino… '' | ||
''Ripenso, in un istante, alle ore snervanti d’attesa, alla pazienza del drow, che, con molta diplomazia è riuscito più volte a placami, rischiando.'' | ''Ripenso, in un istante, alle ore snervanti d’attesa, alla pazienza del drow, che, con molta diplomazia è riuscito più volte a placami, rischiando.'' |
Revision as of 10:53, 19 April 2007
Questa è la sezione dedicata all'introspezione del personaggio giocante Ray Lun nel procedere della Trama di Theos Koima.
Sconnessi, a volte ripetitivi e patetici, in parte caotici e spesso tra loro in contraddizione. Questi sono i pensieri di Ray, riportati qui con lo scopo di dare una idea di fondo dello stato d'animo del personaggio, del suo modo di reagire gli eventi, nell'affrontare le proprie paure, emozioni... lo stile adottato è volutamente caotico e talvolta intricato; giacchè, quando pensiamo, non sempre teniamo conto della grammatica.
Contents |
Parte 1
Il dialogo tra il Giudice Mesdoram e Ray
“Quando gli altri furono usciti dall’abitazione di Mesdoram (compreso Larhal, che si era intrattenuto col Giudice per parlargli in privato), rimasi, senza farlo notare, ad attendere sull’uscio ed a fissarlo mentre rientrava. Il dialogo che, tutti noi, avevamo avuto in precedenza, sebbene mi avesse illuminato su taluni fatti, non mi aveva compiutamente soddisfatto, anche perché, e ciò è probabilmente dovuto alla mia timidezza, non ero riuscito a domandargli ciò che più mi stava a cuore.
Mesdoram, voltatosi, ricambiò immediatamente il mio sguardo. Dopo una manciata di secondi, mi chiese se qualcosa non andava. Li per li, non riuscì a trattenere un non so che di sarcastico, misto ad un che di reverenza. Gli risposi che, in fondo, << il dado era stato tratto >>, e a noi toccava solo l’ingrato compito di obbedire al destino da qualcuno prefissato. Egli mi rispose che, tuttavia, eravamo liberi di decidere il da farsi. Ma fino a che punto? In fondo, gli dissi, era a causa di uno di loro che io ero stato costretto a quell’avventura, non di certo per voler mio; cosa può fare, dunque, un povero figlio di pescatore di fronte a ciò?
La guerra, la gemma arcobaleno, la materia oscura, erano fatti che non mi riguardavano. A me importava, e forse peccai di egoismo, di poter vivere in pace, tranquillamente, come uno della mia gente. Ma invece, era stato proprio un Giudice a coinvolgermi. Mesdoram, per tutto il tempo di quello che era diventato quasi un mio sfogo personale (ed infatti, senza che me ne accorgessi, o per lo meno ci dessi molto peso, prima le mani, poi le braccia, ed in fine tutto il corpo, avevano cominciato a tremare, sempre più nervosamente), rimase in silenzio. Quando ebbi finito, mi rispose, e le sue parole mi lasciarono sbalordito.
Mi chiamò figlio della luna, mi disse che il mio legame con Larhal, ma del resto con tutto il gruppo, era più profondo ed oscuro di quanto non si capisse. Mi disse che io ero stato vittima probabilmente di quella setta di cui aveva parlato poc’anzi al gruppo, di coloro che usavano la Materia Oscura.
Il peso della verità sembrò schiacciarmi, tanto che caddi a terra, in ginocchio. Gli chiesi cos'ero veramente, perché il mio aspetto talvolta cambiava. Egli mi disse che io non ero umano, non del tutto, almeno. Basta, non riuscivo più a trattenermi, il peso era troppo forte. Gli strinsi il braccio, come a cercare una mano d’aiuto, e probabilmente gli feci anche male... Lui, parve capirmi, trattene il braccio saldo, impassibile. Mi guardò, come a scrutare l’anima mia. Devo dire che, dinanzi il suo sguardo, mi sentivo praticamente nudo; egli sapeva tutto. Questo mi diede fiducia, ma forse non capivo, perché rimasi un po’ deluso quando mi disse che avrei dovuto capire da me la strada.
Ma, forse, aveva ragione. Se egli mi avesse detto subito tutto, il senso si sarebbe perso, ed, allora???
Mi disse però che io avrei dovuto cercare un equilibrio, l’equilibrio del mio essere. Sebbene non solo umano ne tutto bestia fossi, non dovevo reprimere una di queste due essenze, come avevano fatto i miei genitori, che volevano di me solo un uomo, o come aveva fatto Rendor, che voleva di me solo la bestia. La chiave era l’equilibrio. Già, l’equilibrio, come un atleta che cammina su di una fune, io dovevo procedere nel mio cammino, senza cadere nel baratro. Capì allora, o così mi parve, tutto il senso delle sue parole. Non importa ciò che si fa, ne il modo: quelli sono accidentali, determinati dal caso, o comunque da qualcuno superiore di noi. Ciò che importa davvero, è che noi, da questi eventi, ne traiamo il buono per andare avanti, cioè, e non vorrei sembrare troppo egoista, l’utile per una vita felice.''
Lasciai la presa del suo braccio, mi inchinai a lui, ormai del tutto calmo, e lo ringraziai di cuore (<< Grazie di tutto, Eccellenza… >>). Dopo di ché, feci per andarmene e, arrivato al cancello, mi voltai per guardarlo un ultima volta. In fondo, pensai, magari era l’ultima volta che vedevo un grand’uomo di tal fatta… Rientrò in casa, come una qualsiasi persona. E’ sorprendente come questi... Giudici, nonostante il peso di certe situazioni, reggano benissimo.
