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La Confessione di Fede di Westminster

Introduzione

La Confessione di fede di Westminster fu pubblicata per la prima volta nel 1646 ed era il prodotto di un'assemblea dei più pii ed eruditi teologi riformati dell'Ingh­ilterra e della Scozia del 17. secolo. Quando questa Confessio­ne venne presentata all'Assem­blea Generale della Chiesa di Scozia, fu dichiarato "su matura deliberazione" che essa era "fondata sulla Parola di Dio" e "giudicata sommamen­te ortodossa". Venne riconosciuto con riconoscenza a Dio il merito che una tale eccellente Confessio­ne fosse formulata e concordata in entrambi i regni. Dalla sua sanzione del 1647, molte acque sono passate sotto i ponti della teologia e della dottrina ed è triste riconoscere come in effetti si siano fatti numerosi passi indietro rispetto alle conquiste dottrinali della Confessione. La Chiesa non è stata carente di coloro che sono stati pronti a screditare la sua eccellenza e a promuovere il suo abbandono. Essa però è fondata sulla solida roccia della Scrittura, ed essa esprime il giudizio più maturo dell'erudizio­ne riformata sugli elementi fondamentali della fede cristiana. A causa della sua fedeltà alle Scritture essa assume un valore permanente ed una durevole rilevanza. La Chiesa di Cristo non può stare senza Credo e vivere. E' suo dovere (specialmente in un tempo di dubbio e di confusione) definire e proclamare la fede cristiana al mondo. Il lettore, riconoscendo il supremo valore della Parola di Dio in materia di fede e di pratica, potrà volgersi a questa Confessio­ne come un canone subordinato per trovare in essa un tesoro spirituale che potrà donare luce, conforto e forza.

INDICE DEL CONTENUTO

1.Le Sacre Scritture 2.Dio e la Santa Trinità 3.L'eterno decreto di Dio 4.La creazione 5.La divina provvidenza 6.La caduta dell'uomo, il peccato, la sua punizio­ne 7.Il patto di Dio con l'uomo 8.Cristo, il mediato­re. 9.Il libero arbitrio. 10. La chiamata efficace. 11. La giustific­azio­ne. 12. L'adozio­ne. 13. La santificazione. 14. La fede salvifi­ca. 15. Il ravvedimento che porta alla vita. 16. Le buone opere. 17. La perseveranza dei santi. 18. La sicurezza della grazia e la salvezza. 19. La legge di Dio. 20. La libertà del cristiano e la libertà di coscienza. 21. Il culto e il riposo sabbatico. 22. I giuramenti e i voti legittimi. 23. L'autorità civile. 24. Matrimonio e divorzio. 25. La chie­sa. 26. La comunione dei santi. 27. I sacramenti. 28. Il battesimo. 29. La cena del Signo­re. 30. La disciplina ecclesiastica. 31. I sinodi e i concili. 32. Lo stato dell'uomo dopo la morte e la risurrezione dei morti. 33. Il giudizio finale.


1. LE SACRE SCRITTURE

1. Sebbene già, attraverso le nostre facoltà naturali e le opere della creazione e della provvidenza noi si possa conoscere molto di Dio, cioè le sue perfezioni invisibili, la sua eterna potenza e divinità, tanto da renderci inescusabili (1), questo non è sufficiente per darci quella conoscenza di Dio e della sua volontà che sono necessarie alla nostra salvez­za (2). Per questo il Signore si è compiaciuto, molte volte e in molte maniere, di rivelare sé stesso a noi e di proclamare la sua volontà alla sua Chiesa (3). In un secondo tempo, per meglio preservare e propagare la verità e per consolidare e difendere la Chiesa dall'influenza corruttri­ce della natura umana e della malizia di Satana e del mondo, Egli ha fatto in modo che questa rivelazione fosse messa per iscrit­to (4). Le Sacre Scritture diventano perciò indispens­abi­li (5) essendo cessate tut­te le altre forme in cui Dio rivelava la sua volontà al suo popo­lo (6).

(1) Ro. 2:14,15; Ro. 1:19,20; Sl. 19:1‑3; Ro. 2:1. (2) ­1 Co. 1:21; 1 Co. 2:13,14. (3) ­Eb. 1:1. (4)­ Pr. 22:19,20,21; Lu. 1:3,4; Mt. 4:4,7,10­; Is. 8:19,20. (5) 2 Ti. 3:15; 2 Pi. 1:19­. (6) Eb. 1:1,2.

2. Sotto il nome di Sacre Scritture o Parola di Dio scritta, vengono compresi ora tutti i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, cioè: Del­l'Antico Testame­nt­o:

Dell'Antico Testamento: Genesi (Ge.), Esodo (Es.), Levitino (Le.), Numeri (Nu.), Deuteronomio (De.), Giosuè (Gs.), Giudici (Gd.), Ruth (Ru.), 1 Samuele (1 Sa.), 2 Samuele (2 Sa.), 1 Re, 2 Re, 1 Cronache (1 Cr.), 2 Cronache (2 Cr.), Esdra (Ed.), Nehemia (Ne.), Ester (Et.), Giobbe (Gb.), Salmi (Sl.), Proverbi (Pv.), Ecclesiaste (Ec.), Cantico dei Cantici (Ca.), Isaia (Is,), Geremia (Gr.), Lamentazioni (La.), Ezechiele (Ez.), Daniele (Da.), Osea (Os.), Gioele (Gl.), Amos (Am.), Abdia (Ab.), Giona (Ge.), Michea (Mi.), Nahum (Na.), Abacuc (Ab.), Sofonia (So.), Aggeo (Ag.), Zaccaria (Za.), Malachia (Ma.).

Del Nuovo Testamento: Matteo (Mt.), Marco (Mc.), Luca (Lu.), Giovanni (Gv.), Atti (At.), le lettere dell'apostolo Paolo ai Romani (Ro.), 1 Corinzi (1 Co.), 2 Corinzi (2 Co.), Galati (Ga.), Efesini (Ef.), Filippesi (Fl.), Colossesi (Cl.), 1 Tessalonicesi (1 Te.), 2 Tessalonicesi (2 Te.), 1 Timoteo (1 Ti.), 2 Timoteo (2 Ti.), Tito (Tt.), Filemone (Fl.); l'epistola agli Ebrei (Eb.), l'epistola di Giacomo (Gm.), 1 epistola di Pietro (1 Pi.), 2 epistola di Pietro (2 Pi.), 1, 2, 3 epistola di Giovanni (1/ 2/ 3/ Gv.), l'epistola di Giuda (Gd.), la Rivelazione di Giovanni (Ap.).

Tutti questi libri ci sono stati dati per ispirazio­ne di Dio e devono essere la regola della fede e della vi­ta (7).

(7) Lu. 16:29,31; Ef. 2:20; Ap. 22:18,19; 2 Ti. 3:16.

3. I libri comunemente chiamati Apocrifi, non essendo di ispirazione divina, non fanno parte del canone della Scrittura, e quindi non possono costituire autorità nella Chiesa di Dio, né essere altrimenti approvati o usati, diversa­mente da qualsiasi altro umano libro (8).

(8) Lu. 24:27,44; Ro. 3:2; 2 Pi. 1:21.

4. L'autorità delle Sacre Scritture, per la quale devono essere credute ed obbedite, non dipende dalla testimonian­za di alcun uomo, o chiesa, ma completamente da Dio (che è verità in sé stesso), loro autore, e devono quindi es­sere ricevute, perché è la Parola di Dio (9).

(9) 2 Pi. 1:19,21; 2 Ti. 3:16; 1 Gv. 5:9; 1 Te. 2:13.

5. Vi sono molti motivi per i quali possiamo essere mossi od indotti dalla testimonianza della Chiesa ad un'alta e riverente stima delle Sacre Scrittu­re (107), per la sublimità della materia, l'efficacia della dottrina, la maestà dello stile, il consenso di tutte le sue parti, lo scopo dell'inte­ra opera (quello cioè di dare gloria a Dio), la piena scoperta che esse fanno dell'uni­ca via per la salvezza dell'uomo, le molte altre incomparabili eccellenze: questi sono argomenti che provano abbondantemente trattarsi della Parola di Dio. Ciononostante, la nostra piena persuasione e sicurezza dell'in­fallibile verità e della divina autorità della stessa, ci provengono dall'opera interiore dello Spirito Santo che ne rende testimo­nianza attraverso e con la Parola nei nostri cuo­ri (11).

(1­0) 1 Ti. 3:15. (11) 1 Gv. 2:20,27; Gv. 16:13,14; 1 Co. 2:10‑12; Is. 59:21.

6. L'intero consiglio di Dio riguardo a tutte le cose necessarie alla sua propria gloria, la salvezza umana, la fede e la vita, può(1) o venire esplici­tamente espresso dal testo biblico, (2) o venire dedotto come conseguenza buona e necessaria del testo stesso. Ad esso nulla mai potrà essere aggiunto, sia per nuove rivelazioni dello Spirito o per tradizio­ne umana (12). Ciononos­tante, per la comprensione salvifica di ciò che è rivelato nella Scrittu­ra (13), riconosciamo necessaria l'illumina­zione interiore dello Spirito di Dio. Ciononostante rimangono questioni concernenti il culto che deve essere reso a Dio o il governo della Chiesa, - comuni alle azioni umane ed alla società - che possono essere regolate alla luce della natura e della cristiana discrezione, secondo i principi generali della Parola, i quali devono sempre essere osservati (14).

(12) 2 Ti. 3:15‑17; Ga. 1:8,9; 2 Te. 2:2. (13) Gv. 6:45; 1 Co. 2:9‑12.­ (14) 1 Co. 11:13,14; 14:26,40.

7. Tutto ciò che la Scrittura dichiara non è allo stesso modo ovvio né chiaro per tutti (15), ciononostante quelle cose che è necessario conoscere, credere ed osservare per la salvezza, sono così chiaramente proposte, ed aperte in una parte o in un'altra delle Scritture, che non solo l'erudito, ma anche l'incolto con mezzi ordinari, può arrivare a comprendere in modo sufficien­te (16).

(15) 2 Pi. 3:16. (16) Sl. 119:105,130.

8. L'Antico Testamento in ebraico (la madrelingua dell'antico popolo di Dio) e il Nuovo Testamento in greco (che, al tempo in cui è stato scritto, era la lingua più generalmente conosciuta fra le nazioni), essendo direttamen­te ispirati da Dio e, per sua singolare cura e provvidenza, mantenuti puri in ogni età, sono da considerarsi autentici (17). Ad essi soli, perciò, si deve fare appello, in ogni controversia di religione, come autorità ultima dalla Chie­sa (18). Dato per che le lingue originali non sono conosciute da tutto il popolo di Dio - il quale ha diritto di accedere alle Scritture e di beneficiarne, ed è tenuto, nel timore di Dio, di leggerle e di investiga­rle (19)- esse dovranno ­essere tradotte nella lingua volgare di ogni nazione alla quale pervengono (20), affinché, dimorando la Parola di Dio con abbondanza in tutti, esse possano rendere a Dio un culto accettevole (21) e, attraverso la pazienza ed il conforto delle Scritture, coltivare la speranza (22).

(17) Mt. 5:18. (18) Is. 8:20; At. 15:15; Gv. 5:39,46. (­19) 1 Gv. 5:39,46. (20) 1 Co. 15:6,9,11,1­2,2­4,27,28. (21) Cl. 3:16. (22) Ro. 15:4.

9. La regola infallibile di interpretazione della Scrittura è la Scrittura­ stessa e quindi, allorché sorga una questione circa il vero e pieno senso della Scrittura (che non è plurimo, ma uno), deve essere investigata e conosciuta in altri luoghi che parlino più chiaramen­te (237).

(23) Pi. 1:20,21; At. 15:15,16­.

10. Il giudice supremo mediante il quale ogni disputa religiosa dovrà essere ­appianata, ogni decreto di concili, opinione di antichi scrittori, dottrine umane, spiriti privati, dovranno essere esaminati, e alle cui sentenze dobbiamo­ trovare la nostra pace, non potrà essere altro che lo Spirito Santo che parla tramite le Scritture (247).

(24) Mt. 22:29,31; Ef. 2:20; At. 28:25.;2.

2. DIO E LA SANTA TRINITA' 1. C'è un solo Dio (25) vivente e vero (26), il quale è infinito nel suo essere e nella sua perfezione (27), spirito purissimo (28), invisibi­le (29), senza corpo, senza parti (30), diverso in natura da ­noi (31), immutabi­le (32), immen­so (33), eterno (34), che non si può investigare (35), onnipoten­te (36), il solo sommamen­te sag­gio (37), sommamente libero di fare tutto ciò che gli piace (38), libero da relazioni, limiti o circostanze particolari (39), che opera tutte le cose secondo il consiglio della propria volontà, immutabile e sommamente giusta (40), per la sua propria glo­ria (41); sommamente amorevo­le (42), misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in benignità e fedeltà, che perdona l'iniquità, la trasgressione ed il peccato (43); il rimuneratore di quelli che diligentemente lo cercano (44); come pure giusto e tremendo nei sui giudizi (45); che odia ed aborrisce ogni peccato (46), e che non terrà il colpevole per innocen­te (47). (25) De. 6:4; 1 Co. 8:4,6. (26) 1 Te. 1:9; Gr. 10:10. (27) Gb. 11:7‑9; 26:14. (28) Gv. 4:24. (29) 1 Ti. 1:17. (30) De. 4:15,16; Gv. 4:24; Lu. 24:39. (31) At. 14:11,15. ­(32) ­Gm. 1:17; Ml. 3:6. (33) 1 Re 8:27; Gr. 23:23,24. (3­4) Sl. 90:2. (36) (35) ­Sl. 145:3. Ge. 18:1; Ap. 4:8. (37) (37) Ro. 16:2. (38) Sl. 115:3. (39) ­Es. 3:14. (40) Ef. 1:11. (41) Pr. 16:4; Ro. 11:36. (42) ­Gv. 4:8,16. (43­) Es. 34:6,7. (44) ­E­b. 11:6. (45) Ne. 9:32. (46) ­Sl. 5:5,6. (47) Na. 1:2,3; Es. 34:7.


2. Siccome Dio ha tutta la vita (48), la glo­ria (49), la bontà (5­0), la beatitudi­ne (51), in sé stesso e da sé stesso, è unico, nel senso che è completamen­te sufficiente sia in sé stesso che per sé stesso, non avendo bisogno di alcuna delle sue creatu­re (52), né derivando gloria da esse (53). Al contrario, è Dio a manifestare la sua gloria in esse, per mezzo di esse, ad esse e su esse: Egli è l'unica fonte di tutta l'esistenza; da Lui, per mezzo di Lui e per Lui sono tutte le cose (54). Egli esercita un dominio assolutamente sovrano sopra di esse, al fine di fare, per mezzo di esse, tutto ciò che a Lui piace (55). Tutte le cose sono scoperte e manifeste ai suoi occhi (56). La sua conoscenza è infinita, infallibile e non dipende dalla creatura (57). Ne consegue che niente è per Lui contingente o incerto (58). Egli è assolutamente santo in tutto il suo consiglio, in tutte le sue opere, e in tutti i suoi comandamen­ti (59). Sia gli uomini che angeli, che ogni altra creatura gli devono tutta l'adorazio­ne, il servizio, o l'obbe­dienza che Egli si compiaccia di richiedere lo­ro (60).

(48) Gv. 5:26. (49) At. 7:2. (50) Sl. 119:68. (51) 1 Ti. 6:15; Ro. 9:5. (52) At. 17:24,25. (5­3) Gb. 22:2,3. (54) Ro. 11:36. (55) Ap. 4:11; 1 Ti. 6:15; Da. 4:25,35. (56) Eb. 4:13. (57) Ro. 11:33,34; Sl. 117:5. (58) ­At. 15:18; Ez. 11:5. (59) Sl. 145:17; Ro. 7:12. (60) Ap. 5:12,13,14.

