Il Patto di Redenzione

From Diwygiad

THERAPEUTICA S A C R A;

Nella quale si dimostrano brevemente I metodi per curare i malanni della Coscienza, riguardanti la RIGENERAZIONE Scritto in principio in Latino DA D A V I D D I C K S O N, Professore di TEOLOGIA nel College di Edinburgo, E successivamente Tradotto da egli stesso.

Mat. 9.12 Coloro che stanno bene non hanno bisogno di medico, ma i malati.

EDINBURGO, Stampato da Evan Tyler, Tipografo di Sua Eccellentissima Maestà il Re, 1664.




Capitolo IV. Del Patto di Redenzione.


Dei Patti divini riguardo all’eterna salvezza degli uomini; e specialmente, del Patto di Redenzione, mostrando che vi è un tal Patto, e quali sono i suoi articoli.

Poiché la cura dei malanni della coscienza proviene da una retta applicazione dei Patti divini riguardo alla nostra salvezza, ne deriva che è necessario che ne sia esposta una certa quantità di conoscenza.

1. Chiamiamo un patto divino un contratto, o un accordo, in cui Dio sia almeno una parte contraente. Di questo genere di patti riguardanti l’eterna salvezza degli uomini (che è il genere che principalmente riguarda il nostro intento) ve ne sono tre. Il primo è il patto di redenzione, stipulato tra Dio e Cristo Dio Mediatore ordinato, prima che esistesse il mondo, nel concilio della Trinità. Il secondo è il patto d’opere, stipulato tra Dio e gli uomini, in Adamo nella sua integrità, dotato di tutte le perfezioni naturali, che lo rendevano capace di osservarlo, finché gli fosse piaciuto di conformarsi alla condizione. Il terzo è il patto di grazia e riconciliazione per mezzo di Cristo, stipulato tra Dio ed i credenti (con i loro figli) in Cristo.

2. Per quanto riguarda il patto di redenzione, per chiarire la questione, dobbiamo distinguere tra le diverse accezioni della parola redenzione: perché, (1.) A volte è intesa come il contratto e l’accordo di vendere e ricomprare l’eterna salvezza dell’uomo perduto, preso nello stato di peccato e miseria. In questo senso, viene detto che noi siamo acquistati da Cristo, sia le anime che i corpi, 1 Cor. 6.19,20, non siete a voi stessi; Poichè siete stati comperati con prezzo; glorificate adunque Iddio col vostro corpo, e col vostro spirito, i quali sono di Dio. E questo può essere chiamato redenzione per patto e transazione concordata. (2.) A volte redenzione è intesa come il pagamento del prezzo concordato. In questo senso, viene detto che Cristo ci ha redenti soffrendo la punizione dovutaci, e riscattandoci, Gal. 3.13, Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo per noi fatto maledizione. (3.) A volte redenzione è intesa come l’intrapresa applicazione dei benefici acquistati nel patto per mezzo del prezzo pagato, Ef. 1.7, In cui noi abbiamo la redenzione per lo suo sangue, la remission de' peccati, secondo le ricchezze della sua grazia. (4.) Altre volte redenzione è presa come il perfetto e pieno possesso di tutti i benefici concordati tra il Padre e Cristo Suo Figlio il Mediatore. In questo senso, viene detto che noi siamo suggellati con lo Spirito Santo della promessa. Il quale è l'arra della nostra eredità, mentre aspettiamo la redenzione di quelli che Dio si è acquistati, Ef. 1.13,14 ed Ef. 4.30, E non contristate lo Spirito Santo di Dio, col quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione; il quale è il giorno del Giudizio, quando Cristo ci disporrà nel pieno possesso di tutta la beatitudine che Egli ha acquistata per mezzo di un contratto e pagamento per noi.

In questo capitolo noi intendiamo la redenzione nel suo primo significato, per il patto stabilito tra il Padre e Cristo Suo Figlio, Mediatore designato, riguardante la nostra redenzione.

3. Quando nominiamo il Padre come una parte e Suo Figlio come l’altra parte in questo patto, noi non escludiamo il Figlio e lo Spirito Santo dall’essere parte offesa; ma guardiamo al Padre, al Figlio e allo Spirito come ad un unico Dio in tre Persone, offeso dal peccato dell’uomo; e tuttavia tutti e tre si sono impegnati ad avere soddisfazione della giustizia divina per il peccato dell’uomo nella Persona del Figlio, come Mediatore designato, che si sarebbe incarnato. Dunque il Figlio è sia la parte offesa come Dio, uno in essenza col Padre e lo Spirito Santo; e anche la parte contraente, come Dio Mediatore designato personalmente per redimere l’uomo, e che con il consenso del Padre e dello Spirito santo, da tutta l’eternità volle e si propose nella pienezza dei tempi, di assumere la natura umana in un’unione personale con Se Stesso, e per il bene degli eletti di divenire uomo, e prendere in mano la causa degli eletti, per ricondurli all’amicizia di Dio, e al pieno godimento della felicità per sempre.

Quando dunque rendiamo il Padre una parte, e il Figlio designato Mediatore l’altra parte, parlando con la Scrittura, per una più semplice comprensione del Patto, guardiamo ad un solo Dio in tre Persone, che ha l’assoluto diritto e il sovrano potere secondo il Suo proprio beneplacito di disporre degli uomini, considerati davanti a Dio (al Quale tutte le cose sono presenti) come in uno stato di peccato e di morte, condotto per ciò che l’uomo merita per sè, e tuttavia per la gloria della sua grazia risoluto a salvare gli eletti, così che la Sua giustizia possa essere soddisfatta in essi, in e per mezzo della seconda Persona della Trinità, il Figlio co-eterno e co-essenziale con il Padre.