Mi voltai, cercando di scorgere il mio gruppo; erano spariti, e non si erano accorti minimamente di me. Come al solito. Basta, mi dissi, c’è un tempo per pensare ed un tempo… per non farlo. Presi un gran respiro e cominciai a correre, con l’aria di chi non ha nulla per la testa, ed in vero, era proprio questo il mio obbiettivo. Correndo, staccai un filo d’erba e me lo misi in bocca, quasi volessi assumere un aria beffarda rispetto a coloro che non usavano altro che il loro cervello. Corsi a perdifiato, ed in breve raggiunsi Larhal. Lo guardai, e mi chiesi quale fosse davvero il mio legame con lui. Ma poi, rimembrando il mio intento, ricominciai a correre, verso gli altri...
Di nuovo in piedi
"In piedi… ma che ci faccio in piedi… di nuovo… non ricordo… ah si…- storco il viso - cosa ho fatto, cosa ho fatto di nuovo… lo sapevo che sarebbe andata a finire così… però, però, stavolta era diverso… anche se un massacro è sempre un massacro...
Non ho il tempo di riflettere ulteriormente, giacchè René mi trascina violentemente altrove, e, sarà la mia debolezza, sarà che non mi aspettavo tanta forza nel drow, ma riesce a trascinarmi.. quasi io fossi semplicemente in sua balia… i miei pensieri, mentre sono portato chissà dove, mi portano alla mente la figura di Rendor… perché? Non lo so… e non ho anche il tempo di pensarci… arrivati in quella che, secondo il drow è la nostra destinazione, Renè mi guarda… non uno sguardo duro, ma deciso.
Con un tocco di ironia, amara, che il drow sembra ignorare, gli chiedo se devo ringraziarlo.
Mi dice di darmi una possibilità, se voglio sopravvivere… ma io voglio sopravvivere?? Non gli confesso apertamente questo ultimo mio pensiero, la sua mente pratica non potrebbe accettarlo…però il quesito mi offusca la mente. Uno scatto, lo afferro per la collottola, il suo sguardo dritto a fissare il mio, ed io il suo… che impulsivo sono stato! Renè invece, più freddo, più cinico, forse, non pare scomporsi. Un’offerta, uno scambio, << un qualcosa che mi devi >>, lui ha bisogno di me… com’è possibile… no, lui ha bisogno della bestia che è in me… non di me… lui mi sfrutterà, come ha fatto Rendor. Il mio passato mi torna prepotentemente a galla, e finisco per raccontarglielo, in parte. Mi sento solo, incredibilmente solo… mamma… Irya… che devo fare… al pronunciare questi nomi, un senso di tranquillità mi pervade…e, dal mio corpo inizia a sprigionarsi una luce… mi sento bene con essa… è come se… qualcuno mi fosse vicino e mi stesse massaggiando... dolcemente… come può, una bestia, emanare tanta tranquillità… non ho il tempo di pensarci… il tempo fugge sempre… e non è dalla mia parte, a quanto pare… di nuovo davanti ad un bivio, come dopo la discussione con Mesdoram, di nuovo devo scegliere… Renè dice che è per me stesso… e forse, dopotutto, ha ragione… che devo fare, che devo fare, che diavolo devo fare!!! Perché nessuno sa darmi una risposta…
La verità è che devo trovarla io la risposta, e questo il drow me lo ha fatto capire… ma sono così debole… gli chiedo tempo, per riflettere ed egli pare acconsentire… mi rivolge una altra occhiata, mentre io cerco un luogo in cui sedermi, mi sento ora spossato, non nel corpo, le cui ferite in parte sono rimarginate.. ma nello spirito… Renè si volge altrove, lasciandomi solo… dovrei pensare, ma non voglio farlo… mio padre diceva sempre che una dormita porta sempre consiglio… cerco di dormire… in effetti sono stanco.
Dopo qualche tempo, vedo entrare nel mio vagone i miei compagni di viaggio, i miei carnefici, le mie vittime… solo ora mi accorgo di come il drow sia agghindato, ma non mi importa più di tanto… nuovamente la domanda… non guardo nessuno, temo il loro sguardo inquisitorio… cerco di evadere, gli faccio notare che un qualsiasi risposta non vale, e che sa benissimo quale sia la mia risposta…
Ancora una volta sono fuggito… io non ho la risposta, ma egli sembra aver capito qualcosa… per questo lo dovrei ringraziare, ma penso che, se sapesse, mi darebbe del vigliacco… probabilmente, ora, egli è l’unico che di cui possa fidarmi, anche se non so per quanto… questo accresce il mio senso di solitudine…
Arriviamo in un vagone per le merci, io cerco un angolino separato, non voglio addosso gli sguardi inquisitori degli altri. Si discute, della guerra, di Folgandi e di Dalmatia (ed io, come avevo precedentemente fatto notare a Renè, torno a chiedermi che cosa, potessi far io, insignificante rispetto alla grandezza di tali eventi), di massacri, e di assalti. A quanto pare, una volta a destinazione, ci sarà un massacro, uno scontro, una battaglia, non fra mostri e uomini, non fra pochi, ma fra tanti, un fratricidio… ma in fondo questa è la guerra… non voglio ascoltare, mi tappo le orecchie, cerco di dormire più per fuggire da quelle parole che per altro…ma una parte di me, vorrebbe sapere… dannata curiosità umana, solo causa di disgrazie… Ogni tanto, la discussione torna su di me, ed io immagino gli sguardi nella mia direzione… che ironia, il pistolero sembra l’unico a difendermi, ed io che non volevo assolutamente fidarmi di lui proprio per la sua freddezza… perché la odiavo, la ammiravo, la invidiavo… i due maghi soprattutto, sembrano temere qualche mia reazione… non che abbiano torto… vorrei poter gridare che quella bestia non sono io, che io sono buono e calmo, che non farei male a nessuno… ma così non è, ed è inutile continuare questa farsa...