3. Nell'unità della Deità vi sono tre persone, d'unica sostanza, potere ed eternità: Dio il Padre, Dio il Figlio, e Dio lo Spirito Santo (61). Il Padre non è stato generato né procede da qualsiasi altro; il Figlio viene eternamente ­generato dal Padre (62); lo Spirito Santo procede e dal Padre, e dal Fi­glio (63).

(61) 1 Gv. 5:7; Mt. 3:16,17; 28:19; 2 Co. 13:14. (6­2) Gv. 1:14,18. (63) Gv. 15:26; Ga. 4:6.;3.

3. L'ETERNO DECRETO DI DIO 1. Dio ha decretato dall'eternità, secondo il più saggio e santo consiglio della propria volontà, in modo libero ed immutabile, tutte le cose che avrebbero avuto luogo (64). Tuttavia ciò non implica affatto né che Dio sia autore di peccato (65); né che faccia così violenza alla volontà delle creature, né che sia eliminata la libertà o contingenza delle cause secondarie. Tutto ciò, al contrario viene stabilito (66).

(64) Ef. 1:1; Ro. 11:33; Eb. 6:17; Ro. 9:15,18. (65)­ Gm. 1:13,17; 1 Gv. 1:5,7. (66) At. 2:23; Mt. 17:12; At. 4:27,28; Gv. 19:11; Pv. 16:33.

2. Benché Dio conosca tutto ciò che può avvenire in tutte le condizioni immaginabi­li (67), non è mai stato indotto a decretare alcunché per il fatto di averlo previsto come qualcosa che avrebbe potuto verificarsi nel futuro o che sarebbe avvenuto in determinate situazioni (68).

(67) At. 15:18; 1 Sa. 23:11,12; Mt. 11:21,23. ­(68) Ro. 9:11,13,16,18.­

3. Per decreto di Dio e per la manife­stazione della sua gloria, alcuni uomini ed angeli (69) sono stati predestinati a vita eterna. Altri sono stati preordinati alla morte eterna (70).

(69) 1 Ti. 5:21; Mt. 25:41. (70) Ro. 9:22,23; Ef. 1:5,6; Pr. 16:4.

4. Gli angeli e gli uomini, predestinati e preordinati in questo modo sono così designati individualmente ed immutabilmente. Il loro numero è così certo ed definito che non può essere né aumentato né diminui­to (71).

(71) 2 Ti. 2:19; Gv. 13:18.

5. Quelli che, fra l'umanità, sono predestinati alla vita, Dio, prima della fondazione del mondo, secondo il suo eterno ed immutabile proposito ed il segre­to consiglio e beneplacito della sua volontà, li ha scelti in Cristo ad eterna gloria (72), sulla sola base di una libera grazia e per amore, senza alcuna preconoscenza di loro eventuali fede o buone opere o di persever­anza in alcuno di essi, né qualche altra cosa nella creatura come condizione o causa che Lo spingesse ad agire così (73): tutto a lode e gloria della Sua grazia (74).

(72) Ef. 1:4,9,11; Ro. 7:30; 2 Ti. 1:9; 1 Te. 5:9. (73) ­Ro. 9:11,13,16; Ef. 1:4,9. (74) Ef. 2:6,12.

6. Poiché Dio ha ordinato a gloria gli eletti, così Egli, con un sommamente libero ed eterno proposito della Sua volontà, ha stabilito tutti i mezzi necessari per realizzare questo obietti­vo (75). Di conseguenza coloro che sono stati eletti, essendo decaduti in Adamo, sono redenti da Cristo (76); vengono efficace­mente chiamati alla fede in Cristo tramite l'opera dello Spirito, il quale opera a tempo debito; vengono giustificati, adottati, santificati (77), nonché custoditi dalla Sua potenza mediante la fede in vista della salvez­za (78). Nessuno al di fuori degli eletti viene redento da Cristo, viene chiamato efficaceme­nte, giustificato, adottato, santificato e salva­to (79).

(75) 1 Pi. 1:2; Ef. 1:4,5; Ef. 2:10; 2 Te. 2:13. (76) 1 Te. 5:9,10; Tt. 2:14. (77) ­Ro. 8:30; Ef. 1:5; 2 Te. 2:13. (78) 1 Pi. 1:5. (79) Gv. 17:9; Ro. 8:28; Gv. 6:64,65; Gv. 10:26; Gv. 8:47; 1 Gv. 2:19.

7. Secondo l'inscrutabile consiglio della propria volontà per il quale Egli accorda o nega la misericordia come vuole per la gloria della sua potenza sovrana sulle sue creature, è piaciuto a Dio di tralasciare il resto dell'umani­tà e destinarlo a disonore e ad ira per il suo peccato, a lode e gloria della sua giusti­zia (80).

(80) Mt. 11:25,26; Ro. 9:17,18,2­1,22; 2 Ti. 2:19,20; Gd. 4; 1 Pi. 2:8.

8. La dottrina di questo grande mistero della predestinazione deve essere tratt­ata con una particolare prudenza e cura (81) affinché gli uomini che prestano attenzione alla volontà di Dio rivelata nella Sua Parola e che ubbidiscono ad essa possano essere sicuri della loro elezione eterna dalla certezza della loro vocazione effetti­va (82). In questo modo, la dottrina sarà motivo di lode, riverenza ed ammirazione per Dio (83) e sarà anche motivo di umiltà, diligenza ed abbondanza di consolazio­ne per tutti coloro che ubbidisco­no all'Evangelo con sincerità (84).

(81) Ro. 9:20; 11:33; De. 29:29. (82) 2 Pi. 1:10. (83) Ef. 1:6; Ro. 11:33. (84) Ro. 11:5,6,­20; 2 Pi. 1:10; Ro. 8:33; Lu. 10:20.;4.

4. LA CREAZIONE 1. E' piaciuto a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo (85), per la manifestazi­o­ne della gloria della Sua eterna potenza, sapienza e bontà (86), nel principio, creare o fare dal nulla il mondo e tutte le cose in esso, sia le visibili che le invisibili, nell'arco di sei giorni; e tutto era molto buo­no (87).

(78) Eb. 1:2; Gv. 1:2,3; Ge. 1:2; Gb. 26:13. (78) Ro. 1:20; Gr. 10:12; Sl. 104:24; Sl. 33:5,6. (87) Ge 1; Eb. 11:3; Cl. 1:16; At. 17:24

.2 Dopo aver fatto tutte le altre creature, Dio creò l'uomo, maschio e femmina (88), con un'anima razionale ed immortale (89), dotato di conoscen­za, giustizia e vera santità, ad immagine di Dio (90), con la legge di Dio scritta nel cuo­re (91), e con la capacità di adempier­vi (92). Tuttavia egli aveva la possibilità di trasgre­dir­la, essendo lasciato alla libertà della propria volontà la quale era soggetta a cambiamento (93). Oltre alla legge scritta nel cuore, l'uomo ricevette l'ordine di non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male (94). Finché osservò questo comandamen­to fu felice nella comunione con Dio ed ebbe dominio su tutte le altre creatu­re (95).

(88) Ge. 1:27. (89) Ge. 2:7; Ec. 12:7; Lu. 23:43; Mt. 10:28. (90) ­Ge. 1:26; Cl. 3:10; Ef. 4:24. (9­1) Ro. 2:14,15. (92) E­c. 7:29. (93) Ge. 3:6; Ec. 7:29. (94) Ge. 2:17; 3:8,9‑11,23. (95) Ge. 1:26,28.

5. LA DIVINA PROVVIDENZA 1. Dio, il grande Creatore di tutte le cose, sostiene (96), dirige, dispone e governa tutte le creature e tutte le cose (97), dalla più grande alla più picco­la (98), con la sua provvidenza assolutamente saggia e santa (99), secondo la Sua infallibile prescienza (100) ed il libero ed immutabile consiglio della sua volontà (101), alla lode della gloria della sua saggezza, potere, giustizia, bontà e misericor­dia (102).

(96) ­Eb. 1:3. (97) Da. 4:34,34; Sl. 135:6; At. 17:25,26,28­. (98) Mt. 10:29‑31. (99) Pr. 15:3; Sl. 104:24; 145:17. (100) At. 15:18; Sl. 94:8‑11. (101) Ef. 1:11; Sl. 33:10,11. (102) Is. 43:14; Ef. 3:10; Ro. 9:17; Ge. 45:7; Sl. 145:7.

2. Tutte le cose avvengono immutabilmente ed infalli­bilmente (103) in base alla prescien­za e ai decreti di Dio, il quale ne è la causa prima. Non avviene quindi alcunché ad alcuno per caso o al di fuori della sua provvidenza. Tuttavia Dio ordina che gli eventi si verifichi­no secondo l'ordine delle cause seconde, necessariamen­te, liberamente o contingentemen­te (104).

(103) At. 2:23. (104) Ge. 8:22; Gr. 31:35; Es. 21:13; De. 19:5; 1 Re 22:28,34; Is. 10:6.7.

3. Nella sua ordinaria provvidenza Dio fa uso di mez­zi (105), ma è libero di agire al di fuori di es­si (106), al di sopra di essi (107), e contro di es­si (108), quando vuole.

(105) At. 27:31,44; Is. 55:10,11; Os. 2:21,22. (106) Os. 1:7; Mt. 4:4; Gb. 34:10. (107) ­Ro. 4:19‑21. (108) Re 6:6; Da. 3:27.

4. La onnipotenza, la saggezza imperscrutabile e la bontà infinita di Dio si manife­stano così pienamente nella sua provvidenza che il suo determinato consi­glio si estende persino alla prima caduta e a tutte le altre azioni peccaminose sia di angeli che di uomini (109), e ciò non per un semplice permes­so (110), ma per un tipo di permesso in cui Egli ha incluso delle limitazioni veramente sagge e potenti (111), ordini e molteplici atti di governo per raggiungere i Suoi propri fini (112). Tuttavia, in tutti questi casi, la peccamino­sità sia degli angeli che degli uomini proviene soltanto da essi e non da Dio, il quale è assolutamente santo e giusto, e non può essere autore di peccato, né approvarlo (113).

(109) Ro. 11:32,33,­34; 2 Sa. 24:1; 1 Cr. 21:1; 1 Re 22:22,23; 1 Cr. 10:4,1­3,14; 2 Sa. 16:10; At. 2:23; 4:27,28. (110) At. 14:16. (111) Sl. 76:10; 2 Re 19:28. (112) Ge. 1:20; Is. 10:6,7,12. (113) Gm. 1:13,14,17; 1 Gv. 2:16; Sl. 50:21.

5. Dio, che è veramente saggio, giusto e benigno, spesso permette che i Suoi figli sperimentino per qualche tempo varie tentazioni e la corruzione del loro cuore, per punirli dei peccati commessi o per mostrare loro la forza nascosta della corruzione e la falsità ancora presente nel loro cuore, allo scopo di renderli umili (114) e spingerli ad una dipendenza più stretta e costante da Lui come loro sostegno, di renderli più vigili in futuro nei confronti del peccato, e in vista di molteplici scopi santi e giu­sti (115).

(114) 2 Cr. 32:25,26,31; 2 Sa. 24:1. (115) 2 Co. 12:7‑9; Sl. 77:1,10,12; Mr. 14:66ss; Gv. 21:15‑17.

6. Per quanto riguarda quegli uomini malvagi ed empi che Dio, come giusto giu­dice, ha reso spiritualmente ciechi ed ha indurito a causa dei loro peccati precedenti (116), Egli li priva non solo della grazia, che avrebbe potuto illuminare la loro mente e toccare il loro cuore (117), ma a volte ritira altresì i doni che hanno avuto (118), e li espone a certe circostanze che il loro cuore corrotto fa diventare occasione di pecca­to (119). Dio li abbandona alle loro concupiscenze, alle tentazioni del mondo ed al potere di Satana (120), cosicché alla fine si induriscono persino quando si trovano sotto le stesse influenze che Dio usa per toccare il cuore di al­tri (121).

(116) Ro. 1:24,26,­28; Ro. 11:7,8. (117) De. 29:4. (118) Mt. 13:12; 25:29.­ (119) De. 2:30; 2 Re 8:12,13. (120) Sl. 81:11,12; 2 Te. 2:10‑12. (121) Es. 7:3; 8:15,32; 2 Co. 2:15,16; Is. 8:14; 2 Pi. 2:7,8; Is. 6:9,10; At. 28:26,27.

7. La provvidenza di Dio, in generale, raggiunge tutte le creature. Tuttavia, in un modo specialissimo, Egli si prende cura della sua chiesa, disponendo ogni cosa per il bene d'es­sa (122).

(122) 1 Ti. 4:10; Am. 9:8,9; Ro. 8:28; Is. 43:3‑5,14.;6.

7. LA CADUTA DELL'UOMO, IL PECCATO, E LA SUA PUNIZIONE 1. I nostri progenitori sedotti dall'astuzia e dalla tentazione di Satana, peccarono mangiando il frutto proibito (123). E' piaciuto a Dio, secondo il suo saggio e santo consiglio, permettere questo loro peccato, avendo deciso di usarlo alla sua propria glo­ria (124).

(123) Ge. 3:13; 2 Co. 11:3. (124) Ro. 11:32.

2. Essi decaddero, per questo peccato, dalla loro rettitudine originale e dalla loro comunione con Dio (125). Nel peccato conobbero la morte (126) e si contaminarono totalmente in ogni loro parte e in ogni loro facoltà fisica e spiritua­le (127).

(125) Ge. 3:6,7,8; Ec. 7:29; Ro. 3:23. (126) ­Ge. 2:17; Ef. 2:1. (127) Tt. 1:15; Gr. 17:9; Ro. 3:10‑18.

3. Essendo essi la radice di tutta l'umanità, il loro peccato venne imputa­to (128) alla loro posterità, e ad essa fu trasmessa, attraverso l'ordinario processo di generazione, la stessa morte nel peccato e la stessa natura corrot­ta (129).

(128) Ge. 1:27,28; 2:16,17; At. 17:26; Ro. 5:12‑19; 1 Co. 15:21,22,45,49. (129) Sl. 51:5; Ge. 5:3; Gb. 14:4; 15:14.

4. Tutte le effettive trasgres­sioni sono la conseguenza di questa corruzione originaria (130) che ci ha resi inadatti, inabili ed avversi ad ogni bene (131) e totalmente inclini ad ogni ma­le (132).

(130) Gm. 1:14,15; Ef. 2:2,3; Mt. 15:19. (131) ­Ro. 5:6; 8:7; 7:18; Cl. 1:21. (132) Ge. 6:5; 8:21; Ro. 3:10‑12.

5. Durante questa vita, la corruzione della natura permane anche in coloro che sono rigenerati (133). Benché perdonata e mortific­ata per mezzo di Cristo, questa natura corrotta con tutte le sue tendenze, è infatti veramente e propriamente peccaminosa (134).

(133) 1 Gv. 1:8,10; Ro. 7:14,17,18­,23; Gm. 3:2; Pr. 20:9; Ec. 7:20. (134) Ro. 7:5,7,8,25; Ga. 5:17.

6. Ogni peccato, sia quello originale che effettivo, essendo una trasgressi­one della giusta legge di Dio, e quindi ad essa contrario (135), sottopone il peccatore, per sua propria natura, al giudizio di Dio (136), lo rende passibile dell'ira di Dio (137) ed della maledizione della legge (138), e così alla morte (139), con tutte le miserie spi­rituali (140), tempora­li (141) ed eterne (142) ad essa attinenti.

(135) 1 Gv.3:4. (136) Ro. 2:15; 3:9; 19. (137) Ef. 2:3. (138) Ga. 3:10. (139) Ro. 6:23. (140) Ef. 4:18. (141) ­Ro. 8:20; La. 3:39. (142) Mt. 25:41; 2 Te. 1:9.

8. IL PATTO DI DIO CON L'UOMO­ 1. La distanza fra Dio e la creatura è così grande che, sebbene le creature dotate di ragione gli debbano obbedienza come loro Creatore, esse non avrebbero mai potuto godere un rapporto con Lui prima che Egli non avesse condisceso ­liberamente a stipulare con essi un patto per regolare tale rapp­orto (143).

