GEMICS 20 11 2008
From Epcs Roma Tre
L'essere umano non è mai uguale a se stesso (1=1 è un'astrazione un'identità astratta) nel ripetersi c'è il riprendersi e tornare su di sé, ma cambia lo spazio/tempo. Il per sé sempre vuoto e sempre pieno. Il vuoto che io ho nel per sé viene riempito ogni volta con l’esistere qui e ora. Scelgo di essere come son. Con la riflessione cerco di dare delle spiegazioni all'esistenza. Do senso e quindi riempio il vuoto, quell'angoscia esistenziale propria dell'indeterminatezza dell'essere umano. L'aspetto positivo è che io non sono mai determinato, il per - sé è sempre vuoto e perciò, posso sempre scegliere, non sono costituito, ma da costituire, non sono mai assoluto ma sempre relativo. Il vuoto della indeterminazione, del dubbio su chi sono io e insieme anche angoscia perché io non so mai chi sono o dove vado. Il futuro è sempre da fare.
Osservazione:
Analizziamo l'apparire dal punto di vista dell'osservazione:
1)noi non possiamo conoscere ciò che non appare, di ciò che non appare non possiamo dire nulla.
2)per esistere una cosa deve apparire. La cosa osservata ha bisogno di un osservatore.
Di ciò che appare, proprio perché appare, possiamo dire che “è”: ciò che "è" è: atemporale, indifferenziato, amorfo, quando ciò che "è" appare entra nel dominio del "per sè", diviene finito, collocato in uno spazio e in un tempo ma continua ad essere vuoto perché è da riempire continuamente.
Le cose si manifestano come sono? Solitamente si dice esprimiti (fai venir fuori qualcosa di più) meglio, come se ciò che si manifesta non fosse espressione di me. Il linguaggio è complice di una percezione dell’essere umano in cui il vero soggetto è nascosto nell’interiorità. Fuori e dentro, superficiale e profondo, nella nostra cultura, l’apparire è legato ad una sembianza ingannevole, ad un nascondere più che rivelare. Viene fatto l'esempio di ciò che appare perché "è": un albero. L'albero "non è più" perciò atemporale,indifferenziato, amorfo. Ha acquistato una forma, un tempo ed una definizione. E' uscito dalla materia del reale per diventare un oggetto di senso. La percezione che abbiamo dell'albero è data da una preconoscenza, da tale preconoscenza siamo portati a riconoscere l'albero con le sue tipiche caratteristiche. L'albero possiede un "in-sè" proprio che lo sostiene. Quando l'albero appare è nel per sé, perché per apparire ha bisogno di un osservatore che ne coglie le caratteristiche, che lo eleva dalla massa indifferenziata della materia. A questo punto entra in gioco la soggettività, il punto di vista che risiede nel "per sé". L'essere si manifesta solo perché esiste, perché appare.
L'apparire degli oggetti:
L'oggetto è, ma l'essere umano non è in grado di percepire la totalità dell'oggetto perché è limitato dalla propria soggettività, dal proprio punto di vista.
Es: dell'albero che ho davanti non ne vedrò mai la totalità perché sono limitato dal mio punto di vista, dalla mia soggettività. La totalità non ha però, altro modo di esprimersi che quello della temporalità. La totalità si rende temporale, quindi relativa.
Secondo la cultura greca la cosa più importante è ciò che non si vede: è l'anima, l’idea, ciò che non ha corpo, ciò che non ha materia. Invece per l'esistenzialismo ciò che conta, l'unica realtà è quella che esiste (appunto) nel mondo reale, quella che si vede e si manifesta; le cose non nascondono nulla non sono ciò che erano o ciò che saranno. L'esistenza abita nel presente, sono ora tutto ciò che possono essere.