Discutono, per quanto tempo, non saprei. A quanto pare, ora i soldati di Dalmatia sono << con noi >>... mi ritorna l’immagine della divisa di Renè , e mi chiedo come abbia fatto… quel drow ne sa una più del diavolo. Comunque una cosa la ho capita: al nostro arrivo, dato che ci sarà uno scontro tra schiere, noi dovremo approfittare della mischia per andar via… anche a costo di uccidere qualcuno dei << nostri >>, anche se in fondo, sono dei << nostri >> solo per convenienze e non si sa fino a quando… ironico, no?
Vorrei dire qualcosa, protestare per quell’idea… ma la guerra, la guerra non pone spazio per le remore… solamente, << mors tua est vita mea >>."
L'attesa snervante sul treno
“Sento che sto per esplodere… devo contenermi, almeno per ora. Attraverso alcuni vagoni, la mente annebbiata, in parte spossata. Non posso, non devo perdere il controllo… almeno, non adesso. Cerco di distrarmi, cerco di allontanare brutti pensieri dalla mia mente; nascondo l'agitazione con una maschera d'allegria. Ho l'impressione di stare risultando ridicolo. Lo so che non è proprio il momento adatto, anzi… però cerco di sorridere, di trovare il lato buono della situazione… altrimenti scoppio. Mio padre diceva sempre che, se la mente è sempre rivolta verso qualcosa, almeno, bisogna distrarre il corpo; opponi al pensiero l’azione. Più facile a dirsi che a farsi. L'impressione si fa certezza. E’ che, dopo l’assalto di quella… <<cosa>>, è calata una atmosfera abbastanza cupa. O forse, semplicemente, sono io che la noto solo ora… intento come ero, prima, a trovar scampo ad una parte di me, non mi ero neanche accorto (ne interessato, d’altronde) di cosa stesse succedendo realmente accanto a me. Qui tutti hanno l’aria di condannati a morte, non c’è posto per un sorriso. Che sia davvero così… che sia solo la mia mente a non riuscire ad accettare la cosa? Non capisco, o meglio, non conosco, non conosco la guerra. Diamine, qualcuno vuole spiegarmi!!!! Renè parla, parla di strategie… lo scontro si fa vicino, non ho più tempo per rifiutare la realtà, non posso più fuggire. Saremo in prima linea… e sarà il massacro! Il gruppo è diviso, c’è chi crede che non abbiamo altra scelta, chi no… non so che dire… chiedo, prima al drow poi al ronso, se abbiano mai avuto esperienze di guerra. Il pistolero è vago, distratto. Chissà quali (atroci) segreti avvolgono la sua mente… mi rendo conto che non ha nessuno con cui parlare, confidarsi… i drow sono gente tanto strana e imperscrutabile quanto interessante. Non credo riuscirò a trarre molto da lui. Invece, Tetsuya, è molto disponibile a parlare con me; mentalmente lo ringrazio. In un certo senso, lo sento vicino. Mi dice che, neanche lui ha mai partecipato ad una vera guerra, ma solo a qualche battaglia. Era tanto tempo che non accadeva, ma con lui mi sento a mio agio, a discutere. Gli parlo delle mie remore, del mio attaccamento alla vita, dell’inutile massacro a cui si va incontro; lui si dimostra volenteroso ad ascoltarmi. Parliamo del destino, e della sua ineluttabilità: anche se discutendo, io mi schiero dalla parte opposta, dentro di me, non posso che concordare con lui: siamo solo attori di un copione già scritto. Non mi piace, detesto ciò, ma forse, è davvero così. Gli esprimo il mio timore se dovessi perdere nuovamente il controllo. Da quel che dice mi pare, in un certo senso, rassegnato. In effetti, ad un certo punto, mi accorgo che il dialogo non è altro che un susseguirsi di domande soprattutto dalla mia parte. La finta sicurezza ed il sorriso ora lasciano posto alla più profonda incertezza. Più il ronso mi pare deciso, saldo, più io mi vedo vacillare. Gli chiedo di lui, della sua famiglia, se ha qualcuno che lo aspetta: si, lui ha una famiglia… e io? E io? Io non ho niente, più nulla… e allora perché, una parte di me, è così attaccata alla vita… Date le premesse, in fondo, non dovrei aver così paura della morte, cosa dovrebbe importarmi?. Eppure no, perché, perché non riesco ad accettare l’idea di dover uccidere dei miei simili, l’idea che qualcuno dovrà morire, necessariamente? A questa domanda, non ho risposta, ed in breve, capisco che neanche il ronso ne ha. Beh, se dovessi ragionare meccanicamente, direi che abbiamo parlato inutilmente, non ho ottenuto ciò che cercavo; ma dentro di me so che non è così. Sono contento di aver parlato con lui, soprattutto per il fatto che non mi ha rinfacciato per ciò che ho fatto in passato. Posso fidarmi di lui; parlargli, mi ha fatto capire che, in uno scontro, non dovrò aver timore di voltargli le spalle. Spero di avergli dato la stessa sensazione, anche se il mio è un caso particolare. Però, ascoltandolo, una cosa la ho capita: al di là delle differenze di razza, uomini e ronso, non sono poi così tanto differenti, e forse, la stessa cosa vale per i drow… poche ore, ci separano da… dall’evento, ma ora, ho un amico, e forse non solo, in più.
