La dottrina della predestinazione assoluta - Capitolo 1
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LA DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE ASSOLUTA ENUNCIATA E AFFERMATA
Girolamo Zanchi (1516–1590)
CAPITOLO I: NEL QUALE I TERMINI COMUNEMENTE UTILIZZATI NELLO STUDIO DI QUESTA MATERIA SONO DEFINITI E SPIEGATI
Avendo considerato gli attributi di Dio come sono esposti nella Scrittura, e avendo fin qui dipanato la via alla dottrina della predestinazione, prima di addentrarmi ulteriormente nell’argomento, illustrerò i termini principali generalmente utilizzati nella sua trattazione e ne accerterò il loro vero significato. Nel discorrere dei decreti Divini, si fa frequente menzione dell’amore e dell’odio di Dio, dell’elezione e della riprovazione, e del proposito Divino, della preconoscenza e della predestinazione, ognuno dei quali considereremo individualmente e brevemente.
I. Quando si predica dell’amore di Dio, non intendiamo che Egli ne sia posseduto come da una passione o da un sentimento. In noi è tale, ma se, considerato in quel senso, dovesse essere ascritto alla Deità, esso sovvertirebbe completamente la semplicità, la perfezione e l’indipendenza del Suo essere. L’amore, quindi, quando è attribuito a Lui, significa:
(1) La Sua eterna benevolenza, ovvero, la Sua eterna volontà, proposito e determinazione di liberare, benedire e salvare il Suo popolo. Di ciò, nessuna buona opera da loro compiuta è in alcun senso la causa. Non si devono considerare neppure i meriti di Cristo stesso come la causa che induce o sprona questa buona volontà di Dio verso i suoi eletti, poiché il dono di Cristo, di essere loro Mediatore e Redentore, è esso stesso un effetto di questo libero ed eterno favore riversato su di loro da Dio Padre (Gv. 3.16). Il Suo amore verso loro proviene unicamente dal “beneplacito della Sua volontà”, senza il minimo riguardo ad alcuna cosa ad extra o fuori di Sé stesso.
(2) Il termine indica compiacimento, piacere e approvazione. Con questo amore Dio non può amare nemmeno i Suoi eletti considerati a sé, perché in quell’ottica essi sono peccatori colpevoli e corrotti; ma essi ne erano, da tutta l’eternità, l’oggetto, in quanto uniti a Cristo e partecipi della Sua rettitudine.
(3) L’amore indica vera beneficenza, che, propriamente parlando, non è altro che l’effetto o risultato dei primi due: quelli sono la causa di questa. Questa vera beneficenza riguarda tutte le benedizioni, di natura sia temporanea, che spirituale o eterna. Le buone cose temporanee sono effettivamente conferite indiscriminatamente in un grado maggiore o minore a tutti, sia che siano eletti che reprobi, ma sono date nel modo del patto e come benedizioni solo agli eletti, ai quali si riferiscono anche gli altri benefici riguardanti la grazia e la gloria. E questo amore di beneficenza, non meno che la benevolenza e il compiacimento, è assolutamente gratuito, e non rispetta alcun merito nell’uomo.
II. Quando si attribuisce a Dio l’odio, esso implica (1) una negazione della benevolenza, o una risoluzione di non avere misericordia di tali e tali uomini, né di dotarli di alcuna di quelle grazie che sono connesse alla vita eterna. Così, “Esaù ho odiato” (Rom. 9), ovvero, “Da tutta l’eternità, io ho determinato autonomamente di non avere misericordia di lui”. La sola causa di questa terribile negazione non è solo l’indegnità delle persone odiate, ma la sovranità e la libertà della volontà Divina. (2) Esso denota dispiacere e disprezzo, perché i peccatori che non sono interessati a Cristo non possono che essere infinitamente spiacevoli e odiosi agli occhi dell’eterna purezza. (3) Significa una volontà positiva di punire e distruggere i reprobi per i loro peccati, e l’infliggere loro la pena seguente non è altro che il necessario effetto e l’effettiva esecuzione di questa volontà.
III. Il termine elezione, che ricorre così frequentemente nella Scrittura, è là inteso con quattro significati, e più comunemente significa: (1) “Quell’eterno, sovrano, incondizionato, particolare e immutabile atto di Dio con il quale Egli scelse alcuni da tutta l’umanità e da ogni nazione sotto il cielo affinché fossero redenti e salvati in eterno da Cristo”.
(2) Talvolta e più raramente significa “quel grazioso e onnipotente atto dello Spirito Divino, con il quale Dio effettivamente e visibilmente separa i Suoi eletti dal mondo mediante la chiamata efficace”. Questo non è altro che la manifestazione e la parziale realizzazione della precedente elezione, e mediante di esso gli oggetti della grazia della predestinazione sono condotti concretamente nella comunione dei santi, e aggiunti visibilmente al numero del popolo di Dio che si dichiara professante. Di ciò nostro Signore fa menzione: “poiché … io vi ho eletti dal mondo, perciò il mondo vi odia” (Gv. 15.19). Dove sembrerebbe che la scelta di cui si parla non si riferisca tanto all’eterno, immanente atto d’elezione di Dio, quanto a quello aperto e manifesto, con il quale Egli ha chiamato potentemente ed efficacemente i discepoli fuori dal mondo degli inconvertiti, e li ha vivificati dall’alto nella conversione.