(143) Is. 40:13‑17; Gb. 9:32,33; 1 Sa. 2:25; Sl. 113:5,6; 100:2,3; Gb. 22:2,3; 35:7,8; Lu. 17:10; At. 17:24,25.­

2. Il primo patto stipulato con l'uomo fu un patto d'opere (144). Dio promise ad Adamo ed alla sua proge­nie (145) la vita, a condizione che egli Gli avesse personalm­ente obbedito in modo perfet­to (146).

(144) Ga. 3:12. (145) Ro. 10:5; 5:12‑20. (146) Ge. 2:17; Ga. 3:10.

3. Essendosi l'uomo con la sua caduta reso incapace alla vita per quel patto, è piaciuto al Signore di stabilirne un secon­do (147), comunemente chiamato il Patto della Grazia. In esso Egli offrì gratuitamente ai peccatori vita e salvezza tramite Gesù Cristo, richieden­do da parte loro, per poter essere salvati, la fede in Lui (148). In esso Egli promise pure di dare il Suo Spirito Santo a tutti coloro che sono ordinati a vita eterna, rendendoli volen­terosi e capaci di credere (149).

(147) Ga. 3:21; Ro. 7:3; 3:20,21; Ge. 3:15; Is. 42:6. (148) Mr. 16:5,16; Gv. 3:16; Ro. 10:6,9; Ga. 3:11. (149) Ez. 36:26,27; Gv. 6:44,45.

4. Questo patto di grazia viene presenta­to spesso nelle Scritture con il nome di testamento in riferimen­to alla morte di Gesù Cristo, il Testatore, ed all'eredità eterna lasciata con tutte le cose che ad essa appartengo­no (150).

(150) Eb. 9:15‑17; 7:22; Lu. 22:20; 1 Co. 11:25.

5. Questo patto era amministrato in modo diverso ai tempi della legge e ai tempi dell'Evangelo (151). Sotto la legge veniva amministrato per mezzo di promesse, di profezie, di sacrifici, della circoncisione, dell'agnello pasquale, e di altri tipi ed ordinanze dati al popolo giudaico che prefiguravano tutti in Cristo che doveva venire (152). Queste ordinanze erano per quel tempo sufficienti ed efficaci, per mezzo dell'opera dello Spirito, ad istruire e ad edificare gli eletti nella fede nel Messia promesso (153), per mezzo del quale ottenevano la piena remissione dei peccati e la vita eterna. Questo è l'antico testamen­to (154).

(15­1) 2 Co. 3:6‑9. (152) Eb. 8,9,10; Ro. 4:11,12; 1 Co. 5:7. (153) 1 Co. 10:1‑4; Eb. 11:13; Gv. 8:56. (154) Ga. 3:7‑9,14.­

6. Sotto l'Evangelo, Cristo, la sostanza (155), essendo rivelato, le ordinanze nelle quali questo patto viene dispensato sono la predicazione della Parola e l'amministrazione dei sacramenti del battesimo e della cena del Signore (156). Sebbene siano meno numerose e vengano amministrate con maggiore sempli­cità e con meno gloria esteriore, in esse il patto viene esteso a tutte le nazioni, sia ai Giudei che ai Gentili (157), con maggiore pienezza, evidenza ed efficacia spirituale (158). Questo è il nuovo Testamento (159). Perciò non vi sono due patti di grazia diversi nella sostanza, ma un unico patto sotto diverse dispensa­zioni (160).

(155) Cl. 2:17. (156) Mt. 28:19,20; 1 Co. 11:23‑25. (715) Mt. 28:19; Ef. 2:15‑19. (15­8) Eb. 12:22‑27; Ge. 31:33,34.­ (159) Lu. 22:20. (16­0) Gl. 3:14,16; At. 15:11; Ro. 3:21,22,23,30; Sl. 32:1; Ro­. 4:36,16,17,23,23; Eb. 13:8.

9. CRISTO, IL MEDIATO­RE 1. E' piaciuto a Dio, secondo il suo proponimento eterno, eleggere ed ordinare il Signore Gesù, il suo unigenito Figlio, ad essere mediatore fra Dio ed uomo (161), Profeta (162), Sacerdo­te (163), e Re (164), Capo e Salvatore della su Chiesa (165); Erede di tutte le cose (166), e Giudice di tutto il mondo (167). Fin dall'eternità Egli ha dato al Signore Gesù una proge­nie (168), la quale, nella dispensaz­ione del tempo, doveva essere da Lui redenta, chiamata, giustifi­cata, santificata e glorifica­ta (170).

(161) Is. 42:1; 1 Pi. 1:19,20; Gv. 3:16; 1 Ti. 2:5. (16­2) At. 2:22. (163) Eb. 5:5,6. (164) Sl. 2:6; Lu. 1:33. (165) Ef. 5:23. (166) ­Eb. 1:2. (167) At. 17:31. (168) Gv. 17:6; Sl. 22:30; Is. 53:10. (169) 1 Ti. 2:6; Is. 55:4,5; 1 Co. 1:30.

2. Il Figliolo di Dio, la seconda persona della Trinità, è il vero ed eterno Dio, lo splendore della gloria del Padre, della stessa sostanza ed uguale a Lui. Giunta la pienezza dei tempi, ha assunto la natura umana (170), con tutte le qualità essenziali e le sue infermità comuni, ad eccezione del pecca­to (171). Fu concepito dallo Spirito Santo nel seno della vergine Maria, della sua sostan­za (172). Così due intere, perfette e distinte nature, quella divina e quella umana, furono unite inseparabilmente in una sola Persona, senza tuttavia trasformarsi, senza confondersi, e senza sovrappor­si (172). Tale Persona è il Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ma pur tuttavia un solo Cristo, l'unico mediatore fra Dio e l'uomo (173).

(170) Gv. 1:1,14; 1 Gv. 5:20; Fl. 2:16l Ga. 4:4. (171) ­Eb. 2:14,16,17; Eb. 4:15. (172) Lu. 1:27,31,35; Gl. 4:4. (173) Lu. 1:35; Cl. 2:9; Ro. 9:5; 1 Pi. 3:18; 1 Ti. 3:16.

3. Il Signore Gesù, con la sua natura umana unita a quella divina, fu santifi­cato ed unto di Spirito Santo oltre misu­ra (174), avendo in sé stesso tutti i tesori della sapienza e della conoscen­za (175). Piacque al Padre di fare abitare in Lui tutta la pienezza (176), affinché essendo santo, innocente ed immacolato e pieno di grazia e di verità (177), potesse essere appieno fornito per esercitare l'ufficio di Mediatore e di Garante (178). Non assunse questa posizione e questo compito di per sé, ma fu chiamato ad assum­erli dal Padre (179), che gli ha dato ogni podestà ed autorità di giudicare e gli ha comandato di esercitare questi diritti (180).

(174) Sl. 45:7; Gv. 3:34. (175) Cl. 2:3. (176) Cl. 1:19. (177) Eb. 7:26; Gv. 1:14. (178) At. 10:38; Eb. 12:24; 7:22. (17­9) Eb. 5:4,5. (180) 7Gv. 5:22,27; Mt. 28:18; At. 2:36.

4. Il Signore Gesù accettò di assumersi molto volentieri questo compi­to (181). Per adempier­lo fu reso soggetto alla legge (182), che osservò perfettamen­te (183). Sopportò direttamente nella sua anima i tormenti più duri (184), nel suo corpo le sofferenze più dolorose (185), fu crocefisso, e morì (186). Fu sepolto e rimase sotto il potere della morte, senza per conoscere la corruzio­ne (187). Il terzo giorno risorse dai mor­ti (188), con lo stesso corpo con il quale aveva sofferto (189). Con esso pure Egli ascese al cielo, ed ora siede alla destra del Padre suo (190) e di là fa interces­sione (191). Ritornerà alla fine del mondo per giudicare u­omini ed angeli (192).

(181) Sl. 40:7,8; Eb. 10:5‑10; Gv. 10:18; Fl. 2:8. (182) Ga. 4:4. (183) Mt. 3:15; 5:17. (18­4) Mt. 26:37,38; Lu. 22:44; Mt. 27:46. (185) Mt. 26,27. (186) Fl. 2:8. (187) ­At. 2:23‑27; At. 13:37; Ro. 6:9. (188) 1 Co. 15:3‑5. (189) Gv. 20:25,27. (190) M­r. 16:19. (191) Ro. 8:34; Eb. 9:24; 7:25. (192) Ro. 19:9,10; At. 1:11; 10:42; Mt. 13:40‑42; Gd. 6; 2 Pi. 2:4.

5. Il Signore Gesù, con la sua perfetta obbedienza e il sacrificio di sé stesso o­fferto una volta per sempre a Dio mediante lo Spirito eterno, ha soddisfatto completa­mente la giustizia di suo Padre (193), ha ottenuto non solo la riconcilia­zione ma ha acquistato un'ere­dità eterna nel Regno dei cieli per tutti quelli che il Padre gli ha dato (194).

(193) Ro. 5:19; Eb. 9:14,16; 10:14; Ef. 5:2; Ro. 3:25,26. (194) ­Da. 9:24,26; Cl. 1:19,20; Ef. 1:11,14; Gv. 17:2; Eb. 9:12,15.

6. Sebbene l'opera della redenzione non venne realizzata di fatto da Cristo se non dopo la sua incarnazi­one, tuttavia la virtù, l'efficacia, e i benefici che ne conseguono furono comunicate agli eletti in tutte le età fin dall'inizio del mondo tramite le promesse, i tipi ed i sacrifici che accennavano a lui come alla progenie della donna che doveva schiacciare il capo al serpente e come all'agnello immolato fin dalla fondazione del mondo; poiché Egli è lo stesso, ieri, oggi ed in eterno (195).

(195) Ga. 4:4,5; Ge. 3:15; Ap. 13:8; Eb. 13:8.

7. Nella sua opera di mediatore, Cristo agisce secondo entrambe le sue nature, ognuna delle quali opera ciò che le è pro­prio (196). Tuttavia, data l'unità della sua persona, ciò che e proprio di una natura viene a volte attribuito dalla Scrittura all'altra (197).

(196) Eb. 9:14; 1 Pi. 3:18.­ (197) At. 20:28; Gv. 3:13; 1 Gv. 3:16.

8. La redenzione viene da Cristo applicata con certezza ed efficacia a tutti coloro per i quali Egli l'ha acquista­ta (198). Inoltre Egli intercede per loro (199), rivelando loro, nella Parola e tramite la Parola, i misteri della salvez­za (200), li persuade efficacem­ente tramite lo Spirito a credere e ad obbedire, governa i loro cuori con la sua Parola ed il suo Spirito (201), sconfigge tutti i loro nemici con la sua onnipoten­za e sapienza, tramite mezzi e modi consoni alla sua meravigliosa ed insondabile provvigio­ne (202).

(198) Gv. 6:37,39; Gv. 10:15,16.­ (19­9) 1 Gv. 2:1,2; Ro. 8:34. (200) ­Gv. 15:13,15; Ef. 1:7,8,9; Gv. 17:6. (201) Gv. 14:16; Eb. 12:2; 2 Co. 4:13; Ro. 8:9,14; 15:18,19; Gv. 17:17. (202) Sl. 110:1; 1 Co. 15:25,26; Ml. 4:2,2; Cl. 2:15.

10. IL LIBERO ARBITRIO 1. Dio ha dotato la volontà dell'uomo di una libertà naturale tale da non poter essere forzata né determinata da alcuna necessità di natura, a fare il bene o il ma­le (203).

(203) Mt. 17:12; Gm. 1:14; De. 30:19.

2. L'uomo, nel suo stato di innocenza, aveva libertà e capa­cità di volere e di fare ciò che è buono e accettevole a Dio (204), ma era libero, e perciò poteva decadere da questa condizione (205).

(204) Ec. 7:29; Ge. 1:26. (205) Ge. 2:16,17; 3:6.

3. A causa della sua caduta in stato di peccato, l'uomo ha perduto totalmente la capacità di volere qualsiasi bene spirituale che accompagni la salvez­za (206). Come uomo naturale, essendo totalmente avverso al bene spiritua­le (207) e morto nel peccato (208), non è capace, con le proprie fo­rze, di convertirsi né di disporsi alla conversio­ne (209).

(206) Ro. 5:6; 8:7; Gv. 15:5. (207) ­Ro. 3:10,12. (208) Ef. 2:1,5; Cl. 2:13. (209) Gv. 6:44,65; Ef. 2:2‑5; 2 Co. 2:14; Tt. 3:3‑5.

4. Quando Dio converte un peccatore e lo trasporta in uno stato di grazia, lo libera dalla schiavitù naturale al pecca­to (210), e per sola grazia lo rende capace di volere e di fare liberamente ciò che è spiritual­mente buono (211). Tuttavia, a causa della corruzione residua, il peccatore non vuole unicamente né perfettamente ciò che è buono, ma vuole anche ciò che è ma­le (212).

(210) Co­l. 1:13; Gv. 8:34,36. (211) Fl. 2:3; Ro. 6:18,22.­ (212) Ga. 5:17; Ro. 7:15‑23.

5. La volontà dell'uomo sarà resa immutabilmente e perfettamen­te libera di fare il bene solo nello stato di glo­ria (213).

(213) Ef. 4:13; Eb. 12:23; 1 Gv. 3:2; Gd. 24.

11. LA CHIAMATA EFFICACE 1. Piace a Dio di chiamare efficacemente (214), in un momento fissato ed accett­evole, coloro che sono predestinati a vita. Essi vengono chiamati per mezzo della sua Parola e del suo Spiri­to (215) dallo stato di peccato e di morte in cui si trovano per natura a quello di grazia e di salvezza per mezzo di Gesù Cristo (216). Egli illumina le loro menti spiritualme­nte e in modo salvifico perché possano capire le cose di Dio (217) e sostitui­sce i loro cuori di pietra con un cuore di car­ne (218). Rinnova la loro volontà e per mezzo della sua onnipotenza fa si che desiderino e seguano ciò che è buo­no (219). Li attira efficace­mente a Gesù Cristo (220). Tuttavia, mentre essi si avvicinano in tutta libertà, vengono resi ben disposti per mezzo della sua grazia (221).

(214) Ro. 8:30; 11:7; Ef. 1:10,11. (215) 2 Te. 2:13,14; 2 Co. 3:3,6. (216) Ro. 8:2; Ef. 2:1‑5; 2 Ti. 1:9,10. (217) ­At. 26:18; 1 Co. 2:10,12; Ef. 1:17,18. (218) Ez. 26:26. (21­9) Ez. 11:19; Fl. 2:13; De. 30:6; Ez. 36:27. (220) Ef. 1:19; Gv. 6:44,45. (221) Ca. 1:4; Sl. 110:3; Gv. 6:37; Ro. 6:16‑18.

2. Questa chiamata speciale proviene unicamente dalla grazia libera e speciale di Dio e non è motivata da alcunché che nell'uomo lo renda de­gno (222), anzi, in essa l'uomo rimane totalmente passivo fintanto che, risvegliato e rinnovato dallo Spirito Santo (223), egli è così posto in grado di risponde­re a questa chiamata, e di ricevere la grazia offerta e comunica­ta in es­so (224).

(2­22) 2 Ti. 1:9; Tt. 3:4,5; Ef. 2:4,5,8,9; Ro. 9:11. (22­3) 1 Co. 2:14; Ro. 8:7; Ef. 2:5.­ (224) Gv. 6:37; Ez. 26:27; Gv. 5:25.

3. I bambini eletti che muoiono durante l'infanzia vengono rigenera­ti e salvati da Cristo per mezzo dello Spirito (225) il quale opera quando, dove e come vuole (226). Ciò rimane vero anche per tutte le persone elette che non hanno la possibilità di essere chiamate esternamente per mezzo del ministero della Paro­la (227).

(225) Lu. 18:15,16; At. 2:38,39; Gv. 3:3,5; 1 Gv. 5:12; Ro. 8:9. (226) Gv. 3:8. (277) Gv. 5:12; At. 4:12.