Vedi anche: Disordini in treno (dalla Trama)
Adrenalina e paura
“Ho paura, non ce la faccio…il mio cuore batte, pazzo, incontrollato… forse uscirà dal mio petto… Ci siamo, dopo ore snervanti, eccoci, davanti al bivio di vivere o morire… ed io? ed io che farò? Mi sento paralizzato, i miei compagni mi incitano, mi vogliono al centro della battaglia! Forse hanno ragione, ma non capiscono, non capiscono che io ho paura, io voglio vivere! <<E’ normale, capita a tutti…>>. Parole semplici, forse scontate… eppure, quelle parole, dette dalla persona dalla quale meno me lo aspettavo, dal pistolero, anzi in questa occasione spadaccino… Ripenso, in un istante, alle ore snervanti d’attesa, alla pazienza del drow, che, con molta diplomazia è riuscito più volte a placami, rischiando. Certe volte… è che… non capisco... Non c’è tempo, non c’è tempo… segui ilo tuo istinto… dentro di me, questa voce si fa spazio, fino a prevalere. Scendo dal treno, mi giro una ultima volta verso i miei compagni, verso il ronso, il drow, il principe… basta… addio. Corro verso la mischia, chiudo gli occhi, e lascio che accada. In breve, un massiccio urlo, che passa a poco a poco dall’umano al bestiale, esce dalla mia bocca, o meglio, da quelle che stanno per diventare le mie fauci… mi dispiace… poi, la bestia.
Un istante di coscienza, un ricordo: sangue e morte. E il drow.
Mi rialzo, senza alcuna coscienza di quanto tempo sia passato… il principe, un secondo prima vicino a me, si allontana… mi ha aiutato…
Vedi anche: Assalto alla stazione (dalla Trama)
Tra dubbi e incertezze
“Mi alzo, mi alzo in piedi. Vicino a me, il principe Kleotikitas aiuta il ronso. A pochi metri da noi, un uomo robusto, dall’aspetto decisamente carismatico.. Ha una imponente armatura… ma non credo sia qui per ucciderci… ai suoi piedi, il cadavere di uno dei “nostri”, lo ha falciato in due. Ci dice di correre, di raggiungere un certo posto… sono un po’ stordito, non capisco molto, quindi decido semplicemente di seguire il principe. Renè è scomparso. Mi allaccio bene gli stivali che ho appena trovato da una altra delle nostre vittime. Sono comodi. Non pensavo avrei potuto fare certi apprezzamenti durante una… battaglia. Gli altri stanno andando. Correndo come non mai, li raggiungo. Muovendoci velocemente per la strada principale, presto siamo fuori la stazione, o quel che ne resta, lontani dalla battaglia. Dopo un po’, rialzo lo sguardo da terra, guardo i miei compagni… adesso manca anche l’elfa! So che non dovrebbe fregarmene nulla, ma mi fermo, mi guardo intorno… non la vedo… torno indietro, la cerco. La trovo, sta zoppicando. Vado per avvicinarmi a lei, quando, due guardie mi sbarrano la strada. Non ho tempo ne voglia di combattere… ancora. Fuggo. Raggiungo l’elfa, so che non mi ascolterà, ma almeno, mi sentirò la coscienza più leggera dopo. Le dico di affrettarsi, le guardi ci inseguono ancora. Mi allontano da lei, sperando di attirarle a me. Così è. Bene, lei è andata avanti, è salva. Ma le guardie mi inseguono ancora. Mi accorgo del motivo: addosso ho ancora la divisa delle truppe di Dalmatia! Cerco un vicolo, mi spoglio, e getto la divisa. Per mia sfortuna, mi hanno ritrovato. Spiacente, sarà per una altra volta, grido loro, mentre fuggo. Non avevo mai corso così. Raggiungo la locanda, ma, mentre mi accingo ad entrarvi… un’esplosione, rumori, le luci delle vie si spengono, tutte. Baccano, gente che urla, gente che scappa. Alcuni miei compagni escono dalla locanda. Il principe si avvicina ad un uomo, e comincia a parlargli, in una lingua che non conosco. Che si staranno dicendo… di nuovo quella brutta sensazione di essere estromesso… come sul treno, quando i due drow parlavano tra loro. Dopo un po’, il principe e l’uomo sono attratti dalla sorta di “discussione”, se così si può chiamare, che il ronso sta avendo con un suo simile, che a quanto pare, non parla il ronso! Ridono, e dopo un po’ Lahral raggiunge il ronso, magari per sistemare la cosa, visto che sono stanno per venire alle armi. Ne approfitto per avvicinarmi all’uomo. Gli chiedo se parla la mia lingua. A quanto pare mi capisce. Gli chiedo se anche lui sia un sottoposto del Giudice Mesdoram. La risposta è affermativa. Continuo le mie domande. Gli chiedo come ci si può fidare ciecamente di un singolo uomo, fino a sacrificare la propria vita. Nel frattempo, dal locale, ormai immerso nel buio, esce Niana, che, anche se a distanza, mi pare ci stia ascoltando. Tornano ben presto anche il ronso e Kleotikitas. L’elfa interviene nella discussione, mi dice che i Giudici non sono semplici uomini, sono molto di più. I miei dubbi però, rimangono tali. Non posso fidarmi di un uomo, specialmente se ha sulle spalle un così grande carico come il destino di un mondo intero. Sono incuriosito da questo genere di uomini: come sono scelti, loro o i loro sottoposti? E come può, un uomo che si macchia le