4. Questo patto di redenzione dunque può essere così descritto. Esso è un accordo, concordato tra il Padre ed il Figlio Mediatore designato, concernente gli eletti (i quali giacciono con il resto dell’umanità nello stato di peccato e morte, procurato dal loro proprio merito) affinché con saggezza e con potenza siano convertiti, santificati e salvati, per la soddisfazione e l’obbedienza (assunte da Egli nella nostra natura) del Figlio di Dio che devono essere rese a tempo debito al Padre, fino alla morte sulla croce.

In questo accordo o contratto, la Scrittura include chiaramente la vendita e l’acquisto degli eletti, Atti 20.28, Attendete dunque a voi stessi, ed a tutta la greggia, nella quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascer la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata col proprio sangue, 1 Cor. 6.20, Poichè siete stati comperati con prezzo, e 1 Pi. 1.18, non con cose corruttibili, argento od oro, siete stati riscattati dalla vana condotta vostra. Chi vende gli eletti è Dio; chi acquista è Dio incarnato; le persone acquistate sono la Chiesa degli eletti; il prezzo è il sangue di Dio, vale a dire, il sangue di Cristo, il quale è Dio ed uomo in una persona.

Questo patto di redenzione è in effetti uno con l’eterno decreto di redenzione, in cui la salvezza degli eletti, e la via per cui essa sarebbe stata condotta è stabilita, nel proposito di Dio, il quale opera tutte le cose secondo il consiglio della Sua propria Volontà, come scrive l’Apostolo, Ef. 1 fino al verso 15.

E il decreto di redenzione è in effetti un patto, un solo Dio in tre persone che concorda nel decreto, che la seconda Persona, Dio il Figlio, debba incarnarsi, e rendere obbedienza e soddisfazione alla giustizia divina per gli eletti: al quale servizio il Figlio si sottomette spontaneamente, e il decreto diviene a tutti gli effetti un vero patto.

Ma per ulteriore soddisfazione, che vi è un tale patto tra il Padre ed il Figlio, come abbiamo detto, per redimere gli eletti, la Scrittura ci fornisce una prova in sei modi.

Il primo modo è attraverso le espressioni, che significano e presuppongono un patto formale tra le parti, l’acquistare ed il vendere; il secondo modo è attraverso gli stili ed i titoli associati a Cristo il Redentore; il terzo è mediante le espressioni riguardanti un eterno decreto per l’esecuzione e la realizzazione di questo patto di redenzione; il quarto è attraverso la rappresentazione di questo patto nei tipi del Levitico; il quinto è attraverso Cristo il Redentore ora incarnato, la Sua ratifica del patto; ed il sesto modo è attraverso l’esposizione per noi dei capi e degli articoli concordati, di cui il patto consiste.


La prima prova.


Riguardo alle espressioni che esprimono un patto formale, primo, Ef. 1.7, esso è chiamato una redenzione, o l’acquisto degli eletti fuori dal peccato e dalla miseria per mezzo del sangue, mostrando che nessuna remissione dei peccati avrebbe potuto essere accordata per Giustizia, senza che si versasse del sangue, e Cristo s’impegnò a pagare il prezzo, e l’ha pagato.

Ancora, l’eredità che gli eletti hanno nella promessa fatta a loro, è chiamata un acquisto, intendendo che chi dispone l’eredità agli eletti deve avere un prezzo sufficiente per essa, e che il Redentore ha accettato la condizione e ha pagato il prezzo richiesto per essa. Ef. 1.14, e così ha riportato il paradiso perduto e la benedizione mancata a così tanti peccatori, i quali altrimenti per il peccato sarebbero stati giustamente esclusi ed estraniati da quelle cose per sempre.

Una terza espressione è riferita in Atti 20.28, in cui Dio che dispone e Dio che redime concordano che gli eletti sarebbero stati liberi per l’obbedienza fino alla morte di Dio il Redentore, il quale li ha ora acquistati con il Suo sangue.

Una quarta espressione è esposta in chiari termini da Paolo in 1 Cor. 6.20, siete stati comperati con prezzo: Dio che dispone vende, e Dio il Redentore acquista gli eletti per essere la Sua conquista, sia il corpo che lo spirito. E Pietro più particolarmente spiega che il prezzo della redenzione concordato non è oro o argento, ma il sangue del Mediatore Cristo, l’innocente Agnello di Dio, sacrificato nelle prefigurazioni tipologiche dal principio del Mondo, e sacrificato in una vera esecuzione nella pienezza dei tempi, 1 Pi. 1.18-21.

Una quinta espressione è che nostro Signore Gesù nell’istituzione del Sacramento della Sua Cena, Mat. 26.28, Perciocchè quest'è il mio sangue, ch'è il sangue del nuovo patto, il quale è sparso per molti, in remission de' peccati. Qui v’è un accordo tra il Redentore e Dio che dispone, che questi molti che sono gli eletti avranno la remissione dei peccati per il riscatto di sangue del Redentore pagato per essi. L’acquisto di questo riscatto di sangue, Egli lo compì nel Patto di grazia e riconciliazione con i credenti in Lui, e sigillò il contratto con essi con il Sacramento della Sua Cena.


La seconda prova


LA seconda dimostrazione di questo Patto di Redenzione stipulato tra Dio e Dio il Figlio Mediatore designato, proviene da quei titoli e appellativi dati a Cristo in relazione al suo procurare un Patto di grazia e riconciliazione tra Dio e noi. Primo, Egli è chiamato un Mediatore del Patto di riconciliazione, che intercede per procurarla, e non per con una semplice richiesta, ma dando Se Stesso al Padre (appellandosi alla soddisfazione della giustizia, affinché la riconciliazione potesse continuare) per pagare un prezzo compensatorio, sufficiente a soddisfare la Giustizia per gli eletti, 1 Tim. 2.5,6. v'è un sol Dio, ed anche un sol Mediatore di Dio, e degli uomini: Cristo Gesù uomo. Il quale ha dato sè stesso per prezzo di riscatto per tutti; secondo la testimonianza riserbata a' propri tempi.