4. Sebbene altri che non siano eletti possano essere chiamati mediante il ministero della Parola (228) e possano speriment­are alcune azioni comuni dello Spirito (229), tuttavia essi non vengono mai veramente a Cristo, e quindi non possono essere salvati (230). Tanto meno possono essere salvate quelle persone che non abbracciano la religione cristiana, per quanto siano dil­igenti nell'ordinare la loro vita secondo la luce della natura e la legge della religione che professano (231): asserire e sostenere che lo possano è molto pernicioso e deve essere detestato (232).

(228) Mt. 22:14. (229) Mt. 7:22; 13:20,21; Eb. 6:4,5. (230) Gv. 6:64‑66; 8:24. (231) At. 4:12; Gv. 14:6; Ef. 2:12; Gv. 4:22; 17:3. (232) Gv. 9‑11; 1 Co. 16:22; Gl. 1:6‑8.

11. LA GIUSTIFICAZIONE 1. Coloro che Iddio efficacemente chiama, quelli pure gratuitam­ente­ giustifi­ca (233). Questo non vuole dire che Egli infonda in loro la giustizia, ma che Egli perdona i loro peccati e considera ed accetta le loro persone come se fossero giuste. Questo avviene non perché Egli infonda od operi in loro alcunché, ma soltanto a causa di Cristo; non perché la loro fede, l'atto di credere, od ogni altra obbedienza evangelica siano loro consider­ate atti meritori di giustizia, ma unicamente perché viene loro accredi­tata l'obbe­dienza di Cristo, il quale solo ha soddisfatto per loro i requisiti della giusti­zia (234). La fede, perciò, significa ricevere la sua giustizia e trovare in essa la nostra pace, ed una fede che, comunque, non viene da noi, ma che è essa stessa dono di Dio (235).

(233) Ro. 8:30; 3:24. (234) ­Ro. 4:5‑8; 2 Co. 5:19‑28; Tt. 3:5,7; Ef. 1:7; Gr. 23:6; 1 Co. 1:30,31; Ro. 5:17‑19. (235) At. 10:44; Ga. 2:16; Fl. 3:9; At. 13:38,39; Ef. 2:7,8.

2. La fede, intesa come ricevere il beneficio dell'opera di Cristo e nel trovare in essa la nostra pace, è il solo strumento della giustificazio­ne (236), ma è sempre accompagnata, nella persona giustificata, da tutte le altre grazie salvifiche. Essa non è quindi una fede morta, ma una fede operante per mezzo dell'amore (237).

(236) Gv. 1:12; Ro. 3:28; Ro. 5:1. (237) Gm. 2:17,22,26; Ga. 5:6.

3. Cristo, mediante la sua obbedienza e la sua morte, ha pienamente saldato il debito di tutti coloro che sono giustifica­ti, e, per loro, ha reso una propria, reale e piena soddisfazione della giustizia richiesta dal Padre (238). Tuttavia, perché Egli fu per essi dato dal Padre (239), e la sua obbedienza ve­nne accettata come pienamente soddisfacente in loro ve­ce (240), (e tutto ­ciò incondizionatamente e non a causa di qualcosa che fosse in loro) essi sono giustificati completamente ed unicamente per una grazia incondizionata (241), affinché nella giustificazione dei peccatori fossero glorificate sia la giusti­zia assoluta che la grazia abbondante di Dio (242).

(238) Ro. 5:8,9,10,19; 1 Ti. 2:5,6; Eb. 10:10,14; Da. 9:24,26; Is. 53:4‑12. (­239) Ro. 8:32. (24­0) 2 Co. 5:21; Mt. 3:17; Ef. 5:2. (241) Ro. 3:24; Ef. 1:7. (242) Ro. 3:26; Ef. 2:7.

4. Fin dall'eternità Dio ha determinato di giustificare tutti gli eletti (243), e Cristo, nella pienezza dei tempi, è morto per i loro peccati ed è risorto per la loro giustificaz­ione (244). Ciononostante, essi non sono giustific­ati personal­mente finché lo Spirito Santo, a tempo debito, non applichi loro il beneficio di Cristo (245).

(243) Ga. 3:8; 1 Pi. 1:2,19,20; Ro. 8:30. (244) Ga. 4:4; 1 Ti. 2:6; Ro. 4:25. (245) Cl. 1:21,22; Ga. 2:16; Tt. 3:4‑7.

5. Dio continua a perdonare i peccati di coloro che sono giustificati (246), e sebbene mai possano scadere dal loro stato di giustificazione (24­7), tuttavia, a causa dei loro peccati, possono dispiacere a Dio, loro Padre. In questa condizione non splende per essi la luce del suo volto, finché non si umiliano, confessino i loro peccati, chiedano perdono e rinnovino la loro fede e il loro ravvedimento (248).

(246) Mt. 6:12; 1 Gv. 1:7,9; 1 Gv. 2:1,2. (247) Lu. 22:32; Gv. 10:28; Eb. 10:14. (24­8) ­Sl. 89:31‑33; 51:7‑12; 31:5; Mt. 26:75; 1 Co. 11:30,32; Lu. 1:20.

6. La giustificazione dei credenti durante il periodo dell'Antico Testamento era, in tutti questi particolari, esattamente uguale alla giustificazione dei credenti nel Nuovo Testamen­to (249).

(249) Gl. 3:9,13,14; Ro. 4:22‑24; Eb. 13:8.­;

12. L'ADOZIONE 1. Dio ha garantito che ‑in Cristo e per Cristo, il suo unigenito Figliolo ‑ tutti coloro che sono giustificati, partecip­assero alla grazia dell'adozio­ne (250), per la quale essi vengono uniti a coloro che sono figli di Dio e ne godono la libertà e i privilegi (251). Dio scrive il suo nome su di essi (252) ed essi ricevono lo Spirito di adozio­ne (253). Hanno accesso al trono della grazia con libertà e piena fiducia (254), a sono resi capaci di gridare: Abba, Pa­dre (254) ed Egli, come da un padre, è pietoso verso di loro (255), li proteg­ge (256), provvede loro (257), li corregge (258), giammai li rigetta (259), ma sono suggellati per il giorno della redenzione (260) quando erediteranno le promes­se (261) come eredi di una salvezza eter­na (262).

(250) Ef. 1:5; Ga. 4:4,5. (251) Ro. 8:17; Gv. 1:12. (25­2) Gr. 14:9; 2 Co. 6:18; Ap. 3:12. (253) Ro. 8:15. (254) ­Ga. 4:6. (255) Sl. 103:13. (256) Pv. 14:26. (257) Mt. 6:30,32; 1 Pi. 5:7. (258) Eb. 12:6. (259) ­La. 3:31. (26­0) Ef. 4:30. (261) Eb. 6:12. (262) 1 Pi. 13,4; Eb. 1:14.

13. LA SANTIFICAZIONE 1. Coloro che sono efficacemente chiamati e rigenerati, avendo Dio creato in essi un nuovo cuore ed un nuovo spirito, vengono ulteriormente, in modo vero e personale, santificati in virtù della morte e della risurrezione di Cristo (263) tramite la sua Parola ed il suo Spirito che dimora in loro (264). La signoria dell'intero corpo del peccato è annullata (265), ­le sua diverse concupiscenze vengono sempre più indebolite e mortificate (266), ed essi vengono sempre più vivificati e fortificati in tutte le grazie salvifi­che (267), per praticare la vera santità, senza la quale nessuno vedrà il Signo­re (268).

(263) 1 Co. 6:11; At. 20:32; Fl. 3:10; Ro. 6:5,6. (264) Gv. 17:17; Ef. 5:26; 2 Te. 2:13. (265) Ro. 6:6,14. (266) ­Ga. 5:24; 8:13. (267) Cl. 1:11; Ef. 3:16‑19. (268) 2 Co. 7:1; Eb. 12:14.

2. Questa santificazione si estende ad ogni parte dell'intera persona (269), tuttavia in questa vita essa è incompleta. Dei residui di corruzione vi rimangono in ogni loro par­te (270), tanto da vedervi una guerra continua ed irrirriconciliabile carne che ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito desideri contrari alla carne (271).

(269) 1 Te. 5:23. (270) 1 Gv. 1:10; Ro. 7:18. (271) Ga. 5:17; 12 Pi. 2:11.

3. Sebbene in questa guerra la corruzione residua possa prevalere per un certo tempo (272), tuttavia, grazie alla continua provvi­gione di forza che proviene dallo Spirito santificante di Cristo, la parte rigenerata prevale (273), e così i santi crescono nella grazia (274), perfezionando la santità nel timore di Dio (275).

(272) Ro. 7:23. (27­3) Ro. 6:14; 1 Gv. 5:4; Ef. 4:15,16. (274) 2 Pi. 3:18; 2 Co. 3:18. (275) 2 Co. 7:1.

14. LA FEDE SALVIFICA 1. La grazia della fede, per la quale gli eletti sono resi capaci di credere per la salvezza delle loro anime (276), è opera dello Spirito di Cristo nei loro cuori (277), ed è normalmente operata per mezzo del ministero della Paro­la (278). Essa viene anche aumentata e rafforzata mediante l'­amministrazione dei sacramenti e dalla preghiera (279).

(276) Eb. 10:39. (277) 2 Co. 4:13; Ef. 1:17‑19; 2:8.­ (278) Ro. 10:14,17. (279) 1 Pi. 2:2; At. 20:32; Ro. 4:11; Lu. 17:5; Ro. 1:16,17.

2. Per questa fede un cristiano crede alla verità di tutto ciò che è rivelato nella Parola in quanto in essa vi parla l'auto­rità di Dio stesso (280), agisce a seconda di ciò che un brano particolare comunica, ubbidendo ad esso (281), tremando alle sue minacce (282), ed abbracciando le promesse ­di Dio per questa vita e quella a venire (283). Gli atti principali della fede salvifica, però, sono accettare e ricevere Cristo, trovandovi la nostra pace, essendo da Lui giustifica­ti, santificati e ricevendone la vita eterna, in ­virtù del patto di gra­zia (284).

(280) Gv. 4:42; 1 Te. 2:13; 1 Gv. 5:10; At. 24:14. (281) Ro. 16:26. (282) Is. 66:2. (28­3) Eb. 11:13; 1 Ti. 4:8. (284) Gv. 1:12; At. 16:31; Gal. 2:20; At. 15:11.

3. Esistono vari gradi di fede salvifica, debole o for­te (285), può essere spesso ed in modi diversi assalita e indebolita, ma ne riporta sempre la vittoria (286), crescendo in molti fino al raggiungimento della completa certezza mediante Cristo (287), il quale è sia l'autore che il compitore del­la nostra fe­de (288).

(285) Eb. 5:13,14; Ro. 4:19,20; Mt. 6:30; 8:10. (286)­ Lu. 22:31,32; Ef. 6:16; 1 Gv. 5:4,5. (287­) Eb. 6:11,12; 10:22; Cl. 2:2. (288) ­Eb. 12:2.

15. IL RAVVEDIMENTO CHE PORTA ALLA VITA 1. Il ravvedimen­to che porta alla vita è una grazia dell'Eva­ngelo (287), la cui dottrina relativa deve essere predicata da ogni ministro dell'Evange­lo, allo stesso modo di quella riguardo alla fede in Cristo (288).

(287) Za. 12:10; At. 11:18. (288) Lu. 24:47; Mr. 1:15; At. 20:21.

2. Per esso il peccatore ‑considera­ndo e toccando con mano i suoi peccati non solo per la loro pericolosità, ma pure in quanto sono immondi e odiosi, contrari alla santa natura di Dio ed alla sua giusta legge, e attingendone la misericordia in Cristo per tutti coloro che si pentono ‑ così odia e si rammarica dei suoi peccati, tanto da volgersi da essi verso Dio (289), proponend­osi e sforzandosi di camminare con Lui in tutto ciò che i suoi comandamenti affermano (290).

(289) Ez. 18:30,31; 36:31; Is. 30:22; Sl. 51:4; Gr. 31:18,19; Gl. 2:12,13; Am. 5:15; Sl. 119:128; 2 Co. 7:11. (290) Sl. 119:6,59,106; Lu. 1:6; 2 Re 23:25.

3. Sebbene il ravvedimento in sé non possa essere considerato in alcun modo atto tale da soddisfare la giustizia di Dio dopo il peccato, né tantomeno su di esso si possa fondare alcuna pretesa di perdono (291), il quale è solo libero at­to della grazia di Dio in Cristo (292), esso permane per ciascun peccatore una necessità così importante che senza di esso nessuno può sperare di essere pe­rdonato (293).

(291) Ez. 36:31,32; 16:61‑63. (292) Os. 14:2,4; Ro. 3:24; Ef. 1:7. (729) Lu. 13:3,5; At. 17:30,31.

4. Se da una parte non c'è peccato tanto piccolo da non meritare dannazio­ne (294), così non c'è peccato tanto grande che possa dannare coloro che veramente se ne ravveda­no (295).

(294) Ro. 6:23; 5:12; Mt. 12:36. (295) Is. 55:7; Ro. 8:1; Is. 1:16,18.

5. Gli uomini non dovrebbero accontentarsi di un generico ravvedimento, ma è dovere di ciascuno adoprarsi nel ravvedersi di ogni peccato particolare che si commetta (296).

(296) Sl. 19:13; Lu. 19:8; 1 Ti. 1:13,15.

6. Se da un canto ogni persona è tenuta a confessare privatam­ente i suoi peccati a Dio, pregando per il loro perdono (297) ‑di fatto chi confessa le proprie trasgressioni e le abbandona otterrà misericordia (298)‑ dall'altro, colui che scandali­zza suo fratello, o la chiesa di Cristo, deve essere pronto, per mezzo di una confessione privata o pubblica, dove esprimerà dispiacimen­to per il suo peccato, dichiarare il suo pentimento davanti a coloro che ha offeso (299), i quali su questa base dovranno riconciliar­si con Lui e riaccoglierlo con amo­re (300).

(297) Sl. 51:4,5,7,9,­14; 32:5,6. (298) Pr. 28:13; 1 Gv. 1:9. (299) ­Gm. 5:16; Lu. 17:3,4; Gs. 7:19. (30­0) 2 Co. 2:8.

16. LE BUONE OPERE 1. Le buone opere sono solo quelle che Dio ha esplicitame­nte comandato nella sua santa parola (301), e non quelle che ‑senza la sanzione divina ‑ che gli uomini concepiscono dal loro zelo senza conoscen­za, o sotto il pretesto delle buone intenzio­ni (302).

(301) Mi. 6:8; Ro. 12:2; Eb. 13:21. (302) Mt. 15:9; Is. 29:13; 1 Pi. 1:18; Ro. 10:2; Gv. 16:2; 1 Sa. 15:21‑23.

2. Queste buone opere, compiute in obbedienza ai comandamenti di Dio, sono il frutto e l'evidenza di una fede vera e viven­te (303). Mediante esse i credenti manifestano la loro riconoscen­za (304), rendono sicura la loro vocazione ed elezione (305), edificano i loro fratelli (306), adornano la loro professione dell'Evange­lo (307), turano la bocca all'ignoranza degli uomini stolti (308), e glorificano Dio (309). Difatti i credenti sono fattura di Lui, essendo stati creati in Cristo Gesù in vista delle opere buo­ne (310) affinché, godendo del frutto della loro santifica­zione, abbiano per fine la vita eterna (311).

(303) Gm. 2:18,22. (304) Sl. 116:12,13; 1 Pi. 2:9. (305) 1 Gv.2:3,5; 2 Pi. 1:5‑10. (30­6) 2 Co. 9:2; Mt. 5:16. (307) Tt. 2:5‑12; 1 Ti. 6:1. (308) 1 Pi. 2:15. (309) 1 Pi. 2:12; Fl. 1:11; Gv. 15:8. (310) Ef. 2:10. (311) ­Ro. 6:22.

3. La loro capacità di compiere opere buone non deriva da loro stessi, ma totalmente dallo Spirito di Cristo (312). Affinché essi ne possano essere capaci, oltre alle grazie che già hanno ricevuto, è necessaria una specifica influenza dello stesso Spirito Santo, in quanto è Lui che opera in loro il volere e l'operare per la sua benevolen­za (313). Ciononost­ante essi non devono diventare negligenti, come se non fossero tenuti a compiere il loro dovere se non per specifico impulso de­llo Spirito, ma essi dovranno essere diligenti a ravvivare la grazia di Dio che è in loro (314).