(3) Con elezione si intende talvolta, “Dio che conduce un’intera nazione, comunità o insieme di uomini in un patto esterno con Sé donando loro il beneficio della rivelazione, o Sua parola scritta, come regola della loro fede e pratica, quando invece altre nazioni ne sono prive”. In questo senso l’intero corpo della nazione Giudaica era indiscriminatamente eletto, perché “a loro furono affidati gli oracoli di Dio” (Deu. 7.6). Ora, non tutti coloro che sono eletti in tal modo sono necessariamente salvati, ma molti di loro possono essere, e sono, reprobi, come coloro dei quali il Signore dice (Mat. 13.20), che “odono la parola, e subito con allegrezza la ricevono”. E l’Apostolo dice, “Sono usciti d’infra noi” (ovvero, essendo favoriti come noi dalla medesima rivelazione del Vangelo, essi si professavano veri credenti, non meno di noi), “ma non eran de’ nostri” (ovvero, essi non erano, insieme a noi, scelti da Dio per la vita eterna, né avevano mai veramente posseduto quella fede, Sua opera, che Egli diede a noi, perché se fossero stati in questo senso “de’ nostri, sarebber rimasti con noi” (1 Gv. 2.19), avrebbero manifestato la sincerità della loro professione e la verità della loro conversione perseverando fino alla fine ed essendo salvati. E anche questa rivelazione esterna, sebbene non sia necessariamente connessa alla felicità eterna, nondimeno produce molti e grandi vantaggi per le persone e i luoghi ai quali è concessa, ed è resa nota ad alcune nazioni e ritratta da altre, “secondo il proponimento di colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà”.
(4) E, infine, elezione a volte significa “la temporanea designazione di una persona o alcune persone per adempiere ad un particolare compito nella chiesa visibile e ad un ufficio della vita civile”. Così Giuda su scelto per l’apostolato (Gv. 6.70), e Saul per essere re d’Israele (1 Sam. 10.24). Questo è ciò che riguarda l’uso della parola elezione.
IV. Al contrario, riprovazione denota: (1) l’atto eterno con cui Dio passa oltre alcuni uomini, quando ne sceglie altri per la gloria, e la Sua predestinazione di essi a colmare la misura della loro iniquità e quindi a ricevere la giusta punizione per i loro crimini, fino alla “distruzione dalla presenza del Signore, e dalla gloria della Sua potenza”. Questo è il principale, più ovvio e più frequente senso con cui viene usata la parola. Essa può ugualmente significare (2) che Dio si astiene dal chiamare mediante la Sua grazia coloro che Egli ha ordinato alla condanna; ma questa è un’esclusione solo momentanea, e conseguenza di quella eterna. (3) E, infine, la parola può essere intesa in un altro senso che denota il rifiuto di Dio di concedere ad alcune nazioni la luce della rivelazione del Vangelo. Questo può essere considerato una sorta di riprovazione nazionale, che tuttavia non implica che ogni singola persona che vive in un tale paese deve necessariamente perire per sempre, non più di quanto ogni singola persona che vive in un paese detto Cristiano sia di conseguenza in uno stato di salvezza. Senza dubbio vi sono persone elette tra i primi così come reprobi fra i secondi. Con un po’ di attenzione al contesto qualunque lettore può facilmente scoprire con quale di questi diversi significati le parole eletto e reprobo sono usate ogni volta che ricorrono nella Scrittura.
V. Nella Scrittura si menziona frequentemente il proposito di Dio, che non è altro che la Sua graziosa intenzione dall’eternità di rendere i Suoi eletti eternamente felici in Cristo.
VI. Quando viene attribuita a Dio la preconoscenza, la parola significa (1) quella generale prescienza con la quale Egli conosceva da tutta l’eternità sia ciò che Egli Stesso avrebbe compiuto, sia ciò che avrebbero compiuto le Sue creature, in conseguenza del Suo decreto efficiente e permissivo. La preconoscenza Divina, considerata in questa prospettiva, è assolutamente universale; si estende a tutti gli esseri che sono esistiti, esistono ed esisteranno, e a tutte le loro azioni che sono state, vengono o saranno compiute, tanto buone quanto cattive, naturali, civili o morali. (2) La parola spesso denota quella speciale prescienza che ha per oggetto i Suoi eletti, ed essi soltanto, i quali Egli, secondo quanto viene detto, conosce e preconosce in un senso peculiare (Salmo 1.6; Gv. 10.27; 2 Tim. 2.19; Rom. 8.29; 1 Pie. 1.2), e questa conoscenza è connessa, o piuttosto è uguale all’amore, al favore e all’approvazione.