Un altro titolo Gli è dato da Giobbe, Cap. 19.24, Dove Egli è chiamato un Redentore, un parente prossimo, il quale prima della Sua incarnazione obbligò Se Stesso a prendere la natura umana, e a pagare il prezzo della Redenzione (rappresentato dai sacrifici cruenti) per gli eletti Suoi parenti.

Un terzo titolo è espresso quando Egli è chiamato un Garante di un Patto migliore, Ebr. 7.22. Dove è inteso, che Dio non avrebbe dichiarato un Patto di grazia e di riconciliazione con gli uomini, se Egli non avesse avuto un buon Garante che avrebbe risposto del debito della parte riconciliata, e si sarebbe impegnato a far sì che i riconciliati osservassero il suo Patto. E Cristo assunse questo compito di Garante, e in tal modo procurò e stabilì questo Patto di grazia, molto migliore del Patto d’opere, e migliore del vecchio Patto di Grazia con Israele, per come essi lo utilizzarono. Questo necessariamente comporta un Patto tra Lui e la Giustizia del Padre, al quale Egli diviene garante per noi: perché, cos’è la garanzia, se non un trasferimento volontario del debito di un altro sul Garante, che obbliga a pagare il debito per il quale egli si è fatto Garante?

Un quarto titolo dato a Cristo è che Egli è una riconciliazione per mezzo di una permutazione; l’espiazione, Rom. 5.11, per lo Signor nostro Gesù Cristo, per lo quale ora abbiam ricevuta la riconciliazione, ovvero, ciò che ha pacificato la Giustizia del Padre e Lo ha riconciliato con noi, è trasformato in un dono per noi; perché, per mezzo della procura di Cristo noi abbiamo Dio fatto nostro, e Cristo Dio pacificatore, posto, come viene detto, nel nostro cuore: infatti Dio, avendoci venduti a Cristo, accettando la soddisfazione di Cristo come la nostra, è venuto da noi riconciliato, e ci ha dato Cristo il Riconciliatore e l’espiazione, come nostri. Qui vi è chiaramente espresso e presupposto un accordo fatto tra Dio e Cristo, e la condizione dell’accordo tra le parti a nostro beneficio.

Il quinto titolo dato a Cristo è questo, Egli è chiamato la propiziazione, 1 Gv. 2.2, in cui Dio è pacificato, non solo per i Giudei credenti, ma anche per l’intero mondo degli eletti, che deve credere in Lui. E se Egli è la propiziazione di pace, allora Dio ha soddisfazione in tutto quello che la Sua Giustizia richiede da Cristo per gli eletti; e, Rom. 3.25, Egli è chiamato un sacrificio propiziatorio, di cui Dio è così compiaciuto, che ne fa un’offerta per noi, e lo presenta a noi per pacificare la nostra Coscienza per mezzo della fede nel Suo sangue, per dichiarare la Sua giustizia per la remissione dei peccati, senza trasgressione della Giustizia; in cui il prezzo che Dio richiese e che fu pagato da Cristo, è suggerito e presupposto; perché, non poteva esservi soddisfazione, se il prezzo concordato non fosse stato promesso ed accettato prima nella stipulazione del Patto.


La terza prova


LA terza dimostrazione, che prova esservi un patto di Redenzione stipulato prima del principio del Mondo, è perché l’eterno decreto di Dio fu stabilito riguardo al modo di Redenzione affinché fosse adempiuto nel tempo: infatti, A Dio son note ab eterno tutte le opere sue, Atti 15.18. E tutto ciò che Dio compie nel tempo, Egli lo fa secondo l’eterno consiglio della Sua Volontà, Ef. 1.9. Ora, Cristo l’eterno Figlio di Dio, fatto uomo, depose la Sua vita per le Sue pecore – E il Figliuol dell'uomo certo se ne va, secondo ch'è determinato; ma, guai a quell'uomo per cui egli è tradito, Luca 22.22. E tutto ciò che Cristo soffrì, fu per il determinato consiglio di Dio, Atti 2.23. E Dio il Figlio, prima che s’incarnasse, dichiara il decreto del Regno promessogli dal Padre, delle vittorie che Egli avrebbe avuto sopra i Suoi nemici, e della felicità e moltitudine dei sudditi del Suo Regno, che avrebbero creduto in Lui, Sal. 2.7, Io spiegherò il decreto, disse Egli; presupponendo quindi il decreto di Dio di inviare il Suo eterno Figlio nel Mondo, per divenire uomo e soffrire, e in seguito per regnare per sempre, noi dobbiamo anche necessariamente presupporre il consenso del Figlio, il quale fece un patto con il Padre e lo Spirito, fissando il decreto e concordando l’intera via della Redenzione che sarebbe stata realizzata nel tempo: infatti, la stessa Persona, Cristo Gesù, il quale dimorò in mezzo agli uomini nei giorni della Sua umiliazione, Gv. 1.14, Era con il Padre dall’eternità, Gv. 1.2,3, tanto che senza di Lui nulla fu decretato di ciò che fu decretato, Pro. 8.22-32, che è anche evidente nelle parole dell’Apostolo, 2 Tim. 1.9, Egli ci ha salvati, e ci ha chiamati per santa vocazione; non secondo le nostre opere, ma secondo il proprio proponimento, e grazia, la quale ci è stata data in Cristo Gesù avanti i tempi de' secoli.