(312) Gv. 15:4‑6; Ez. 36:26,27. (313) Fl. 2:13; 4:13; 2 Co. 3:5. (314) Fl. 2:12; Eb. 6:11,12; 2 Pi. 1:3,5,10,11; Is. 64:7; 2 Ti. 1:6; At. 26:6,7; Giuda 20,21.

4. Coloro che, nella loro obbedienza, raggiungo­no il massimo che possa essere co­mpiuto in questa vita sono ancora molto lontani da un zelo eccessivo e dal fare più di quanto Dio esige. Essi anzi mancano nei confronti di Dio in tante cose che hanno il dovere di fare (315).

(315) Lu. 17:10; Ne. 13:22; Gb. 9:2,3; Gl. 5:17.

5. Noi non possiamo, nemmeno per le nostre opere migliori, meritare da parte di Dio, il perdono dei nostri peccati o la vita eterna per il grande divario fra loro e la gloria a venire, e l'infinita distanza che c'è fra noi e Dio. Con le nostre opere noi non possiamo avere un qualche vantaggio né possiamo soddisfare­ Dio per il debito dei nostri peccati (316). Quando però noi abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo solo fatto il nostro dovere e siamo ancora servi inutili (317). Nella misura in cui le nostre opere sono buone, esse hanno origine nell'opera dello Spirito Santo (318), ma in quanto esse sono compiute da noi, esse ancora sono tanto contaminate e mescolate con debolezza ed imperfezione, che non potrebbero comunque reggere di fronte alla severità del giudizio di Dio (319).

(316) Ro. 3:20; 4:2,4,6; Ef. 2:8,9; Tt. 3:5,6,7; Ro. 8:18; Sl. 16:2; Gb. 22:2,3; 35:7,8. (317) Lu. 17:10.73187Gl. 5:22,23. (319) Is. 64:6; Gl. 5:17; Ro. 7:15,18; Sl. 143:2; 130:3.

6. Tuttavia, poiché i credenti come individui sono accettati per mezzo di Cristo, anche le loro buone opere sono accettate per mezzo di Lui (320). I credenti in questa vita non sono completamente irreprensibili e senza biasimo agli occhi di Dio (321), ma Egli li vede nel suo Figlio ed è contento di accettare e ricompensare ciò che è sincero, anche se è accompagnato da molte debolezze ed imperfezioni (322).

(320) Ef. 1:6; 1 Pi. 2:5; Es. 28:38; Ge. 4:4; Eb. 11:4. (321) Gb. 9:20; Sl. 163:2. (322) ­Eb. 13:20,21; 2 Co. 8:12; Eb. 6:10; Mt. 25:21,23.

7. Le opere compiute da persone non rigenerate, possono essere in sé stesse conformi a ciò che Dio comanda e possono fare del bene sia ai loro autori che agli altri (323). Tuttavia, per il fatto che non procedono da un cuore purificato dalla fede (324) e che non sono compiute nella maniera giusta secondo la Parola (325), né per il giusto fine, cioè la gloria di Dio (326), sono quindi peccaminose e non possono piacere a Dio, né rendere l'uomo atto a ricevere la sua grazia (327). Trascurare per queste opere è però ancora più peccamino­so e fa ancora più dispiacere a Dio (328).

(323) 2 Re 10:30,31; 1 Re 21:27,29; Fl. 1:15,16,18.­ (324) Ge. 4:5; Eb. 11:4,6. (325) 1 Co. 13:3; Is. 1:12. (326) Mt. 6:2,5,16. (327) Ag. 2:4; Tt. 1:5; Am. 5:21,22; Os. 1:4; Ro. 9:16; tt. 3:15. (328) ­Ag. 2:14; Tt. 1:15; Am. 5:21,22; Os. 1:4; Ro. 9:16; Tt. 3:5.

17. LA PERSEVERANZA DEI SANTI 1. Quelli che Dio ha accolto nel suo amato Figliolo, quelli che efficacemen­te ha chiamato e santificato per il suo Spirito, non possono scadere né totalmente né definitivamente dallo stato di grazia; anzi, persevereranno certamente in quello stato fino alla fine, e saranno salvati eternamente (329).

(329) Fl. 1:6; 2 Pi. 1:10,29; 1 Gv. 3:9; 1 Pi. 1:5,9.

2. Questa perseveranza dei santi non dipende dalla loro libera volontà, ma dall'immutabilità del decreto dell'elezione, il quale procede dall'amore gr­atuito ed immutabile di Dio Padre (330), dall'efficacia del merito e dell'inter­cessione di Gesù Cristo (331); dalla dimora in essi dello Spirito, dal seme di Dio presente in loro (332), e dalla stessa natura del patto di grazia (333). Tutti questi fattori danno luogo alla certezza ed infallibilità della perseveran­za dei santi (333).

(330) 2 Ti. 2:18,19; Ge. 31:3. (331) Eb. 10:10,14; 13:20,21; 9:12‑15; Ro. 8:33‑39; Gv. 17:11,24; Lu. 22:32; Eb. 7:25. (332) Gv. 14:16,17; 1 Gv. 2:27; 1 Gv. 3:9. (333) Ge. 32:40). (334) Gv. 10:28; 2 Te. 3:3; 1 Gv. 2:19.

3. I santi tuttavia possono cadere in peccati molto gravi (335) a causa delle tentazioni di Satana e del mondo, dal prevalere in essi della loro corruzione residua, e dal fatto di avere trascurato i mezzi che Dio ha provveduto per preservarli. E' possibile che continuino in questo stato (336) per un certo tempo, in modo da causare su di loro il dispiacere di Dio (337), da contri­stare il suo Spirito Santo (338) e da venire privati in qualche misura delle loro grazie e consolazioni (339), da subire l'indurimento del loro cuore (340) ed il ferimento della loro coscienza (341), da offendere e scandalizz­are gli altri (342) e da attirare su di sé giudizi tempora­nei (343).

(335) Mt. 26:70,72,74. (336) Sl. 51. (337) Is. 64:5,7,9; 2 Sa. 11:27. (338) Ef. 4:30. (339) Sl. 51:8,10,1; Ap. 2:4; Ca. 5:2‑6. (340) ­Is. 63:17; Mr. 6:52; 16:14. (341) Sl. 32:3,4; 51:8. (342) 2 Sa. 12:14. (343) Sl. 89:31,32; 1 Co. 11:32. 18. LA SICUREZZA DELLA GRAZIA E LA SALVEZZA 1. Sebbene vi possano essere ipocriti ed altre persone non rigenerate che, con false speranze e con presunzioni carnali, inutilmente ingannino sé stessi im­maginando di essere nel favore di Dio e in stato di salvezza (344), tale speranza sarà disillusa (345). Al contrario, quelli che veramente credono nel Signore Gesù, lo amano con sincerità, e si sforzano di camminare in buona cosci­enza davanti a lui, possono in questa vita avere la certezza d'essere in stato di grazia (346) e possono gloriarsi nella speranza della gloria di Dio e da una tale speranza non saranno mai delusi (347).

(344) Gb. 8:13,14; Mi. 3:11; De. 29:19; Gv. 7:41. (345) Mt. 7:22,23. (346) 1 Gv. 2:3; 3:14,18,19,21,24; 5:3. (347) Ro. 5:2,5.

2. Questa sicurezza non è semplicemente una convinzione ipotetica o probabile fondata su una speranza fallibile (348). E' invece una sicurezza di fede infallibile, che ha come fondamento la divina verità delle promesse di salvezza (349), l'evidenza interiore di quelle grazie alle quali queste pr­omesse sono congiunte (350), nonché la testimonianza dello Spirito di adozione che testimonia con il nostro spirito che noi siamo figlioli di ­Dio (351). Questo Spirito è pegno della nostra eredità, e con esso noi siamo suggellati fino al giorno della redenzione (352).

(348) Eb. 6:11,19. (349) Eb. 6:17,18. (350) 2 Pi. 1:4,5,10,11; 1 Gv. 2:3, 3:14; 2 Co. 1:12. (351) Ro. 8:15,16. (352) Ef. 1:13,14; 4:30; 2 Co. 1:21,22.

3. Questa sicurezza infallibile non fa parte dell'essenza della fede: un vero credente può aspettare a lungo e lottare contro tante difficoltà prima di esserne partecipe (353). Tuttavia, essendo reso capace dallo Spirito a conoscere le cose che Dio dà gratuitamente, egli potrà, senza alcuna rivelazione straordinaria, raggiungere questa sicurezza, se si serve dei mezzi della grazia in modo giusto (354). Perciò tutti hanno il dovere di impegnarsi a rendere sicura la loro vocazione ed elezione (355) affinché il loro cuore possa essere ripieno di pace e di gioia nello Spirito Santo, di amore e riconoscenza verso Dio, nonché di forza e di allegrezza nel compimento dei doveri di obbedien­za (356), i quali sono i frutti naturali della sicurezza, che non dispone certo gli uomini ad azioni dissolute (357).

(353) 1 Gv. 5:13; Is. 1:10; Mr. 9:24; Sl. 77:1‑12. (3­54) 1 Co. 2:12; 1 Gv. 4:13; Eb. 6:11,12; Ef. 3:17‑19. (355) 2 Pi. 1:10. (356) Ro. 5:1,2,5; 14:17; 15:13; Ef. 1:3,4; Sl. 4:6,7; 119:32. (357) 1 Gv. 2:1,2; Ro. 6:1,2; Tt. 2:11,12,14; 2 Co. 7:1; Ro. 8:1,12; 1 Gv. 3:2,3; Sl. 130:4; 1 Gv. 1:6,7.

4. La sicurezza della salvezza dei veri credenti può essere scossa, diminuita o interrotta in vari modi: o perché trascurano di preservarla, o perché sono caduti in qualche peccato particolare il quale ferisce la coscienza e contrista lo Spirito, o per una tentazione improvvisa e forte, o perché Dio ha nascosto la luce del suo volto, lasciando che anche quelli che lo temono camminino nelle tenebre senza una luce (358). Tuttavia i credenti non sono mai privati totalmente del seme di Dio, della vita della fede, dell'amore di Cristo e dei fratelli, della sincerità di cuore e della coscienza del proprio dovere. Per mezzo di queste cose e per l'opera dello Spirito è possibile con il tempo ravvivare la loro sicurezza (359) e nel frattempo queste grazie li preservano dalla totale disperazione (360).

(358) Ca. 5:2,3,6; Sl. 51:8,12,14; Ef. 4:30,31; Sl. 77:1‑10; Mt. 6:69‑72; Sl. 31:22; 88; Is. 50:10. (359) 1 Gv. 3:9; Lu. 22:32; Ge. 13:15; Sl. 73:15; 51:8,12; Is. 50:10. (360) Mi. 7:7‑9; Ge. 32:40; Is. 55:7‑10; Sl. 22:1.

19. LA LEGGE DI DIO 1. Dio diede ad Adamo una legge contenuta in un patto d'opere, per la quale Egli vincolò lui e tutta la sua discendenza, ad un'obbedienza personale, intera, rigorosa e perpetua, con una promessa di vita se vi avessero adempiuto, ed una minaccia di morte se l'avessero violata. Contemporaneamente fu data ad Adamo la forza e la capacità di adempier­vi (361).

(361) Ge. 1:26,27; 2:17; Ro. 2:14,15; 10:5; 5:12,19; Ga. 3:10,12; Ec. 7:29; Gb. 28:28.

2. Questa legge, dopo la sua caduta, continua a rappresenta­re una regola per­fetta di giustizia e, come tale, fu data da Dio sul monte Sinai nei dieci coman­damenti, e scritta su due tavole (362). I primi quattro comandamenti contengono il nostro dovere verso Dio, e gli altri sei il nostro dovere verso l'uo­mo (363).

(362) Gm. 2:25; 2:8,10‑12; Ro. 13:8,9; De. 15:3; 10:4; Es. 24:1. (363) Mt. 22:37‑40.

3. Oltre a questa legge, chiamata generalmente la legge morale, piacque a Dio di dare al popolo di Israele, come ad una chiesa minorenne, delle leggi cerimo­niali che contenevano diverse ordinanze con significato tipologico. Queste ordinanze riguardavano in parte il culto, ed in esse era prefigurato Cristo con i suoi attributi, le sue qualità, le sue azioni, le sue sofferenze, i suoi bene­fici (364). Inoltre esse davano istruzioni intorno ai doveri morali (365). Tutte queste leggi cerimoniali sono state abrogate sotto il Nuovo Testamen­to (366).

(364) Eb. 9; 10:1; Gl. 4:1‑3; Col. 2:17. (365) 1 Co. 5:7; 2 Co. 6:17; Gd. 23. (366) Cl. 2:14,16,17; Da. 9:27; Ef. 2:15,16.

4. Al popolo di Israele, come società civile, Egli diede pure diverse leggi giu­diziarie che non sono più in vigore da quando gli ebrei cessarono di essere una nazione. Nessuno è più ora tenuto alla loro osservanza, benché i loro principi generali di giustizia siano ancora validi in campo mora­le (367).

(367) Es. 21, 22:1‑29; Ge. 49:10; 1 Pi. 2:13,14; Mt. 5:17,38,39; 1 Co. 9:8‑10.

5. La legge morale è vincolante per tutti, giustificati o no (368), e non soltanto in considerazione del suo contenuto, ma anche per rispetto all'autorità di Dio creatore che l'ha data (369). Cristo, nell'Evangelo, non annulla in nessun modo questa legge, anzi, rafforza notevolmente il nostro obbligo di osservar­la (370).

(368) Ro. 13:8,9,10; Ef. 6:2; 1 Gv. 2:3,4,7,8. (369) Gm. 2:10,11. (370) Mt. 5:17‑19; Gm. 2:8; Ro. 3:31.

6. I veri credenti non sono sotto la legge intesa come un patto basato sulle opere, per essere da essa giustificati o condannati (371). Tuttavia essa è loro molto utile come agli altri, perché come regola di vita li informa della volontà di Dio e del loro dovere, guidandoli ed impegnandoli a camminare conformemen­te ad essa (372). Inoltre essa rivela le contaminazioni peccaminose della loro natura, cuore e vita (373), in modo che essi, usandola per illuminare la loro coscienza, possano giungere ad una maggiore convinzione e ad un maggiore odio del peccato (374), ad una maggiore umiliazione per averlo commesso e ad una consapevole­zza maggiore del loro bisogno di Cristo e della perfezione della sua obbedien­za (375). Inoltre la legge è utile ai rigenerati per contenere la propria natura corro­tta in quanto essa vieta il peccato (376). Le minacce della legge servono a mostrare ciò che i peccati meritano e le afflizioni che essi causano in questa vita anche a chi è stato liberato dalla maledizione e dal rigore della legge (377). Allo stesso modo le promesse della legge mostrano ai credenti che Dio approva l'obbedienza, e quali benedizioni possano attendersi quando l'osser­vano (378). Non ricevono queste benedizioni per aver osservato la legge come un patto basato sulle opere (379). Se un uomo fa il bene e si ritira dal male soltanto perché la legge incoraggia il bene e scoraggia il male, ciò non vuol dire che egli sia sotto la legge e non sotto la gra­zia (380).

(371) Ro. 6:14; Gl. 2:16; 3:13; 44,5; At. 13:39; Ro. 8:1. (372) R­o. 7:12,22,25; Sl. 119:4‑61 Co. 7:19; Gl. 5:14‑23. (373) 7Ro. 7:7; 3:20. (374) G­m. 1:23‑25; Ro. 7:9,14,24. (375) Gl. 3:24; Ro. 7:24,25; 7:3,4. (376) Gm. 2:11; Sl. 119:101,104,128. (37­7) Ed. 9:13,14; Sl. 89:30‑34. (378) Le. 26:1‑14; 2 Co. 6:16; Ef. 6:2,3; Sl. 37:11; Mt. 5:5; Sl. 19:11. (379) Gl. 2:16; Lu. 17:10. (380)­ Ro. 6:12,14; 1 Pi. 3:8‑12; S. 34:12‑16; Eb. 12:28,29.