VII. Veniamo ora a considerare il significato della parola predestinazione, e come è intesa nella Scrittura. Il verbo predestinare è di origine Latina, e significa in quella lingua, deliberare in anticipo e autonomamente come uno dovrà agire; e in conseguenza di tale deliberazione, di costituire, pre-ordinare e predeterminare dove, quando, come e da parte di chi qualunque cosa dovrà essere compiuta, e a quale fine sarà compiuta. Così, il verbo Greco Proorizoo, che corrisponde esattamente alla parola Italiana predestinare, ed è tradotto in tal modo, significa stabilire in anticipo autonomamente cosa fare; e prima che la cosa decisa sia effettivamente realizzata, stabilire per essa un certo scopo, e dirigerla verso un certo fine. Il verbo Ebraico Habhdel ha ugualmente lo stesso significato.
Ora, nessuno se non gli uomini saggi sono capaci (specialmente in questioni di grande importanza) di determinare correttamente cosa fare, e come ottenere un fine appropriato mediante mezzi giusti, adeguati ed efficaci; e se questo è, esplicitamente, una parte concreta della vera sapienza, chi può essere più adatto a disporre degli uomini e assegnare ad ogni individuo la sua sfera d’azione in questo mondo, e il suo posto nel mondo a venire, del sommamente sapiente Dio? E tuttavia, ahime! quanti trovano cavilli in quegli eterni decreti che, se fossimo capaci di comprendere pienamente e chiaramente, si dimostrerebbero tanto giusti, sovrani e saggi quanto sono incomprensibili! La Divina preordinazione ha per suoi oggetti tutte le cose che sono create: nessuna cosa creata, sia razionale che irrazionale, animata o inanimata, è esente dalla sua influenza. Tutti gli esseri, dall’angelo più elevato fino al rettile più vile, e dal rettile più vile all’atomo più minuto, sono oggetto degli eterni decreti e della provvidenza particolare di Dio. Tuttavia, gli antichi padri utilizzano la parola predestinazione solo in riferimento agli angeli e agli uomini, sia buoni che malvagi, e come è utilizzata dall’apostolo Paolo in un senso ancora più limitato, in modo da intendeer con essa solo quella parte che riguarda l’elezione e la designazione da parte di Dio del Suo popolo alla vita eterna (Rom. 8.30; Efe. 1.11).
Ma, affinché possiamo comprendere più correttamente il significato di questa parola e le idee che essa intende trasmettere, può essere appropriato osservare che il termine predestinazione, inteso teologicamente, ammette una definizione sotto quattro aspetti, e può essere considerata come (1) “quell’eterno, sommamente sapiente e immutabile decreto di Dio, con il quale Egli prima del principio del tempo determinò e ordinò di creare, disporre e dirigere verso un fine particolare ogni persona e cosa alla quale Egli ha dato, o deve ancora dare, l’esistenza, e di fare in modo che tutta la creazione fosse sottomessa e manifestasse la Sua gloria”. Di questo decreto l’effettiva provvidenza è l’esecuzione. (2) La predestinazione può essere considerata in relazione all’umanità in generale, e ad essa soltanto; e sotto questo aspetto noi la definiamo come “l’eterno, sovrano e immutabile proposito di Dio, per il quale Egli determinò autonomamente di creare Adamo a Sua immagine e somiglianza, e quindi di permettere la sua caduta; e di consentire che egli in tal modo sprofondasse sé stesso e tutta la sua intera discendenza” (in quanto tutti hanno peccato in lui, non solo virtualmente, ma anche federalmente e rappresentativamente) “nel terribile abisso del peccato, della miseria e della morte”. (3) Considerando la predestinazione in relazione ai soli eletti, essa è “quell’eterno, incondizionato e irreversibile atto della volontà Divina con il quale, nell’incomparabile amore e adorabile sovranità, Dio determinò in Sé stesso di liberare un certo numero della degenerata progenie di Adamo da quella miserabile condizione di peccato nella quale, con quella prima trasgressione, essi dovevano cadere”, e nella quale triste condizione essi erano ugualmente coinvolti insieme a coloro che non furono scelti, ma, essendo individuati e separati da Dio Padre per essere vasi di grazia e di salvezza (non per una qualche cosa in loro che li potesse raccomandare al Suo favore o renderli degni della Sua attenzione, ma semplicemente perché Egli voleva mostrare loro la Sua grazia), essi furono, nel tempo, effettivamente redenti da Cristo, sono efficacemente chiamati mediante il Suo Spirito, giustificati, adottati, santificati, e preservati al sicuro per il Suo regno celeste. Il fine supremo di questo decreto è la manifestazione delle Sue infinitamente gloriose ed amabilmente tremende perfezioni; il fine inferiore o subordinato è la felicità e la salvezza di coloro che sono così liberamente eletti. (4) La predestinazione, riferita ai reprobi, è “quell’eterno, santissimo, sovrano e immutabile atto della volontà di Dio, con il quale Egli ha determinato di lasciare che alcuni uomini periscano nei loro peccati e siano giustamente puniti per essi”.