Infatti, come prima della fondazione del Mondo gli eletti furono dati al Figlio Mediatore designato che si sarebbe incarnato, ed il prezzo fu concordato; così anche la grazia che sarebbe stata data a tempo debito ai redenti secondo il patto, fu data dall’eternità a Cristo, loro Avvocato designato. Anche, Ef. 1.3-5, noi fummo eletti in Cristo, a santificazione e salvezza e ad ogni benedizione spirituale, e fummo predestinati all’adozione come figli per mezzo di Gesù Cristo. E 1 Pi. 1.18-20, noi siamo redenti, non con oro o argento, ma col prezioso sangue di Cristo, il quale fu predestinato avanti la fondazione del mondo. Nel quale è evidente che il Patto tra il Padre ed il Figlio fu stabilito riguardo all’incarnazione del Figlio, e alle Sue sofferenze, morte e risurrezione, e a tutte le altre cose che riguardano la salvezza degli eletti.


La quarta prova


LA quarta dimostrazione della sanzione di un Patto tra il Padre ed il Figlio, è espressa nel sacerdozio tipologico di Levi, dall’altare e dai sacrifici, e dal resto delle cerimonie levitiche che furono prescritte da Dio: infatti, come queste cose erano testimonianze, predicazioni, dichiarazioni, e dimostrazioni di un Patto stipulato tra Dio che dispone, ed il Figlio che redime, riguardo alla via di giustificazione e salvezza di coloro che credono nel Messia per mezzo di un sacrificio espiatorio, da offrire nella pienezza dei tempi, per i redenti; così pure essi erano prefigurazioni, predizioni, profezie, e voti del pagamento da parte del Redentore del prezzo promesso della Redenzione. E questo prezzo concordato (a causa delle perfezioni delle parti contraenti, il Padre ed il Figlio) fu tenuto e stimato come buono e pagato, dal principio del Mondo; ed i benefici concordati acquistati con esso, ovvero, la grazia e la gloria, furono effettivamente concessi ai credenti prima dell’incarnazione di Cristo, come testimonia il Salmista, Salmo 84.11, Il Signore Iddio è sole e scudo; Il Signore darà grazia e gloria; Egli non divieterà il bene a quelli che camminano in integrità; e Salmo 73.24, Tu mi condurrai per lo tuo consiglio, E poi mi riceverai in gloria; e questo perché il prezzo promesso della Redenzione fu non meno degno per dare giustizia e vita eterna ai credenti nel Messia a venire, Gesù Cristo incarnato. E questa donazione delle grazie salvifiche, come remissione dei peccati, e conduzione verso la vita eterna, fu sigillata sui credenti nel Patto di riconciliazione, per mezzo dei Sacramenti stabiliti della circoncisione e dell’agnello pasquale.


La quinta prova


LA quinta dimostrazione di un Patto stabilito tra il Padre ed il Figlio Mediatore da incarnarsi, è questa, che Cristo ora incarnato, ratifica tutte queste cose di cui il Padre e Lui stesso non ancora incarnato, e lo Spirito Santo hanno parlato nel Vecchio Testamento riguardo alla salvezza degli eletti, ed il prezzo della loro redenzione, e delle condizioni da osservare; E, nel nuovo, ripete e rinnova il patto che in passato era stato stipulato tra il Padre e Lui stesso prima che Egli si incarnasse: infatti, Luca 2.49, parlando a Giuseppe e a Sua madre quand’Egli aveva circa dodici anni, Egli disse, non sapevate voi ch'egli mi conviene attendere alle cose del Padre mio? e, Matt. 3.13, Egli si presenta come promessa e garanzia per i peccatori davanti al Padre, per essere battezzato per essi con il battesimo dell’afflizione, e per compiere tutta la rettitudine, com’era stato concordato in precedenza, verso 15, in cui il Padre riceve ed ammette la garanzia e il Suo impegno nel pagamento, verso 17, e, ecco una voce dal cielo, che disse: Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale io prendo il mio compiacimento; e Giovanni 5.39, Egli corrispondeva a tutte le cose che erano testimoniate di Lui nelle Scritture; Investigate le scritture, perciocchè voi pensate per esse aver vita eterna; ed esse son quelle che testimoniano di me. E verso 36, Egli professa che tutto ciò che Egli fa, è con il consenso e l’accordo del Padre, e che Egli è venuto nel Mondo affinché potesse completare ciò che il Padre l’aveva mandato a fare e soffrire, che Egli chiama la Sua opera che stava per adempiere. E in modo più speciale Egli mostra l’accordo stabilito tra il Padre e Lui prima che Egli venisse nel mondo, riguardante la sua incarnazione, e l’assolvimento del suo ufficio di Mediatore, ed il suo potere di dare la vita eterna a coloro che credono in lui: infatti, il Padre lo ha mandato affinché s’incarnasse, verso 37, e affinché egli con il Padre potesse dare la vita eterna a chiunque egli voglia, e possa resuscitare i morti, verso 21, e perché egli potesse esercitare giudizio, gli fu data autorità come Figlio dell’uomo, verso 27. Egli mostrò che fu concordato tra il Padre e Lui riguardo a tutte le dottrine che avrebbe dovuto insegnare, Giovanni 8.36, le cose che io ho udite da lui, quelle dico al mondo; e mostrò che essi avevano concordato il prezzo della redenzione degli eletti, la sua resurrezione dai morti, e che la sua morte avrebbe pienamente soddisfatto il Padre, Giovanni 10.15, Siccome il Padre mi conosce, ed io conosco il Padre; e metto la mia vita per le mie pecore; e verso 17, Per questo mi ama il Padre, perciocchè io metto la vita mia, per ripigliarla poi; e verso 18, questo comandamento ho ricevuto dal Padre mio. E Luca 24.25,26, egli espone brevemente la somma del patto stabilito tra il Padre e Lui stesso, parlando ai due discepoli sulla via di Emmaus; O insensati, e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non conveniva egli che il Cristo sofferisse queste cose, e così entrasse nella sua gloria? Ma più brevemente egli mostrò l’intero argomento così spesso chiamando il Padre il suo Dio, e nel rispetto del patto stabilito tra il Padre e lui che si sarebbe incarnato, ed ora veramente incarnato.