7. I suddetti modi di usare la legge non sono contrari alla grazia del­l'Evangelo, ma s'accordano perfettamente con essa (381). Infatti lo spirito di Cristo sottomette la volontà dell'uomo e la rende capace di fare liberame­nte e con gioia ciò che la volontà di Dio, rivelata nella legge, esi­ge (382). (381) Gl. 3:21. (382) Ez. 36:27; Eb. 7:10; Ge. 31:33.

20. LA LIBERTA' DEL CRISTIANO E LA LIBERTA' DI COSCIENZA 1. La libertà che Cristo ha acquistato per chi crede nell'Evangelo consiste: ­nella liberazione dalla colpa del peccato, dall'ira e dalla condanna di Dio, dal rigore e dalla maledizione della legge morale (383), dal presente secolo malvagio, dal potere di Satana, dal dominio del peccato (384), dai mali causate dalle afflizioni, dalla paura e dal dardo della morte, dalla vittoria della tomba e dalla dannazione eterna (385). Questa libertà si esprime anche nel libero accesso a Dio (386) e nella capacità di obbedire a Dio e nella capa­cità di obbedire a Dio, non per paura servile, ma con un amore docile e una mente volenterosa (387). Tutte queste libertà erano comuni pure a tutti i credenti che vivevano sotto la legge (388), ma sotto il Nuovo Patto la libertà dei cristiani si è ulterior­mente estesa perché essi sono stati liberati dal giogo della legge cerimoniale alla quale era soggetta la chiesa ebraica (389). Inoltre i cristiani hanno una maggiore libertà di accesso al trono della grazia (390) ed un'esperienza più ampia dell'azione dello Spirito di Dio rispetto a quello ordi­nariamente goduto dai credenti vissuti sotto la legge (391).

(383) Tt. 2:14; 1 Te. 1:10; Gl. 3:13. (384) Gl. 1:4; Cl. 1:13; At. 26:18; Ro. 6:14. (385) ­Ro. 8:28; Sl. 119:71; 1 Co. 15:54‑57; Ro. 8:1. (386) R­o. 5:1,2. (387) Ro. 8:14,15; 1 Gv. 4:18. (388) Gl. 3:9,14. (389) Gl. 4:1‑3,6,7; 5:1; At. 15:10,11. (3­90) Eb. 4:14,16; 10:19‑22. (391) ­Gv. 7:38,39; 2 Co. 3:13,17,18.

2. Dio solo è Signore sulla coscienza (392) e l'ha liberata da tutte le dottrine ed i comandamenti umani in qualche modo contrari alla sua Parola, o collaterali ad essa per quanto riguarda la fede o il culto (393). Perciò credere a tali dottrine o obbedire a tali comandamenti per motivi di coscienza significa tradire la vera libertà di coscienza (394). Esigere una fede implicita o un obbedienza assoluta e cieca, significa annientare la libertà di coscienza ed anche la ragione (395).

(392) Gm. 4:12; Ro. 14:4. (393) At. 4:19; 5:29; 1 Co. 7:23; Mt. 23:8,9,10; 2 Co. 1:24; Mt. 15:9. (39­4) Cl. 2:20‑23; Gl. 1:10; 2:4,5; 5:1. (395) Ro. 10:17; 14:23; At. 17:11; Gv. 4:2; Os. 5:11; Ap. 13:12,16,17; Ge. 8:9.

3. Quelli che, con la scusa della libertà del cristiano, praticano qualche pec­cato, o serbano in cuore qualche concupiscenza, distruggono così facendo il fine stesso della libertà cristiana servire il Signore senza paura, in santità­ giusti­zia nel suo cospetto, tutti i giorni della nostra vita (396).

­(396) Gl. 5:12; 1 Pi. 2:6; 2 Pi. 2:19; Gv. 8:34; Lu. 1:74,75.

4. E poiché le autorità che Dio ha ordinato e la libertà che Cristo ha acquistato non sono intese da Dio per distruggere, ma per sostenersi e per preservarsi a vicenda, quelli che, con il pretesto della libertà del cristiano, si oppongono ad un'auto­rità legittima, civile od ecclesiastica che sia, o all'esercizio legittimo di questa autorità, resistono all'ordinanza di ­Dio (397). E per aver pubblicato opinioni o sostenuto principi che sono contrari alla luce della natura od ai principi conosciuti dal cristianesimo ­(riguardanti la fede, il culto, o la condotta o alla potenza della pietà, oppure opinioni o pratiche errate le quali in sé stesse o nel modo in cui vengono pubblicate o sostenute, sono nocive alla pace ed all'ordine esteriore che Cristo ha stabilito nella chiesa, essi possono essere chiamati a fornire spi­egazioni (398), e vedersi loro applicati provvedi­menti disciplinari sia per mezzo delle censure della Chiesa che dal potere del magistrato civile (399).

(397) Mt. 12:5; 1 Pi. 2:13,14,16; Ro. 13:1‑8; Eb. 13:17. (398) ­Ro. 1:32; 1 Co. 5:1,5,11,13; 2 Gv. 10,11; 2 Te. 3:14; 1 Ti. 6:8,4,5; Tt. 1:10,11,13; 3:10; Mt. 18:15‑17; 1 Ti. 1:19,20; Ap. 2:2,14,15,20; 3:9. (399) De. 13:6‑12; Ro. 13:3,4; 2 Gv. 10,11; Ed. 7:23‑28; Ap. 17:12,16,17; Neh. 13:15‑30; 2 Re 23:5,6,9,20,21; 2 Cr. 34:33; 15:12,13,16; Da. 3:20; 1 Ti. 2:2; Is. 49:23; Za. 13:2,3.

21. IL CULTO E IL RIPOSO SABBATICO 1. La luce della natura mostra che c'è un Dio che ha signoria e sovra­nità su tutto, che Egli è giusto e buono e che fa del bene a tutti. Perciò è degno di essere temuto, amato, lodato, invocato, creduto e servito con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la forza (400). Il modo accettevole di adorare il vero Dio, però, è stato rivelato da Lui stesso, e quindi le forme della nostra adorazione sono limitate dalla sua volontà rivelata. Non è lecito adorarlo secondo invenzioni e schemi umani, né secondo i suggerimenti di Satana, né con immagini, né in altri modi non prescritti dalle Sacre Scrit­tu­re (401).

(400) ­Ro. 1:20; At. 17:24; Sl. 119:68; Ge. 10:7; Sl. 31:23; 18:3; Ro. 10:12; Sl. 62:8; Gs. 24:14; Mc. 12:33. (401) De. 12:32; Mt. 15:9; At. 17:25; Mt. 4:9,10; De. 15:1‑20; Es. 20:4,5,6; Cl. 2:23.

2. Il culto religioso deve essere reso a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e a Lui solo (402); non ad angeli, santi o altre creatu­re (403); e dopo la caduta, questo non può avvenire senza un mediatore, né per mezzo di un mediatore diverso da Cristo solo (404).

(402) Mt. 4:10; Gv. 5:23; 2 Co. 13:14. (403) Cl. 2:18; Ap. 19:10; Ro. 1:25. (404) Gv. 14:6; 1 Ti. 2:5; Ef. 2:18; Cl. 3:17.

3. La preghiera, con ringraziamento, costituendo una parte speciale del culto religioso (405), viene richiesta da Dio a tutti gli uomini (406). Per essere accettevole, essa deve essere fatta nel nome del Figlio (407), con l'aiuto dello Spirito (408), secondo la sua vo­lontà (409), con intelligenza, rispetto, umiltà, fervore, fede, amore, e perseveranza (410), e, se con la voce, in una lingua conosciu­ta (411).

(405) Fl. 4:6. (406) Sl. 65:2. (407) Gv. 15:13,14; 1 Pi. 2:5. (408) Ro. 8:26. (409) 1 Gv. 5:14. (410) Sl. 47:7; Ec. 5:1,2; Eb. 12:28; Ge. 18:27; Gm. 5:16; 1:6,7; Mc. 11:24; Mt. 6:12,14,15; Cl. 4:2; Ef. 6:18. (411) 1 Co. 14:14.

4. Bisogna pregare per le cose lecite (412) e per ogni genere di uomini viven­ti, o che vivranno in futuro (413), ma non per i mor­ti (414), né per coloro di cui si sa che abbiano commesso il peccato che mena alla mor­te (415).

(412) 1 Gv. 5:14. (413) 1 Ti. 2:1,2; Gv. 17:20; 2 Sa. 7:29; Ru. 4:12. (414) 2 Sa. 12:21‑23; Lu. 16:25,26; Ap. 14:13. (415) 1 Gv. 5:16.

5. Fanno parte del culto religioso ordinario che si deve rendere a Dio: la lettura delle Scritture con santo timore (416); la sana predicazio­ne (417), e l'ascolto attento della Parola, in obbedienza verso Dio, con intelligenza, fede e riverenza (418); il canto dei salmi di tutto cuo­re (419); come pure la debita amministrazione e il degno ricevere dei sacramenti istituiti da Cristo (420). A questi vanno aggiunti, da effettuarsi in diversi tempi e stagioni, in modo santo e religioso (421): i giuramenti religiosi (422); i solenni digiuni (423), e i rendimenti di grazie in occasioni speciali (424).

(416) At. 15:21; Ap. 1:3. (417) Ti. 4:2. (418) Gm. 1:22; At. 10:33; Mt. 13:19; Eb. 4:2; Is. 66:2. (419) Cl. 3:16; Ef. 5:19. (420) ­Mt. 28:19; 1 Co. 11:23‑29; At. 2:42. (421) Eb. 12:28. (422) De. 6:13; Ne. 10:29, e i voti Is. 19:21; Ec. 5:4,5. (423) Gl. 2:12; Et. 4:16; Mt. 9:15; 1 Co. 7:5. (424) Sl. 107; Et. 9:22.

6. Nell'economia dell'Evangelo, né la preghiera, né alcun altra parte del culto religioso, è legata a, o resa più accettevole da, un qualsiasi luogo dove venga fatta, o verso il quale ci si rivolga (425). Bisogna rendere il culto a Dio in ogni luo­go (426) in spirito ed in verità (427); come per esempio ogni giorno­ (428) in famiglia (429), da soli nel segre­to (430), solennemente nelle assemblee pubbliche che non devono venire né trascurate né abbandonate per negligenza o intenzionalmente, poiché Dio, nella sua Parola ci chiama ad es­se (431).

(425) Gv. 4:21. (426) Ml. 1:11. (427) Gv. 4:23,24. (428) Mt. 6:11. (429) Ge. 10:25; De. 6:6,7; Gb. 1:5; 2 Sa. 4:18,20; 1 Pi. 3:7; At. 10:2. (430) Mt. 6:6; Ef. 6:18. (431) Is. 56:6,7; Eb. 10:25; Pv. 1:20,21,24; 8:34; At. 13:42; Lu. 4:16; At. 2:42.

7. Poiché secondo la legge naturale, in generale, una debita proporzione di tempo, per ordine divino, dovrebbe essere messo a parte per il culto di Dio, così Egli, nella sua parola, tramite un comando positivo, morale e perpetuo in tal senso, vincolante per tutti gli uomini di tutti i tempi, ha stabilito un giorno su sette come riposo sabbatico da consacrare a Lui (432). Dall'inizio ­del mondo fino alla risurrezione di Cristo il sabato era stato l'ultimo giorno ­della settimana, ma dopo la risurrezione di Cristo il giorno consacrato a Dio divenne il primo giorno della settimana (433), chiamato il giorno del Signore, o Domenica (434), per essere osservato fino alla fine del mondo come il riposo sabbatico cristiano (435).

(432) Es. 20:8,10,11; Is. 56:2,4. (433) Ge. 2:2,3; 1 Co. 16:1,2; At. 20:7. (434) Ap. 1:10. (435) Es. 20:8,10; Mt. 5:17,18.

8. Questo riposo sabbatico viene quindi consacrato al Signore da coloro che, dopo essersi debitamente preparati nell'intimo loro, e sistemando in precedenza tutte le loro faccende quotidiane, non solo osservano un santo riposo da tutte le loro opere, parole e pensieri riguardanti le loro occupazioni e ricreazioni terrene per tutta la giornata (436), ma occupano l'intero tempo negli esercizi pubblici e privati del culto a Lui dovuto, nonché ad opere di misericordia e di soccorso (437).

(436) Es. 20:8; 16:23‑30; 31:15‑17; Is. 58:13; Ne. 13:15‑22. (437) Is. 58:13; Mt. 12:1‑13.

22. I GIURAMENTI ED I VOTI LEGITTIMI 1. Un giuramento legittimo è un aspetto del culto religioso (438), per cui, in un'occasione appropriata, una persona, giurando solennemente, chiama Dio a testimoniare rispetto ciò che asserisce o promette, nonché a giudicarlo secondo la verità o falsità di ciò che giura (439).

(438) De. 10:20. (439) Es. 20:7; Le. 19:12; 2 Co. 1:23; 2 Cr. 6:22,23.

2. Il nome di Dio solo è ciò per cui si può giurare, ed esso deve essere usato con un santo timore e riverenza. Giurare quindi senza scopo o troppo in fretta con quel nome terribile e glorioso, o giurare per qualsiasi altra cosa, è peccaminoso ed è da aborrire (440). Ad ogni modo, quando si tratta di una questione importante e di una certa gravità, il giuramento è autorizzato dalla Parola di Dio sia nell'Antico come nel Nuovo Testamento (441). Perciò, quando un giuramento legittimo viene imposto da un'auto­rità legittima, esso può venire prestato (436).

(440) Es. 20:7; Ge. 5:7; Mt. 5:34,37; Gm. 5:12. (441) Eb. 6:16; 2 Co. 1:23; Is. 65:16. (442) 1 Re 8:31; Ed. 10:5.

3. Chiunque presta un giuramento dovrebbe debitamente considerare la gravità di un tale e simile atto, e quindi e non dovrebbe dichiarare null'altro che ciò per cui è persuaso essere assolutamente vero (443). Neppure potrà una persona legarsi da un giuramento rispetto a cose che non siano buone e giuste, e ciò che crede essere tale, nonché ciò che è in grado e deciso a realizzare (444). E' però un peccato rifiutarsi di prestare giuramento in qualsiasi cosa che, essendo buona e giusta, sia prescritto da un'autorità legittima (445).

(443) Es. 20:7; Ge. 4:2. (444) Ge. 24:2‑9. (445) Nu. 5:19,21; Ne. 5:12; Es. 22:7‑11.

4. Bisogna giurare secondo il senso naturale e più evidente delle parole, senza alcuna ambiguità o riserva mentale (446). Non potrà obbligare a peccare; ma in ogni cosa che non sia peccaminosa, quando lo si presta, esso obbliga ad adempierla, anche a proprio danno (447), né lo si può violare, anche quando viene reso a eretici o infedeli (448). (446) Ge. 4:2; Sl. 24:4. (447) 1 Sa. 25:22,32,33,­34; Sl. 15:4. (448) Ez. 17:16‑19; Gs. 9:18,19; 2 Sa. 21:1.

5. Un voto è della stessa natura che un giuramento promissorio, e dovrebbe ­essere fatto con cura religiosa ed adempiuto con altrettanta fe­deltà (449). (449) Is. 19:21, Ec. 5:4‑6; Sl. 61:8; 66:13,14.

6. Esso non deve essere fatto a creature, ma a Dio solo (450), e per essere ac­cettabile deve essere volontario, fatto per fede, e nella coscienza del proprio dovere, per riconoscenza per una misericordia ricevuta, o per ottenere ciò che desideriamo. Per esso noi ci leghiamo strettamente ad un dovere necessario, o ad altre cose, fintanto che ci debitamente vi possa condurvi (451).

(450) Sl. 76:11; Ge. 44:25,26. (451) De. 23:21‑23; Sl. 50:14; Ge. 28:20‑22; 1 Sa. 1:11; Sl. 66:13,14; 132:2‑5.