mani di sangue, avere ancora un cuore puro? Cos’è un cuore puro? Entriamo nella locanda, a quanto pare il caos si sta placando. La discussione ora verte sul passato dell’elfa. a quanto pare suo padre era un, un “cavaliere del Giudice”; non capisco molto di ciò che si dicono, visto che non conosco la storia di questo drow, ma ascolto… la mia curiosità sale. Entriamo in una delle due camere da letto a noi riservate. La discussione verte non solo sul padre di Niana, ma anche su Baldur,luogotenente di Mesdoram… anch’egli Cavaliere di un Giudice. Ironizzo, sul fatto che, a quanto pare, certe vita possono anche esser sacrificate per volere di un.. Giudice, al punto che, chi uccide per sé è un assassino, che per qualcun altro, un mercenario; ma chi lo fa per il Giudice è un “giusto”. Come si pensare ciò? Il ronso appoggia una mano sulla spalla e mi dice che, comunque, che sia un Giudice o un uomo comune, un assassino è pur sempre tale, e che la vita è ugualmente importante e preziosa. Gli confesso che anche al mio villaggio la si era sempre pensata così. Mi chiede del mio villaggio. Le mie lacrime mi sgorgano quasi dagli occhi, quando gli racconto del fatto che fu bruciato, e che io venni accusato di tale crimine. Notando la mano destra, mi chiede se me la sono procurata proprio in tale occasione. Non è così, quella ferita me la ha fatta… non voglio parlarne, gli dico, sono ricordi troppo dolorosi che non voglio rievocare. Istintivamente, strinsi proprio la mano destra, provando un leggero dolore. Quasi per consolarmi, egli mi racconta ora di sé, del suo villaggio, dei custodi della “gemma arcobaleno” e del furto, della follia e del suicidio di suo padre. Come quello di Niana. Comincio a credere che chiunque abbia a che fare con questa gemma finisca per impazzire. Tutti la cercano, tutti la vogliono… ma io la detesto, causa della guerra, causa di morte, causa, probabilmente anche delle mie sofferenze. Se dovessi scoprire che è così, la distruggerò, non esiterò un secondo. Questo mia affermazione, fa irrigidire Tetsuya, che mi dice che, in tal caso, diverrebbe mio nemico. Stavolta sono io a poggiargli la mano sulla forte spalla. Lo guardo negli occhi. Io non potrei mai esserti nemico, non puoi chiedermi questo, gli dico. Io voglio esserti amico, e spero anche tu lo voglia. Tacita risposta, probabilmente, è la confidenza che, poco dopo mi fa. Mi racconta di una visione che ha avuto tempo fa, in cui un ronso combatteva contro un lupo, e ne aveva la meglio. I dubbi crescono, e si diffondono. Ben presto finiamo per piombare nel silenzio, un silenzio colmo di domande che, sappiamo, non hanno rosposta. Almeno per ora. Nel frattempo gli altri hanno deciso l’ordine delle stanze. Io non ho sonno. Mi avvicino alla finestra e ne apro un’anta. C’è uno spicchio di luna, crescente. Comunico che non ho sonno, e che il ronso può comodamente usare il mio letto. Mi congedo, esco dalla stanza e cerco un modo per raggiungere il tetto della locanda. Non trovatolo, esco dal locale, comincio a passeggiare, assorto nei miei pensieri. Continuo a chiedermi quale sia il mio legame alla faccenda: ormai in troppi mi avevano chiesto della mia ricerca, ed io… che potevo rispondere?? Cosa diavolo potevo fare!? Adocchiai una lattina, e cominciai a calciarla. All’improvviso immaginai che prendesse la forma (che io pensavo) avesse la gemma arcobaleno; la calciai lontano più forte che potevo, ascoltando silenziosamente il suo rotolare. Basta, dovevo pensare ad altro. Guardai il cielo, ricercandola. Non la trovai. Il palazzi erano alti, molto alti, come quella volta che avevo passato la prima notte nella capitale. Finalmente, in un vicolo, riuscì a scorgerla. La fissai intensamente. Mi dava un tale tono di serenità…come al solito, il mio pensiero tornò alla bellissima donna di luce, che tanto volte avevo sognato, che tante volte mi aveva fatto compagnia. Chiusi gli occhi, avvolto da quel sentimento di pace, e da una luce interiore. Non capivo da dove venisse, ma mi piaceva, mi sentivo bene. I bei tempi della mia fanciullezza a Persin riscorrevano nella mente, tempi felici, tempi passati. IL villaggio è bruciato… mamma… Rendor! Più nervoso di prima, riaprì gli occhi, irritato dal fatto che la mia mente, ancora una volta, mi aveva tradito. Corsi a perdifiato, tornando alla locanda. Tutto buio, tutti dormono. Ho sete. Mi avvicino al bancone, lo scavalco e cerco dell’acqua, ma non ne trovo. Solo bottiglie contenenti chissà ché. Ne prendo una a caso, la apro e odoro. Non ricordo un tale odore. Allora ne verso qualche goccia sul bancone. Poi sul mio dito e lo assaggio. Amaro. Riprovo. ancora amaro. Avvicino la mia bocca alla bottiglia e ne assaggio ancora. Nonostante il sapore, ne sono attratto. Ne bevo un po’. Sento i miei pensieri alleggerirsi, bevo ancora. Fino a svuotare la bottiglia, fino a perdere i sensi. Voglio dimenticare…”.