La sesta prova


La sesta dimostrazione del Patto di Redenzione, stabilito tra il Padre ed il Figlio, si trova nei capi e negli articoli del Patto fra essi concordato.

Ora, esistono tanti articoli del Patto quante sono le ingiunzioni, i comandamenti, e le condizioni richieste da una parte, e promesse da mantenere dall’altra; tante predizioni quante sofferenze di Cristo, e promesse fatte alla Chiesa attraverso e per Lui. Di tutte queste, noi tratteremo solo quattro, con le quali la fede dei credenti in Lui possa essere confermata riguardo alla loro Redenzione da Lui operata, e con le quali possa essere respinta l’errata dottrina di quanti sopprimono il Patto di redenzione degli eletti: in cui essi insegnano che Cristo, con la Sua obbedienza resa al Padre, fino alla morte sulla croce, non acquistò altro che una possibilità di salvezza, e grazia non maggiore per gli eletti che per i reprobi, come se Egli non avesse acquistato una certezza di salvezza da dare ad alcuno, ma avesse sospeso tutti i frutti delle Sue sofferenze sopra il fragile, mutevole, incostante, e corrotto libero arbitrio degli uomini; così che nessun uomo secondo la loro dottrina ha maggiore certezza della propria salvezza, di quanta ne abbia della sua mente e volontà capricciose; e così non maggiore certezza della propria salvezza che della propria perdizione. L’ordine che seguiremo nel parlare degli articoli del Patto di Redenzione sarà questo:

Il primo articolo, sarà delle persone redente.

Il secondo articolo, sarà del prezzo della Redenzione da pagarsi da Cristo nella pienezza del tempo.

Il terzo articolo, sarà dei doni e dei benefici acquistati, e consegnati, alle persone Redente.

Il quarto articolo di questo Patto di redenzione, stabilito tra il Padre ed il Figlio, sarà dei mezzi e dei modi con cui i doni ed i benefici acquistati possano essere sapientemente, efficientemente, ed efficacemente applicati ai Redenti.

Nell’ordinare questi articoli, non presupponiamo una priorità di uno d’essi rispetto agli altri in ordine di natura o tempo, ma scegliamo di parlare di essi in ordine di dottrina, per la nostra più facile comprensione della questione.

Infatti, il Patto di Redenzione stabilito tra il Padre ed il Figlio, per mezzo di un decreto eterno della Trinità, comprende tutto ciò che riguarda la Redenzione. Nel comprendere questo decreto, non vi è un primo né un ultimo, ma un unico proposito di Dio di eseguire e portare a compimento tutti i capi e gli articoli del Patto, ognuno nel proprio tempo, ordine e modo stabilito.



Il primo articolo del Patto di Redenzione concerne le persone redente


La Scrittura si riferisce ai redenti con diverse espressioni: a volte essi sono chiamati i predestinati; a volte gli eletti; a volte quelli che Dio ha preconosciuto; a volte coloro che sono chiamati secondo il Suo proposito; a volte coloro che furono dati a Cristo dal Padre; a volte le pecore di Cristo; a volte i figli di Dio, etc. Ma qualunque nome essi abbiano, le persone sono le stesse, secondo quanto scrive l’Apostolo, Rom. 8:29,30, Perciocchè coloro che egli ha innanzi conosciuti, li ha eziandio predestinati ad esser conformi all'immagine del suo Figliuolo; acciocchè egli sia il primogenito fra molti fratelli. E coloro ch'egli ha predestinati, essi ha eziandio chiamati; e coloro ch'egli ha chiamati, essi ha eziandio giustificati; e coloro ch'egli ha giustificati, essi ha eziandio glorificati. Il numero ed i nomi delle persone di cui qui si parla, sono gli stessi; ed essi sono chiamati i predestinati, perché Dio li ha ordinati ad un certo fine, ovvero, la vita eterna, per esservi condotti con efficacia mediante certi mezzi per la gloria della grazia di Dio. Essi sono chiamati gli eletti, verso 33, perché Dio nel proposito del suo beneplacito li ha separati dal resto degli altri uomini, che giacevano insieme ad essi nello stato di perdizione che essi stessi si sono procurati, e li ha designati ad essere partecipi della salvezza eterna. Essi sono chiamati i preconosciuti, e scritti nel libro della vita, perché Dio li ha inclusi nel suo amore speciale, in modo non meno distinto ed immutabile che se ne avesse scritto i nomi in un catalogo o libro. Ed essi sono chiamati quelli dati a Cristo, perché a Cristo è affidato il compito di redimerli e di portarli alla vita. Ma con qualunque nome essi siano designati, le persone redente sono sempre le medesime.

2. Ma mentre gli eletti, dati a Cristo, sono chiamati i redenti, questo presuppone che essi erano considerati e guardati come caduti per loro propria colpa, in uno stato di peccato e miseria per il loro proprio merito, nemici di Dio, e completamente incapaci di risollevarsi. Infatti, questo implica la nozione di Redenzione, o riacquisto; ed è chiaro che sia così perché la misericordia di Dio, la grazia di Dio, la benevolenza di Dio, sono espresse nella Scrittura unicamente a motivo e come causa impulsiva della Redenzione, Ef. 1:7-9, In cui noi abbiamo la redenzione per lo suo sangue, la remission de' peccati, secondo le ricchezze della sua grazia. Della quale egli è stato abbondante inverso noi in ogni sapienza, ed intelligenza; avendoci dato a conoscere il misterio della sua volontà secondo il suo beneplacito, il quale egli avea determinato in sè stesso.