7. Nessuno può fare voto di compiere cose proibite dalla Parola di Dio, o cose che impedirebbero qualsiasi dovere ivi comandato, o cose che non si ha il potere di fare, o per l'adempimento delle quali non abbia promessa o capacità da parte di Dio (452). A questo riguardo i voti monastici papisti di castità permane­nte, di povertà professata, e di obbedienza ad una regola sono molto lontani dal costituire un livello di perfezione superiore e sono piuttosto simili a lacci superstiziosi e peccaminosi in cui nessun cristiano dovrebbe inciampa­re (453).

(452) At. 23:12,14; Mc. 6:26; Nu. 30:5,8,12,13. (453) Mt. 19:11,12; 1 Co. 7:2,9; Ef. 4:28; 1 Pi. 4:2; 1 Co. 7:23.

23. L'AUTORITA' CIVILE 1. Dio, il supremo Re e Signore di tutto il mondo, ha ordinato autorità civili sotto di Lui e sopra il popolo, per la propria gloria e per il bene pubblico. A questo fine le ha armate con il potere della spada, per la difesa e l'incorag­giamento di coloro che fanno il bene e per la punizione di coloro che fanno il male (454).

(454) Ro. 13:1‑4; 1 Pi. 2:13,14.

2. Quando è loro richiesto, è lecito per i cristiani accettare di eseguire i compiti comandati dall'auto­rità (455). Nello svolgimento di questo ufficio essi sono particolarmente responsabili di mantenere la pietà, la giustizia e la pace, secondo le giuste leggi dello stato (456). A questo fine possono legittimamente sotto il nuovo patto partecipare alla guerra se essa è giusta e necessa­ria (457).

(455) Pv. 8:15,16; Ro. 13:1‑4. (456) ­Sl. 2:10‑12; 1 Ti. 2:2; Sl. 82:3,4; 2 Sa. 23:3; 1 Pi. 2:13. (457) Lu 3:14; Ro.13:4; Mt. 8:9,10; At. 10:1,2; Ap. 17:14,16.

3. L'autorità civile non deve assumersi il diritto di amministrare la Parola o i sacramenti, né il potere delle chiavi del regno dei cieli (458). Tuttavia possiede autorità ed è suo dovere far si che nella chiesa l'unità e la pace siano preservate, che la verità di Dio sia mantenuta pura ed integra, che tutte le bestemmie ed eresie siano soppresse, che tutte le corruzioni ed abusi del culto e della disciplina siano impedite o riformate e che tutte le ordinanze di Dio siano debitamente stabilite, amministrate ed osservate (459). Per compiere meglio tutto ciò, egli ha il potere di convocare sinodi, di assistere ad essi e di prescrivere che tutto ciò che in essi viene trattato sia secondo la mente di Dio (460).

(458) 2 Cr. 26:18; Mt. 18:17; 16:19; 1 Co. 12:28,29; Ef. 4:11,12; 1 Co. 4:1,2; Ro. 10:15; Eb. 5:4. (459) Is. 49:23; Sl. 122:9; Er. 7:23‑28; Le. 24:16; De. 13:5,6,12; 2 Re 18:4; 1 Cr. 13:1‑9; 2 Re 24:1‑26; 2 Cr. 34:33; 15:12,13. (460) 2 Cr 19:8‑11; 29,30; Mt. 2:4,5.

4. Il popolo ha il dovere di pregare per l'autorità (461), di onorarla come si fa con ogni persona (462), di pagare ad essi i tributi o altre tas­se (463), di obbedire ai loro ordini legittimi, di essere soggetti alla loro autorità per motivo di coscienza (464). L'incredulità o una differenza di religione non rende invalido il giusto e legale potere delle autorità, neppure libera il popolo dal dovere di obbedire ad esse (465). Gli ecclesiastici non sono esenti da questo obbligo (466), tanto meno ha il Papa qualche potere o giurisdizione sopra di essi nei loro domini, o sopra gli abitanti di essi; meno ancora ha egli il potere di privarli dei loro domini, o delle loro vite se egli dovesse considerarli eretici o per qualsiasi altro prete­sto (467).

(461) 1 Ti. 2:1,2. (462) 1 Pi. 2:17. (463) Ro. 13:6,7.­ (464) Ro. 13:5; Tt. 3:1. (465) 1 Pi. 2:13,4,16. (466) Ro. 13:1; 1 Re 2:35; At. 25:9,10,11; 2 Pi. 2:1,10,11; Gd. 8‑11. (467) 1 Te. 2:4; Ap. 13:15‑17.

24. MATRIMONIO E DIVORZIO 1. Il matrimonio deve essere contratto fra un uomo solo e una donna sola. Non è lecito avere più di una moglie, né ad una donna avere più di un marito contemporaneamente (468).

(468) Ge. 2:24; Mt. 19:5,6; Pr. 2:17.

2. Il matrimonio fu istituito per l'aiuto reciproco fra marito e mo­glie (468), per l'accrescimento del genere umano per mezzo di una discend­enza legittima, e della chiesa per mezzo di figlioli santi (469), e per impedire l'immoralità (470).

(468) Ge. 2:18. (469) Ma. 2:15. (470) 1 Co. 7:2,9.

3. Possono legittimamente sposarsi persone d'ogni gente che siano in grado di dare il proprio consenso con giudizio (471). I cristiani, però, hanno il dovere di sposarsi nel Signore (472); quindi, quelli che professano la vera religione riformata non devono sposarsi con miscredenti, Papisti, o altri idolatri. Le persone pie non devono neppure mettersi sotto un giogo che non è per loro sposandosi con chi notoriamente si conduce malvagiamente nella sua vita o sostiene eresie degne della condanna di Dio (473).

(471) Eb. 13:4; 1 Ti. 4:3; 1 Co. 7:36‑38; Ge. 14:57,58. (472) 1 Co. 7:39. (473) Ge. 34:14; Es. 34:16; De. 7:3,4; 1 Re 11:4; Ne. 13:25,26,27; Ma. 2:11,12; 2 Co. 6:14.

4. Non bisogna contrarre matrimonio entro i gradi di consanguineità o affinità vietati dalla Parola (474). Tali matrimoni incestuosi non possono mai essere legittimati da una legge umana o dal consenso delle parti in modo da permettere che i contraenti vivano insieme come marito e moglie (475). L'uomo non può sposare membri della parentela di sua moglie che abbiano un grado di consanguineità stretto quanto i propri parenti, né può la donna sposare membri della parentela del marito che abbiano un grado di consanguineità stret­to quanto i propri parenti (476).

(474) Le. 18; 1 Co. 5:1; Am. 2:7. (475) Mc. 6:18; Le. 18:24‑28. (476) Le. 20:19‑21.

5. L'adulterio e la fornicazione scoperti dopo un contratto e scoperti prima del matrimonio sono un motivo legittimo perché la parte innocente possa annullare il contratto (477). Nel caso di adulterio dopo il matrimonio, la parte innocente può legittimamente iniziare una causa di divorzio (478) e, dopo il divorzio, sposare un altro come se l'offensore fosse morto (479).

(477) Mt. 1:18,19,20. (478) ­Mt. 5:31,32. (479) Mt. 19:9; Ro. 7:2,3.

6. Anche se la corruzione dell'uomo è tale che tende a trovare motivi per separare ingiustamente quelli che Dio ha unito in matrimonio, tuttavia nessun motivo, tranne l'adulterio o l'abbandono volontario tale che non possa essere riparato né dalla Chiesa né dal autorità civile, è una causa sufficiente per la dissoluzione del legame matrimoniale (480). Nel fare ciò bisogna seguire un procedimento pubblico ed ordinato e far si che le persone coinvolte non siano abbandonate alla propria volontà o discrezione per quanto riguarda il loro caso (481).

(480) Mt. 19:8,9; 1 Co. 7:15; Mt. 19:6. (481) De. 24:1‑4.


25. LA CHIESA 1. La chiesa cattolica o universale, la quale è invisibile, è composta dal numero completo degli eletti che sono stati, che sono, e che saranno raccolti insieme in unità, sotto Cristo, il Suo Capo. Essa è la sposa, il corpo, il compimento di Colui che porta a compimento ogni cosa in tut­ti (482).

(482) Ef. 1:10,22,23,27,­32; Cl. 1:18.

2. La chiesa visibile, la quale sotto l'Evangelo è pure cattolica o universale­ cioè non confinata ad una nazione come sotto la legge, consiste di tutti coloro che, nel mondo intero professano la vera religione (483), insieme ai loro figlioli (484). E' il regno del Signore Gesù Cristo (485), la casa e la famiglia di Dio (486), al di fuori dalla quale non v'è nessuna ordinaria pos­sibi­lità di salvezza (487).

(483) 1 Co. 1:2; 12:12,13; Sl. 2:8; Ap. 7:9; Ro. 15:9‑12.­ (484) 1 Co. 7:14; At. 2:39; Ez. 16:20,21; Ro. 11:16; Ge. 3:15; Ge. 17:7. (485) Mt. 13:47; Is. 9:7. (486) Ef. 2:19; 3:15. (487) ­At. 2:47.

3. A questa chiesa cattolica e visibile Cristo ha dato il ministero, gli oracoli, e le ordinanze di Dio, per il radunamento e la perfezione dei santi in questa vita fino alla fine del mondo; e per mezzo della propria presenza e del Suo Spirito, secondo la sua promessa, Egli li rende efficaci (488).

(489) 1 Co. 12:28; Ef.4:11‑13; Mt. 28:19,20; Is. 59:21.

4. Questa chiesa cattolica è stata a volte più, a volte meno, visibi­le (490) e le chiese particolari, membri di essa, sono più o meno pure a seconda della misura in cui la dottrina dell'Evangelo viene insegnato ed abbracciato, le ordinanze amministrate ed il culto pubblico celebrato con più o meno purez­za (491).

(490) Ro. 11:4; Ap. 12:6,14. (491) Ap. 2,3; 1 Co. 5:6,7.

5. Le chiese più pure sotto il cielo sono soggette a contaminazione e ad errore (492); alcune sono degenerate al punto da non essere più chiese di Cristo, ma sinagoghe di Satana (493). Ciononostante vi sarà sempre sulla terra una chiesa per rendere culto a Dio secondo la sua vo­lontà (494).

(492) 1 Co. 13:12; Ap. 2,3; Mt. 13:24‑30,47. (493) A­p. 18:2; Ro. 11:18‑22. (494) Mt. 16:18; Sl. 72:17; 102:28; Mt. 28:19,20.

6. Non v'è altro capo della chiesa se non il Signore Gesù Cri­sto (495). Il Papa di Roma non può essere in alcun senso il capo della chiesa, ma è l'anticristo, quell'uomo di peccato e figliolo di perdizione, il quale si innalza nella chiesa contro Cristo, e contro tutto quello che è chiamato Dio (496).

(495) ­Cl. 1:18; Ef. 1:22. (496) Mt. 23:8‑10; 2 Te. 2:8,9; Ap. 13:6.

26. LA COMUNIONE DEI SANTI 1. Tutti i santi che sono uniti a Gesù Cristo loro capo mediante il suo Spirito e per fede, hanno comunione con Lui nelle sue grazie, sofferenze, morte, risur­rezione, e gloria (497). Essendo uniti l'uno con l'altro nell'amore, essi godono della comunione dei rispettivi doni e grazie (498). Ad essi compete l'espletamen­to di tutti quei doveri pubblici e privati, che possono contribuire al bene comune, sia spiritualmente che materialmen­te (499).

(497) 1 Gv. 1:3; Ef. 3:16‑19; Gv. 1:16; Ef. 2:5,6; Fl. 3:10; Ro. 6:5,6; 2 Ti. 2:12. (498) Ef. 4:15,16; 1 Co. 12:7; 3:21,22,23; Cl. 2:19. (499) 1 Te. 5:11,14; Ro. 1:11,12,14; 1 Gv. 3:16‑18; Ga. 6:10.

2. I santi, secondo la professione della loro fede, sono tenuti a mantenere una santa comunione nel culto che a Dio deve essere reso, nonché nell'eserci­zio di altri servizi spirituali che promuovono la loro reciproca edificazio­ne (500). Devono anche darsi l'un l'altro sollievo materiale a seconda dei diversi bisogni e possibilità. Questa comunione, a seconda che Dio ne offra l'opportu­nità, deve essere estesa a tutti coloro che in ogni luogo invocano il nome del Signore Gesù (501).

(500) Eb. 10:24,25; At. 2:42,46; Is. 2:3; 1 Co. 11:20. (501) At. 2:44; 1 Gv. 3:17; 2 Co. 8:9; At. 11:29,30.

3. La comunione che i santi hanno con Cristo non li rende in alcun modo né partecipi della sostanza della sua deità, né uguali in alcun modo a Cristo: affermare questo sarebbe empio e blasfemo (502). Nemmeno potrà la comunione che l'uno ha con l'altro togliere o violare il diritto di ognuno ai suoi beni o proprietà (503).

(502) Cl. 1:18,19; 1 Co. 8:6; Is. 42:8; 1 Ti. 6:15,16; Sl. 45:7; Eb. 1:8,9. (503) Es. 20:15; At. 5:4.

27. I SACRAMENTI 1. I sacramenti sono sacri segni e suggelli del patto di grazia (504), istitui­ti direttamente da Dio (505) atti a rappresentare Cristo ed i suoi benefici, nonché a confermare la nostra comunione con Lui (506). Essi segnano una differenza visibile fra coloro che appartengono alla Chiesa dal resto del mondo (507) e solennemente li impegnano al servizio di Dio in Cristo, secondo la Sua Parola (508).

(504) Ro. 4:11; Ge. 17:7,10. (505) Mt. 28:19; 1 Co. 11:23. (506) 1 Co. 10:16, 11:25,26; Ga. 3:27, 3:17. (507) Ro. 15:8; Es. 12:48; Ge. 34:14. (508) ­Ro. 6:3,4; 1 Co. 10:16,21.

2. In ogni sacramento v'è un rapporto spirituale, o unione sacramentale, fra il segno e la cosa rappresentata per cui il nome e gli effetti dell'uno vengono attribuiti all'altro (509).

(509) Ge. 17:10; 26:27,28; Tito 3:5.

3. La grazia che viene stabilita in o attraverso i sacramenti, rettamente ammin­ist­rati, non viene conferita da un potere particolare in essi inerente, né l'effi­cacia di un sacramento dipende dalla pietà o dalle intenzioni di chi lo amministra (509), ma dall'opera dello Spirito (510) e dalla parola dell­'istituzione. Essa contiene, insieme ad un precetto che ne autorizza l'uso, la promessa di beneficio a tutti coloro che la ricevono degnamente (511).

(509) Ro. 2:28,29; 1 Pi. 3:21. (510) Mt. 3:11, 1 Co. 12:13. (511) Mt. 26:27,28; Mt. 28:19,20.

4. Vi sono solo due sacramenti ordinati da Cristo, il nostro Signore, nell'Evang­elo, cioè il Battesimo e la Cena del Signore, nessuno dei quali può essere amministrato da altri che un ministro della parola, legittimamente consacra­to (512).

(512) Mt. 28:19,20; 1 Co. 11:20,23; 1 Co. 4:1; Eb. 5:4.

5. I sacramenti dell'Antico Testamento, per quanto riguarda le cose spirituali in essi significate ed esibite erano sostanzialmente gli stessi che nel Nuo­vo (513).

(513) 1 Co. 10:1‑4.

28. IL BATTESIMO 1. Il battesimo è un sacramento del Nuovo Testamento, ordinato da Gesù Cri­sto (514) 1. non soltanto per la solenne ammissione del battezzando nella chiesa visibile (515), ma pure 2. per essergli segno e suggello del patto di gra­zia (516),3. del suo innesto in Cristo (517), 4. della rigene­razione (518), 5. della remissione dei peccati (519), 6. e della sua consacrazione a Dio attraverso Gesù Cristo per camminare in novità di vita (520). Questo sacramento, per esplicito comando di Dio, dovrà continuare ad essere amministrato nella Sua Chiesa fino alla fine del mon­do (521).