Vedi anche: Il Generale Balder (dalla Trama)
Deserto freddo
"Quando mi sveglio, la testa ancora mi duole, e alcuni conati di vomito mi spingono al bagno. Giuro che non berrò mai più così tanto! ho la bocca letteralmente riarsa! Più tardi, Tetsuya mi spiega la situazione che aveva appreso da Balder, e che io, in preda agli effetti dell’alcool, avevo sentito solo come rumori lontani…Dopo un po’ lo interrompo. non mi importa di cosa hanno intenzione di fare… non mi interessa ne dell’etereoscopio o come diavolo si chiama…gli assicuro tuttavia il mio aiuto… non ho nessun altro, ormai… (Irya, dove sei?) a parte loro. Il giorno dopo, lasciamo Zerbst.
Superiamo il deserto, arido, caldo, e noi disorientati e disuniti. Cala la notte, e giungiamo ad Alexandria. Questa città non mi dice nulla. Come tutte quelle che ultimamente ho incontrato del resto. Con l’aggiunta che, stasera, la luna non brilla nel cielo. Mi sento solo, e angosciato. Cattivo presagio? Per arrivare alle porte della sopraelevata città ci serviamo di chocobo; tranne il ronso, che si cimenta nella scalata, percorrendo tutti i duecento e passa scalini. Lo aspettiamo per molto tempo... Quando arriva, mi sembra stanco, e, in un qualche modo, distaccato. Ci inoltriamo finalmente in città, fino a raggiungere la nostra metà, una locanda. Li troviamo l’elfa, e Balder. Fa la sua comparsa persino il drow, da tempo assente. Il suo atteggiamento, non è cambiato: sempre freddo e cinico. Ma oggi è più allegro del solito, un’allegria che definirei tagliente. Non mi piace, ne sono infastidito; non mi mette a mio agio. Non sono a mio agio. I miei compagni, discutono tra loro. E’ evidente che non si fidano più l’uno dell’altro... e tutto questo tempo, non è servito a nulla? Cresce il mio senso di solitudine. Se non riusciamo a fidarci l’uno dell’altro, e a cooperare, che fine faremo? Forse, non siamo ciò che il Cavaliere del Giudice si aspettava. Che delusione per loro… eppure, ancora mi chiedo perché proprio noi... Mi allontano da loro, disperando la ricerca di un po’ di calma. Mi concentro, cercando l’adorata sensazione che da tempo mi fa compagnia nei momenti brutti. Il botto di una mano sul bancone interrompe la mia concentrazione. E’ Balder. Cosa vuole costui da me? Mi mette dinanzi questioni a cui non so dare risposta. Una sensazione sgradevole. Mi ricorda molto l’insicurezza dinanzi il Giudice Mesdoram. Ma ciò che, maggiormente, anzi assolutamente, non riesco a capire, è la sua forte convinzione (o meglio certezza, assoluta e indubitabile - eresia! - ) sulla somma Giustizia che l’entità nota come Giudice rappresenta. Non capisco, le sue parole, sicure, troppo scure alle mie orecchie; esse hanno la forza del martello sull’incudine. Nessuno dubita di loro; tranne Renè. Ma quella è un’altra storia. Lui prova un gusto, direi eccentrico, nello scardinare le convinzioni di qualsiasi persona. Ma Balder è un osso duro. Renè non parteciperà al piano che abbiamo in mente. anzi hanno. Perché io mi sento un estraneo. La freddezza mi attanaglia. Ho sofferto invano. non sono nessuno. Dire che mi sento annichilito credo possa dirsi un eufemismo… eppure, io voglio capire, voglio conoscere chi sono, o che faccio qui... poiché questo è il mio unico legame alla realtà, l’unica cosa che, in una situazione di massima estraneità e assoluto dubbio, mi tiene ancorato alla vita. Non voglio morire. Ma la mia esistenza ha un senso??”
Vedi anche: Notte ad Alexandria (dalla Trama)
Impresa epica... e poi?
"Semplici marionette o siamo davvero liberi?? Le parole del cavaliere mi tornavano in mente mentre, convinto (come incapace di accettare la realtà) di poter trovare la luna, continuo a scrutare il cielo. Inutile, ovviamente. Rientro, sconsolato. Una frase, di Balder, si insinua d’un tratto nella mia mente: <<Cosa dirai un giorno, al tuo generale… che avevi bisogno di stare da solo?>>. Sicuramente ha ragione lui… ho una missione importante da compire… ma poi? Che farò dopo? Che ne sarà di me? Una cameriera mi scuote dai miei pensieri. Mi faccio accompagnare alle camere. Li, ho alcuni problemi con l’elfa. Ma perché è sempre così infantile… e cosa le avrò fatto io di male?? E’ come se mio odiasse, e cercasse in ogni modo di evitarmi. Sono stanco, e non ho voglia di parlare. Così la ignoro e cerco di dormire. In breve però, parte degli ospiti è svegliata dal suo suonare. Arriva persino Tetsuya, che cerca di convincerla a smettere. Alla fine, lei se ne va, lasciandomi solo. Non è più il tempo di parlare. O forse, con lei, non lo è mai stato. Cerco di dormire, usufruendo di entrambi i letti a mia disposizione, nel tentativo di riposare il più comodamente possibile. Il sonno, leggermente in ritardo rispetto a quanto desideravo, mi concede l’agognato oblio.