3. La Scrittura ci ha mostrato che vi è un’innumerevole moltitudine di persone redente, ed una sorta di universalità d’esse, estesa a tutte le nazioni ed epoche e condizioni umane; così che questa enorme moltitudine per la cui redenzione fu versato il sangue di Cristo, Mat. 26.29, è giustamente chiamata con il nome di mondo, un mondo di eletti, Gv. 3.16, che deve essere chiamato fuori dal mondo dei reprobi, per il quale Cristo si rifiuta di intercedere, Gv. 17.9; ed i redenti riconoscono la verità di questa materia nella loro adorazione di Cristo loro Mediatore, Ap. 5.9, E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Tu sei degno di ricevere il libro, e d'aprire i suoi suggelli perciocchè tu sei stato ucciso, e col tuo sangue ci hai comperati a Dio, d'ogni tribù, e lingua, e popolo, e nazione. Questi sono tutti gli uomini che Dio vuole salvare e che veramente salva, 1 Tim. 2.4, questi sono tutti gli uomini dei quali l’Apostolo parla, 2 Pie. 3.9: Dio è paziente verso di noi (ossia, i suoi eletti) non volendo che alcuno di noi perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento; e questo l’Apostolo fornisce come ragione per cui il Signore ritarda la sua venuta, finché siano radunati tutti gli eletti, dei quali al tempo dell’Apostolo molti non erano ancora convertiti e molti non erano ancora nati, e se Cristo non ritardasse la sua venuta, finché essi non siano nati e portati alla riconciliazione con Dio, il numero degli eletti sarebbe diminuito.

4. In nessun passo della Scrittura viene detto che tutti gli uomini, nessuno escluso, sono eletti, o che ogni singolo uomo è dato a Cristo, o che ogni singolo uomo è predestinato alla vita; in nessun passo della Scrittura viene detto che Cristo ha fatto un patto con il Padre per ogni singolo uomo senza eccezione; ma al contrario, è certo dalla Scrittura che Cristo ha meritato e procurato la salvezza per tutti quelli per i quali si fece Garante. I loro peccati soltanto furono posti su Cristo, e in lui condannati, soddisfatti ed espiati, Isa. 53, per questi, e al loro posto egli offrì se stesso per soddisfare la Giustizia, per essi egli pregò, ed essi soltanto egli giustificò e glorificò; infatti, la frase dell’Apostolo, 2 Cor. 5.15, rimane salda; in Cristo erano morti (alla legge) tutti quelli per i quali e al cui posto Cristo morì. E quindi per questo suo popolo la legge è soddisfatta; da questi è tolta la maledizione, per essi sono acquistati il cielo e tutte le cose necessarie alla salvezza, e saranno, a tempo debito, infallibilmente e invincibilmente applicate. Cristo non ha santificato, consacrato, e perfezionato tutti, nessuno escluso, Eb. 10.14, ma ha rimesso la sua vita solo per le sue pecore predestinate, Gv. 10.15,16,26; egli non acquistò con il suo sangue tutti, nessuno escluso, ma la sua Chiesa chiamata fuori, e separata dal mondo, Atti 20.28; egli non ha salvato dai loro peccati tutti, nessuno escluso, ma solo il suo popolo, ovvero, coloro che egli ha acquistato col suo sangue per essere i suoi, Mat. 1.21, i quali egli ha acquistato per essere suoi particolari, i quali egli purifica, e sprona con un desiderio fervente di portare buone opere, Tito 2.14.

Quelli che Cristo ha redento, egli li ha amati indefinitamente, e li ha considerati più cari della sua vita. Ma saranno trovati molti ai quali Cristo dirà Io non vi ho mai conosciuti, vale a dire, con approvazione ed affetto, Mat. 7.23.

Coloro per i quali Cristo è morto, avranno gloria contro ogni condanna; ma non tutti gli uomini potranno avere gloria, Rom. 8.34,35.

Cristo non si è mai proposto di rimettere la sua vita per quelli, per i quali, mentre si accostava alla morte, egli si rifiutò di pregare; ma solo per quelli che gli sono dati dal mondo egli prega e muore, e risuscita, e li risusciterà a vita eterna, Gv. 17.9.

Tanto è lontana dal proposito di Dio e di Cristo l’idea di redimere ogni singolo uomo, nessuno escluso, che egli non ha decretato di dare ad ogni nazione i mezzi esteriori necessari alla conversione e alla salvezza, Sl. 147.19,20, Egli annunzia le sue parole a Giacobbe; I suoi statuti e le sue leggi ad Israele. Egli non ha fatto così a tutte le genti; Ed esse non conoscono le sue leggi. Alleluia.

E per questa saggia e santa decisione di nascondere i misteri della salvezza a molti, anche ai sapienti del mondo, Cristo Gesù ha glorificato e ringraziato il Padre, Mat. 11.25,26, Io ti rendo gloria e lode, o Padre, Signor del cielo e della terra, che tu hai nascoste queste cose a' savi e intendenti, e le hai rivelate a' piccoli fanciulli. Sì certo, o Padre, perciocchè così ti è piaciuto.