(514) Mt. 28:19. (515) 1 Co. 12:13. (516) Ro. 4:11; Cl. 2:11,12. (517) Ga. 3:27; Ro. 6:5. (518) Tt. 3:5. (519) Mc. 1:4. (520) Ro. 6:3,4. (521) Mt. 28:19,20.

2. Il segno esteriore da usarsi nel sacramento è l'acqua con la quale la persona dovrà essere battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, da un ministro dell'Evangelo legalmente designato (522).

(522) Mt. 3:11; Gv. 1:33; Mt. 28:19,20.

3. Non è necessario immergere una persona nell'acqua, ma il battesimo potrà essere giustamente amministrato versando o spruzzando l'acqua sulla perso­na (523).

(523) Eb. 9:10,19,20,21,22; At. 2:41; At. 16:33; Mc. 7:4.

4. Non solo coloro che professano una fede di fatto in Cristo e Gli obbediscono, ma pure i bambini di uno o due genitori credenti devono essere battezza­ti (523).

(523) Ge. 17:7,9,14; Cl. 2:11,12; At. 2:38,39; Ro. 4:11,12; Mt. 28:19; Mc. 10:13,14‑16; Lu. 18:15.

5. Sebbene sia un grave peccato disprezzare o trascurare questo segno (524), la grazia e la salvezza non sono unite inseparabilmente ad esso, come se una persona non potesse essere rigenerata senza di esso (525), oppure come se tutti i battezzati fossero indubbiamente rigenerati (526).

(524) Lu. 7:30; Es. 4:24,25,26. (­525) Ro. 4:11; At. 10:2,4,22,31,45,47. (52­6) At. 8:13,23.

6. L'efficacia del battesimo non è legata al momento in cui viene amministr­a­to (527), ciononostante, amministr­andolo correttamente, la grazia promessa non solo viene offerta nel sacramento, ma realmente conferita ed mostrata dallo Spirito Santo a tutti quelli che sia adulti che bambini, ai quali quella grazia appartiene, secondo il consiglio della volontà di Dio, al tempo da Lui stabili­to (528).

(527) Gv. 3:5,8. (528) Ga. 3:27; Tt. 3:5; Ef. 5:25,26; At. 2:38,41.

8. Il sacramento del battesimo non potrà che essere amministrato ad una persona solo una volta (529).

(529) Tt. 3:5.

29. LA CENA DEL SIGNORE 1. Il nostro Signore Gesù Cristo, nella notte in cui fu tradito, istituì il sacramento del suo corpo e del suo sangue, chiamato la Cena del Signore, affinché fosse osservata nella sua chiesa fino alla fine del mondo. Venne isti­tuita 1. come commemorazione perpetua del sacrificio che Egli fece di sé stesso nella sua morte, 2. come suggello di tutti i benefici d'essa verso i veri credenti, 3. per il loro nutrimento spirituale e per la loro crescita in Lui, 4. perché si impegnassero maggiormente ad assolvere tutti i loro doveri verso di lui, ed infine 5. perché essa costituisse un vincolo ed un pegno della loro comunione con Lui e gli uni con gli altri, come membri del suo corpo misti­co (530).

(530) 1 Co. 11:23‑26; 1 Co. 10:16,17,21; 12:13.

2. Questo sacramento è una commemorazione di quell'unica offerta di sé stesso che Egli ha compiuto una volta per sempre sulla croce, accompagnata dall'offerta spirituale a Dio di tutta la lode possibile per questo sacrifi­cio (531). Non si tratta in alcun modo di un vero sacrificio effettuato per la remissione dei peccati dei vivi e dei morti (532) e neppure in esso Cristo viene offerto a suo Padre. Il cosiddetto sacrificio della messa papista è una grande abominazio­ne che reca ingiuria a quell'unico sacrificio di Cristo, il quale solo la propiziazione per tutti i peccati degli elet­ti (533).

(531) 1 Co. 11:24‑26; Mt. 26:26,27. (532) Eb. 9:22,25,26,28.­ (533) Eb. 7:23,24,27; 10:11,12,14,18.

3. Nel celebrare quest'ordinanza il Signore Gesù ha stabilito che i suoi mini­stri debbano 1. proclamare al popolo le sue parole di istituzione; 2. pregare e benedire gli elementi del pane e del vino, sottraendoli così all'uso comune per riservarli ad un uso santo; 3. prendere e spezzare il pane; 4. prendere il calice e poi, 5. dopo aversene nutriti essi stessi, offrire entrambi gli elementi ai soli partecipanti (534) presenti in quel momento n­ell'assemblea (535).

(534) Mt. 26:26‑28; Mc. 14:22‑24; Lu. 22:19,20; 1 Co. 11:23‑26.­ (535) At. 20:7; 1 Co. 11:20.

4. Le messe private, il ricevere questo sacramento da un sacerdote, o da qualcun altro, da soli (536) come pure la negazione del calice al popolo (537); l'adorazione, l'elevazione e l'ostensione degli elementi, op­pure la loro conserva­zione per falsi usi religiosi, sono tutti atti contrari alla natura di questa ordinanza e a ciò che Cristo ha istitui­to (538).

(536) 1 Co. 10:6. (537) Mc. 14:23; 1 Co. 11:25‑29. (538) ­Mt. 15:9.

5. Gli elementi esteriori di questo sacramento, messi debitamente a parte per l'uso che Cristo ne ha stabilito, hanno un tale rapporto con Lui crocefisso, da venire a volte chiamati veramente ‑ma solo sacramentalmente ‑ con il nome di ciò che rappresentano, cioè il corpo ed il sangue di Cristo (539). Tuttavia, ­nella loro sostanza e natura essi rimangono ancora veramente e solamente pane e vino, tanto quanto lo erano prima (540).

(539) Mt. 26:26‑28. (540) 1 Co, 11:26‑28; Mt. 26:29.

6. La dottrina generalmente nota come transustanziazione, secondo cui la sostanza del pane e del vino viene trasformata nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo dopo la consacrazi­one da parte di un sacerdote o in qualche altro modo, è in contrasto non solo con la Scrittura, ma anche con il buon senso e la ragione. Inoltre essa sovverte la natura stessa del sacramento ed è stata ed è la causa di numerose superstizioni e di grossolane idolat­rie (541).

(541) At. 3:21; 1 Co. 11:24‑26; Lu. 24:6.

7. I partecipanti degni, che prendono esteriormente gli elementi visibili di questo sacramen­to (542), li ricevono anche interiormente e spiritualmente per fede, realmente e veramente, ma non carnalmente né corporalmente, e si cibano spiritualmente di Cristo crocefisso e di tutti i benefici della sua morte. Il corpo ed il sangue di Cristo non sono presenti né corporalmente né carnalmen­te in, con o sotto il pane ed il vino, ma sono veramente ma spiritualmente presenti alla fede di chi crede in questa ordinanza, così come gli elementi esteriori sono presenti ai loro sensi (543).

(542) 1 Co. 11:28. (543) 1 Co. 10:16

8. Sebbene le persone ignoranti e malvagie ricevano i segni esteriori di questo sacramento, esse non ne ricevono ciò che in esso è significato, ma il loro indegno accostarsi al sacramento li rende colpevoli verso il corpo ed il sangue del Signore, a propria dannazione. Per cui tutte le persone ignoranti ed empie, tanto come sono inadatte alla comunione con lui, così sono indegne della mensa del Signore, e non possono, senza peccare grandemente contro Cristo, rimanendo in questa loro condizione, partecipare a questi santi misteri (544), od esserne ammessi (545).

(544) 1 Co. 11:27,28,29; 2 Co. 6:14,15,16. (5­45) 1 Co. 5:6. 30. LA DISCIPLINA ECCLESIASTICA 1. Il Signore Gesù, come Re e Capo della sua Chiesa, ha stabilito in essa un governo, affidato ai funzionari della chiesa e separato da quello del autorità civile (546).

(546) Is. 9:6,7; 1 Ti. 5:17; 1 Te. 5:12; At. 20:17,18; Eb. 13:7,17,24; 1 Co. 12:28; Mt. 28:18‑20.

2. A questi funzionari sono affidate le chiavi del Regno di Dio, in virtù delle quali hanno il potere sia di ritenere che di rimettere i peccati, di chiudere le porte del Regno davanti agli impenitenti, sia per mezzo della Parola che con le censure, e di aprirle davanti ai peccatori pentiti per mezzo del ministero dell'Evangelo e per mezzo dell'assoluzione dalle censure, a seconda dei casi (547).

(547) Mt. 16:19; 18:17,18; Gv. 20:21‑23; 2 Co. 2:6‑8.

3. L'esercizio della disciplina ecclesiastica è necessaria: 1. per ricuperare e riguadagnare i fratelli trasgressori, 2. per dissuadere gli altri dal fare simili cose, 2. per togliere il lievito che potrebbe infettare tutta la pasta, 3. per vendicare l'onore di Cristo e la santa professione dell'Evangelo, 4. e per prevenire l'ira di Dio che potrebbe giustamente ricadere sulla Chiesa se si dovesse permettere che il suo patto insieme ai suoi suggelli fossero profanati dai trasgressori notori ed ostinati (548).

(548) 1 Co. 5; 1 Ti. 5:20; Mt. 6:6; 1 Ti. 1:20; 1 Co. 11:27ss; Gd. 23.

4. Per meglio conseguire questi scopi, i funzionari della Chiesa devono proced­ere con l'ammonimento, con la sospensione dal sacramento della Cena del Signo­re per un certo periodo, e con la scomunica dalla chiesa, a seconda della natu­ra del peccato e del demerito della persona (549).

(549) 1 Te. 5:12; 2 Te. 3:6,14,15; 1 Co. 5:4,5,13; Mt. 18:17; Tt. 3:10.

31. I SINODI ED I CONCI­LI 1. Per il migliore governo, ed ulteriore edificazione della chiesa, vi dovrebbero essere delle assemblee, generalmente chiamate sinodi o conci­li (550).

(550) At. 15:2,4,6.

2. Poiché le autorità civili possono convocare legittimamente un sinodo di ministri e di altre persone adatte con cui consultarsi e consigliarsi riguardo a questioni di religione (551), così, allo stesso modo, se le autorità do­vessero essere nemiche dichiarate della Chiesa, i ministri di Cristo, in virtù del loro ufficio, possono riunirsi in tali assemblee da soli oppure insieme a persone adatte delegate dalle chie­se (552).

(551) Is. 49:23; 1 Ti. 2:1,2; 2 Cr. 19:8ss; 2 Cr. 29:30; Mt. 2:4,5; Pv. 11:14. (552) At. 15:2,4,22‑25.

3. I sinodi ed i concili hanno il compito ministeriale di risolvere contro­versie di fede e casi di coscienza, di stabilire regole e direttive per ordinare meglio il culto pubblico di Dio ed il governo della sua chiesa, di ricevere proteste in casi di cattiva amministrazione e con autorità risolverle. Questi decreti e delibere, se conformi alla Parola di Dio, devono essere ricevuti con riverenza e sottomissione, non solo per il loro accordo con la Parola, ma anche per l'autorità con cui vengono fatti, il che è un'ordinanza di Dio, stabilita nella sua Parola (553).

(553) At. 15:15‑31; Mt. 18:17‑20.

4. Tutti i sinodi o concili fin dai tempi apostolici, sia generali o circoscritti, possono errare ed molti hanno errato. Perciò non devono essere considerati come la regola di fede o di condotta, ma devono essere usati come un aiuto per entram­be (554).

(554) Ef. 2:20; At. 17:11; 1 Co. 2:5; 2 Co. 1:24.

5. I sinodi ed i concili non devono trattare, né fare delibere su questioni che non siano ecclesiastiche; né devono intromettersi negli affari civili che sono di competenza dello stato, se non nei casi di un'umile petizione in casi eccezionali, o di consigli per soddisfazione di coscienza se ciò viene richiesto dal autorità civile (555).

(555) Lu. 12:13,14; Gv. 18:36.

32. LO STATO DELL'UOMO DOPO LA MORTE E LA RISURREZIONE DEI MORTI 1. Il corpo della persona umana dopo la morte ritorna in polvere, e vede la corruzione (556), il suo spirito, però, che non muore non dorme avendo sussi­stenza immortale, immediatamente ritorna a Dio che l'ha da­to (557). Gli spiriti dei giusti, resi perfetti in santità, vengono ricevuti al di sopra di tutti i cieli. Là essi contemplano il volto di Dio nella luce e nella gloria, attendendo la piena redenzione del loro corpo (558). Gli spiriti dei malvagi vengono invece gettati nell'Ades dove rimangono nei tormenti e nelle tenebre, là serbati per il gran giorno dei giudi­zio (559). La Scrittura non riconosce alcun altro luogo oltre a questi due per gli spiriti separati dal corpo.

(556) Ge. 3:19; At. 13:36. (557) Lu. 23:43; Ec. 12:7,9. (55­8) Eb. 12:23; 2 Co. 5:1,6,8; Fl. 1:23; At. 3:21; Ef. 4:10. (559) Lu. 16:23,24; At. 1:25; Gd. 6, 7; 1 Pi. 3:19.

2. Nell'ultimo giorni, coloro che saranno trovati in vita, non morranno, ma verranno mutati (560). Tutti i morti risorgeranno con il loro proprio corpo e non con un altro, anche se esso sarà qualitativamente diverso da prima, e questi corpi saranno riuniti ai loro spiriti per sempre (561).

(560) 1 Te. 4:17; 1 Co. 15:51,52. (561) Gb. 19:26,27; 1 Co. 15:42‑44.

3. I corpi degli ingiusti saranno, per la potenza di Cristo, risuscitati ad una condi­zione di disonore; i corpi dei giusti, per il suo Spirito, ad una condi­zione di onore, e saranno resi conformi al corpo della sua gloria (562).

(562) At. 24:15; Gv. 5:28,29; 1 Co. 15:43; Fl. 3:21.

33. IL GIUDIZIO FINALE 1. Dio ha fissato un giorno nel quale giudi­cherà il mondo con giustizia per mezzo di Gesù Cristo (563), al quale il Padre ha dato autorità di giudica­re (564). In quel giorno non saranno solo giudicati gli angeli apostati (565), ma pure tutte le persone che avranno vissuto su questa terra dovranno comparire davanti al tribunale di Cristo, per rendere conto di tutti i loro pensieri, le loro parole, e le loro opere, poiché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quand'era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene, o male (566).

(563) At. 8:31. (564) Gv. 5:22,27. (565) 1 Co. 6:3; Gd. 6; 2 Pi. 2:4. (566) 2 Co. 5:10; Ec. 12:14; Ro. 2:16; 15:10,12; Mt. 12:36,37.

2. Il fine per il quale Dio ha stabilito questo giorno è far conoscere le ricchez­ze della gloria della sua misericordia nella salvezza eterna degli eletti, e del suo giusto giudizio nella dannazione eterna dei reprobi, i quali sono duri ed impenitenti. Allora i giusti andranno a vita eterna e riceveranno la ienezza della gioia e tempi di refrigerio che derivano dalla presenza del Signore. I malvagi che non c onoscono Dio e non ubbidiscono all'Evangelo del nostro Sign­ore Gesù Cristo, saranno gettati nei tormenti eterni e puniti di eterna dist­ruzione, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua poten­za (567). (567) Mt. 25:31ss; Ro. 2:5,6; 9:22,23; Mt. 25:21; At. 3:19; 2 Te. 1:7‑10. 3. Come Cristo desidera che siamo persuasi con certezza che vi sarà un giorno di giudizio sia per scoraggiare gli uomini dal peccare, che per consolare mag­giormente i fedeli nell'avversità (567), così desidera anche che gli uomini non conoscano la data di quel giorno perché abbandonino qualsiasi sicurezza carnale e veglino sempre non sapendo quando verrà il Signore, ed anche perché siano sempre pronti a dire: "Vieni, Signore Gesù, vieni presto!". Amen (568). (567) 2 Pi. 3:11,14; 2 Co. 5:10,11; 2 Te. 1:5,6,7; Lu. 21:7,28; Ro. 8:23‑25. (568) Mt. 24:36,42,43,44; Mc. 13:35,36,37; Lu. 12:35,36; Ap. 22:20. (fine)

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