La mattina seguente, mi sveglio molto tardi. Sarà stata l’ora di pranzo, o persino più tardi. Ma non ho fame. Mi lavo, mi preparo tutto, devo essere al mio massimo stavolta. Finito, esco dalla locanda, cominciando a girovagare per la città. Finché non arrivo al duomo. Li, mi fermo ad osservare l’imponente costruzione. E’ molto grande, e aggirarla mi costa un bel po’ di tempo. Tuttavia, su uno dei lati, scorgo un piccola entrata. Apro la porticina e mi ritrovo nella imponente cattedrale. La sua visione è stupefacente: è immensa; provo un leggero senso di rispetto e di inquietudine. Percorro lentamente la navata centrale, ed esco dalla chiesa; mi siedo su di una delle panchine, continuando ad osservare il frontale della possente costruzione. Vi è un continuo viavai di persone, fedeli e sacerdoti. Passano le ore, e la tensione diventa più palpabile. E’ il tramonto. Rientro nella chiesa, ancora illuminata dalle ultime luci del tramonto, ma anche da alcune luci accese dai sacrestani. A quanto capisco sta per svolgersi una funzione. Mi siedo e aspetto, perdendomi nei miei pensieri. L’arrivo di Tetsuya mi distrae. Il momento si avvicina, e quindi dobbiamo stare uniti, mi dice. Ma io replico che li aspetterò qui. Lui allora fa per andarsene, ma io lo fermo, e gli chiedo in cosa crede. <<In me stesso.>> E’ la sua secca risposta. Non mi soddisfa. Non è quello che vorrei sentire, adesso. Lo lascio andare, e ripiombo nei miei pensieri. Come può qualcuno, arrivare persino a scegliere la morte per il proprio dio? Per me è inconcepibile… ma in cosa credo? La funzione, abbastanza noiosa, svolta tra l’altro in una lingua che non capisco, passa velocemente. La gente comincia a sfollare. Io mi metto tra le ultime file, aspettando resti vuota. Quando tutti sono usciti, un sacrestano si avvicina a me, sussurrandomi che la chiesa sta per chiudere. Acconsento ad uscire. Un ultima occhiata negli occhi del giovane. Tutto ciò ha un che di ironico, e amaro: anche lui stasera potrebbe esser morto. Esco dalla chiesa, dirigendomi sul lato destro, dove prima avevo notato la piccola entrata. Mi acquatto nell’ombra, gli occhi puntati sulla porticciola, attento al minimo movimento. Passa si e no una mezz’oretta, quando si sentono rumori. Improvvisamente, un uomo nelle vicinanze, fa un salto altissimo, sfondando una delle finestre ed entrandoe nella cattedrale. Sarà uno degli uomini di Balder. E’ il momento. Temporeggio qualche minuto, poi sfondo con impeto la porticciola. Di tutta risposta, un colpo molto potente (non diretto a me) mi scaraventa nuovamente fuori. Impressionante! Entro nuovamente, e percorro qualche passo, quando da dietro di me, alcuni uomini mi attaccano. In breve il combattimento è a mio sfavore; l’ironia della sorte vuole che incontri nuovamente il giovane sacrestano di prima. Temo il peggio, e i miei compagni non si vedono ancora. Ad un certo punto però, un fulmine quasi polverizza i miei avversari. Vado avanti, ed in breve rincontro i miei compagni. Insieme affrontiamo, vittoriosamente, alcuni fedeli di Alexander. Finalmente ci possiamo addentare nella cripta. Spaventevole è la scia di cadaveri che superiamo. Si stanno dando da fare gli uomini del Giudice. Io e Tetsuya, in prima linea, raggiungiamo il primo livello della cripta. Avanziamo, quando, accanto alla statua, vediamo un uomo morente; il suo sangue macchia la pietra. Avanziamo, e dopo una breve corsa nelle tenebre più nere, in lontananza scorgiamo delle statue. Tante statue.
Nel mezzo del nostro cammino, si para una sorta di essere incorporeo, dalla forma umanoide. Uno spettro? Quando ci vede, il suo volto contrae, in una espressione terrificante; e altrettanto lo è il tremendo urlo che emette. Non è possibile, che diavolo è? Sono letteralmente terrorizzato. Lo sapevo, l’assenza della luna in cielo era un cattivissimo presagio… Da alcune tombe laterali si levano altri esseri, differenti, anche se, qualunque fosse la differenza, non risuona al mio occhio, ora piangente sangue. Il combattimento con loro è tremendo. Io e Tetsuya li fulminiamo parecchie volte, e il principe e Niana sono molto impegnati con le loro magie, curative e d’attacco. Uno di essi si rivolge a me, cominciando a disegnare, nel vuoto, il segno di una croce. Il mio terrore aumenta. Chiudo gli occhi, che mi bruciano, e mi lancio in carica. Non so se lo colpisco, ma non sembra subire parecchi danni. La croce che sta disegnando, diventa sempre più concreta. Ora siamo faccia a faccia, i suoi occhi mi terrorizzano sempre più. Non devo aver paura, non devo! Ma non ci riesco! Come può, chi è caduto, tornare in piedi… come può… D’improvviso, mi sento bruciare, e il respiro mi manca. Mi sembra di perdere i sensi, ma forse non è così. Quando mi sveglio, accanto a me c’è Laharal, che mi aiuta ad alzarmi in piedi. Non c’è tempo per le spiegazioni. Ci buttiamo in una corsa sfrenata, superiamo varie statue, che neanche guardo, per il timore… di imbattermi in altri esseri. Come se fosse il mio sguardo ad attrarli… dannata paura…Verso la quarta tomba, o forse la quinta…(non mi fermo a contarle), altri due spettri ci si parano ai lati di essa, mentre un terzo esce dalla statua, camminando a mezz’aria, in un secondo momento; stavolta il loro aspetto è ancor più minaccioso. Sebbene incorporei, le armi di cui sembrano dotati, fanno davvero male. Io e Tetsuya, quasi in sincronia, colpiamo ripetutamente i due cavalieri, più e più volte. Ma più li uccidiamo, più essi si rialzano… mi assale il terrore che il combattimento non finirà mai… e comincio ad avvertire il peso della stanchezza. Le ombre ci assalgono, si insinuano nei nostri animi, li smuovono, li bramano… una sensazione di assoluta freddezza… nell’anima... Quasi piango per la paura, ma non c’è tempo… non c’è mai tempo… <<esiste un’unica prospettiva>>… e s’è così, non può che essere quella della mia sopravvivenza… perché non voglio morire!! Finalmente giungiamo alla settima statua… Tetsuya, che ci ha preceduti, sta per afferrare il martello. Ma qualcosa glielo impedisce. Vari spettri si alzano, tra cui quello della giovane paladina che un tempo probabilmente aveva impugnato la temibile arma, e che ora ne brandisce una sorta di copia eterea. L’avventatezza del ronso viene subito punita: i tre spiriti si accaniscono subito su di lui, lasciandolo tramortito: devo aiutare il mio amico! Mi butto nella mischia, la spada levata in alto, lame di energia fendono l’aria. Mi balena in mente l’idea che, se prendo il martello, lo lasceranno in pace. Non ci riesco, però, ottengo ciò che volevo, ora sono su di me, anche se non so fino a quando resisterò. Senza contare che, lei si sta lentamente risvegliando, ed io non voglio! Lotto con tutte le mie forze... perchè adesso! Ma sono allo stremo, e ormai tra due fuochi. E lei è pronta e fa la sua comparsa...