Il secondo articolo


Riguardo al secondo articolo del Patto di Redenzione, concernente il prezzo della Redenzione, e la disposizione del Redentore per compiere l’opera di Redenzione, Dio non non vuole argento, o oro, o qualunque altra cosa corruttibile, 1 Pi. 1.18. Egli rifiuta ogni riscatto che provenga da un semplice uomo, Sl. 49.8. Ma volle che il Suo co-eterno e unigenito figlio divenisse uomo, prendesse su di sé il giogo della legge, e facesse tutta la Sua volontà, affinché Egli soltanto potesse redimere gli eletti, i quali per natura sono sotto la maledizione della legge. Egli volle che Lui, il secondo Adamo, fosse obbediente fino alla morte sulla croce, che per la Sua obbedienza molti potessero essere giustificati, Rom. 5.19.

Questo è chiaramente confermato dall’Apostolo, Ebr. 10.5,6,7,10, commentando il settimo e l’ottavo verso del Salmo 40, Tu non hai voluto, né gradito sacrificio, né offerta, né olocausti, né sacrificio per lo peccato (i quali si offeriscono secondo la legge), egli aggiunge: Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà. Egli toglie il primo, per istabilire il secondo. E per questa volontà siamo santificati, noi che lo siamo per l'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta.

2. Per l’obbedienza di Cristo noi intendiamo non solo quella che è chiamata la sua obbedienza attiva, né solo quella che alcuni chiamano la sua obbedienza passiva: infatti, la sua obbedienza attiva e passiva non sono che due nozioni di una sola cosa; perché la sua incarnazione, sottomissione alla legge, e l’intero corso della sua vita fu un continuo corso di sofferenze, e in tutte le sue sofferenze egli fu un agente libero e volontario, il cui adempimento egli aveva promesso al Padre, per realizzare il prezzo promesso della Redenzione, e compiere ciò che il Padre gli aveva comandato di fare. La sua obbedienza, fino alla morte sulla croce, iniziò nello svuotare se stesso per prendere la nostra natura, e la forma di un servo, e continuò fino alla sua risurrezione ed ascensione. Queste sue sofferenze nella fine della sua vita, che egli soffrì sia nell’anima che nel corpo, erano il completamento della sua obbedienza precedentemente iniziata e continuata, ma non erano la sua sola obbedienza per noi, o la sua sola sofferenza per noi, perché egli aveva fatto e sofferto molto dalla sua incarnazione prima della sua ultima passione e della sua morte; ma il più alto grado di obbedienza, con cui egli acquistò per noi la libertà dal peccato e dalla miseria, e con cui egli ci acquistò l’immortalità e la beatitudine in cielo, fu la sua morte sulla croce a completamento del nostro riscatto.

3. Riguardo a ciò che dicono alcuni, che una sola goccia del Suo sangue era sufficiente a redimere più mondi di uno solo, se ve ne fossero altri, non è altro che un parlare sconsiderato, e privo di autorità scritturale; perché quando Cristo ebbe sofferto tutte le cose prima dell’ora della Sua morte, fu suo dovere anche essere crocifisso, Luca 24.26, ma fu suo dovere non soffrire più di quanto la giustizia richiedesse per un riscatto, ma solo quanto era stato concordato, e non di meno avrebbe potuto essere soddisfacente. Ora, Egli ricevette questo comandamento dal Padre, che Egli deponesse la sua vita per le Sue pecore, Gv. 10.18. Infatti, la saggezza di Dio pensò bene di testimoniare la Sua santità ed odio del peccato, e di testimoniare il Suo amore per il mondo eletto, e le ricchezze della Sua grazia verso coloro ai quali Egli avrebbe fatto misericordia, infliggendo sul Mediatore Suo amato Figlio (prendendo su di Sè la piena soddisfazione della giustizia per tutti i peccati di tutti gli eletti dati a Lui affinché fossero redenti) una punizione del peccato non minore della morte sia del Suo corpo che della sua anima per un certo tempo.

E davvero fu appropriato alla Sua santa e sovrana Maestà che, per il riscatto di così tante migliaia e milioni di dannabili peccatori, e per salvarli dai tormenti eterni del corpo e dell’anima, non fosse pagato dal Figlio di Dio, fatto uomo e garante per essi, un prezzo inferiore alle Sue sofferenze sia nel corpo che nell’anima per un certo tempo, quanto fosse equivalente per la punizione dovuta di coloro che egli doveva redimere; e avvenne che la giustizia dell’infinita Maestà offesa fosse riconciliata con così tanti ribelli, e fossero loro donati il cielo e la beatitudine eterna, per un prezzo non minore delle sofferenze dell’eterno Figlio fatto uomo, la cui umiliazione ed obbedienza volontaria, fino alla morte sulla croce, furono d’infinita dignità e valore; e quindi egli si consegnò alle sofferenze concordate nel patto di Redenzione, sia nel corpo che nell’anima.


Delle sofferenze di Cristo nella Sua anima


Le sofferenze di Nostro Signore nel Suo corpo non soddisfecero pienamente la giustizia divina; (1) perché come Dio pose una sanzione sulla legge e sul patto d’Opere, fatto con noi tutti in Adamo, in modo tale che lui ed i suoi discendenti fossero soggetti alla morte, sia nel corpo che nell’anima (ed essendo questo Patto infranto per via del peccato, tutti i peccatori sono divenuti ripugnanti fino alla morte sia del corpo che dell’anima), così i redenti dovevano essere liberati dalla morte di entrambi, perché il Redentore assaggiò la morte in entrambe i generi, nella quantità sufficiente alla loro redenzione. (2) Come il peccato infettò l’uomo intero, anima e corpo, e la maledizione conseguente al peccato non lasciò libera alcuna parte né alcuna capacità dell’anima umana, così la giustizia pretese che il Redentore, venendo al posto delle persone redente, dovesse sentire la forza della maledizione, sia nel corpo che nell’anima.

Obiezione. Ma come può l’anima morire, visto che essa, nell’Ordinanza di Dio nella creazione, è resa immortale?