Quando mi risveglio, sento come se la mia anima fosse stata dilaniata, quasi che ci avessero giocato al tiro alla fune. Ma, ancora una volta, non c’è tempo. Non c’è mai tempo per noi uomini, mai! <<Cosa dirai al tuo generale, che avevi bisogno di tempo per stare da solo?>> Niana mi spinge in avanti, come a darmi forza. Li vedo così… attivi, ed io? Corro, corro, e raggiungo il ronso, intento a trasportare il pesante martello, per aiutarlo. Durante il tragitto, si sentono scosse… chissà come starà andando la situazione a Balder e ai suoi. Afferro il martello dalla testa, aiutando il ronso, così da poter andare più velocemente. Il tempo stringe e incalza. Anche in due, devo dire che quel coso pesa enormemente. Superiamo, una dopo l’altra, tante statue, non saperi dire quante, dato che non mi fermo nemmeno a guardare… tra la tensione e lo sforzo, non riesco a contare. Tuttavia, arrivata a… la nona, o forse l’ottava, Tetsuya, si ferma. Dinanzi a noi, una figura malinconica. Che posso fare io, che posso dire. Tetsuya cerca di passare senza fargli del male, ma lei non molla. Io lo assecondo. Probabilmente la mia indecisione sul da farsi, non lo aiuta proprio. Se solo avessi poco più di… volontà… ma proprio, proprio non ci riesco! <<Esiste una sola prospettiva…>> ancora quelle parole, ancora uno scontro che non prevede compromessi, o loro, o noi! Alla fine, sebbene Tetsuya ne sia contrariato, distruggiamo parte della statua, e l’anima appare ora dimezzata; ma non vuole mollare. Finalmente l’intervento di Kleotikitas la distrae, dandoci il tempo di andare avanti. Corriamo con tutta la forza che abbiamo residua in corpo, ormai debilitati. D’improvviso, una intensa luce bianca ci ferisce. Cado a terra, Tetsuya si volta e gli faccio segno di andare avanti: sono alla fine, e la luna non c’è, non potrei vederla di qua… mamma… bevo una boccetta, mi rialzo, corro, raggiungo il ronso. L’unidicesima statua, si rivela quella giusta. Una figura imponente, ma non per questo immobile, anzi. La statua di quest’uomo sembra racchiudere, nella sua immobilità, il movimento. Un’aperta contraddizione. Quasi, mi sembra un peccato doverla distruggere. Così come dover distruggere la memoria di un uomo, che, a quanto ho capito, sarà come se non fosse mai esistito o qualcosa del genere. Esiste punizione peggiore? L’anima che ne esce fuori, appare diversa dalle altre, per un verso più… corporea… dentro di sé, la profondità di un cielo stellato. Chiudo gli occhi, come a voler evitare ciò che mi attende, ma prima osservo Tetsuya. Ci intendiamo alla grande, ultimamente. Con un’ultima spinta ci avventiamo sulla tomba; io, che tengo il martello dalla parte terminale, lancio con tutte le mie forze, e Tetsuya esegue il colpo. Sento i rumori di qualcosa che s’infrange. Mi butto a terra, o meglio, cado, esausto, con la coscienza che è finita...
Sono ancora a terra, quando un forte rumore mi fa aprire gli occhi. A pochi metri da noi un’immensa figura di luce, che ha sfondato il pavimento, distruggendo qualsiasi cosa nel suo movimento, si sta ergendo. In breve, la volta della cripta è sfondata, così come la sovrastante chiesa; si riesce persino a scorgere il cielo notturno sopra di noi, il Generale Balder sotto di noi. Mi domando cosa stia succedendo laggiù; mi alzo, e mi sporgo a vedere. Dopo una sanguinosa lotta contro un essere di luce simile al precedente ma di grandezza umana, Balder uccide un uomo che riconosco essere stato lo stesso che, nel pomeriggio, aveva svolto la funzione: ironico, no? Avevo avuto il Papa di Alexander a pochi metri da me senza saperlo... Successivamente, il Cavaliere del Giudice, in evidente stato di stanchezza, apre il portone dinanzi a sé, e vi entra. Non lo scorgo più.”
Vedi anche: Il Destino di Alexandria (dalla Trama)