Risposta. La morte dell’anima non è, in ogni cosa, come la morte del corpo, perché, sebbene la sostanza spirituale dell’anima sia stata fatta immortale ed insetinguibile, tuttavia essa è soggetta al proprio genere di morte, che consiste nella sua separazione dalla comunione con Dio, in tale misura e grado che essa può essere giustamente chiamata la morte dell’anima, dal quale tipo di morte, l’immortalità dell’anima, non solo non la libera, ma l’aumenta e la perpetua, finché non viene rimossa questa morte.

Obiezione. Ma, visto che l’anima umana di nostro Signore non avrebbe mai potuto separarsi dalla santità permanente di cui essa fu dotata nella sua prima infusione nel corpo, e non avrebbe mai potuto essere separata dall’indissolubile e personale unione con la seconda persona di Dio che la stava assumendo, come avrebbe potuto la Sua anima essere soggetta ad alcun grado di morte?

Risposta. Sebbene la santità connaturata dell’anima di Cristo non avrebbe potuto essere rimossa, né dissolta la sua personale unione, neanche quando l’anima fu separata dal corpo, tuttavia essa era soggetta, con il consenso di Cristo, ad essere svuotata della forza naturale, ad essere privata per un certo tempo della chiarezza di visione della sua propria beatitudine, e del quieto stato di pace sentito in precedenza, e del raggiungimento della gioia per un certo tempo, e così a soffrire un’eclisse di luce e consolazione, che altrimenti splendono dalla Sua Divinità; e così in questa sorta di morte spirituale poté patire alcuni gradi di morte spirituale.


I gradi di sofferenza della santa anima di Cristo


FRA i gradi della morte sofferta da Cristo nella Sua anima, noi possiamo elencare, primo, la normale pesantezza di spirito che lo ha tormentato tutti i giorni della Sua vita, come fu predetto da Isaia 53.3. Egli fu un uomo di dispiaceri, e abituato alla sofferenza. Sentiamo che Egli pianse, ma mai che rise, e solo raramente che si rallegrò.

2. Egli soffrì in modo speciale, dolore e dispiacere nell’osservare l’ingratitudine di quelli per i quali egli venne a deporre la sua vita, “noi nascondemmo il nostro volto a lui; egli fu disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna” Isa. 53.3

3. La durezza del cuore degli uomini, e la malizia del suo stesso popolo del patto, e le insolenze quotidiane e il trattamento sprezzante che egli trovò di giorno in giorno, accrebbe la sua sofferenza quotidiana, come dai rivoli si alza la piena nel fiume; egli fu disprezzato e rigettato dagli uomini, Isa. 53.3.

4. Egli fu tentato in tutte le cose come noi, e sebbene in esse egli non si contaminò mai con il peccato, Ebr. 4.15, tuttavia con quanta vessazione della sua santissima anima, noi possiamo comprenderlo facilmente confrontando la santità di nostro Signore con la santità dei suoi servi, per il quale nulla è più amaro dei dardi infuocati del diavolo, e dei suoi suggerimenti ed incitamenti al peccato: specialmente, se consideriamo la varietà delle tentazioni, l’odiosità dei peccati, con cui quello spirito impudente e immondo tentò la sua santità, Mat. 4, e inoltre la molestia e la pervicacia del diavolo, che non ha mai cessato, in parte da se stesso, in parte per mezzo di quelli che erano suoi schiavi, e in parte per mezzo della corruzione che trovò nei discepoli di Cristo, di affliggere, assillare, e vessare il Dio della gloria per tutto il tempo che egli visse sulla terra.

5. La colpa di tutti i peccati, crimini, e opere malvagie degli eletti, commesse dal principio del mondo, fu imputata a lui, e accettando tale imputazione, anche se egli non contaminò mai la sua Coscienza, egli gravò la sua anima, vincolandosi a sopportare la loro punizione dovuta.

Ora quando vediamo che i più vili peccatori, come i bugiardi, i ladri, gli adulteri, non possono sopportare di essere chiamati bugiardi, o ladri, né di portare la vergogna della loro bassezza, della quale essi sono veramente colpevoli, non penseremo con quanta sofferenza dell’anima, e con quanto oscuramento della gloria della sua santità, nostro Signore prese sulle sue spalle un carico di ogni iniquità, tale che nulla avrebbe potuto essere meno appropriato alla sua santa Maestà?

6. Sopra tutti questi livelli di sofferenza della sua anima egli soffermò i suoi pensieri, con la meraviglia e lo stupore dell’anima, quando la coppa d’ira gli fu presentata piena, in un modo così terribile, che rese tutte le forze dei suoi sensi e della sua ragione immobili per un certo tempo. Questa sofferenza dell’anima, come l’Evangelista sta per esprimerla, fu tale che egli disse che cominciò ad essere preso da dolorosa angoscia, e pure a sentire un grave peso; e ad esprimersi con queste parole, L'anima mia è grandemente rattristata, fino alla morte, Marco 14.33, 34.

Obiezione. Ma questa angoscia dell’anima di Cristo non suggerisce una qualche imperfezione della sua natura umana?

Risposta. Non afferma alcuna imperfezione o mancanza di santità in lui, ma solo una debolezza senza peccato e connaturata della sua forza naturale, nei giorni della sua carne; infatti, la mente di un uomo, per un improvvisa e veemente commozioni provocata da un causa terribile, può essere così presa, senza peccare, che il corso dei suoi pensieri può esserne interrotto per un po’, e l’atto della ragione sospeso per un breve tempo; tutte le meditazioni della mente si riuniscono a consulto, e non essendo capaci di districarsi in un istante, possono restare nello stupore, e sedersi per un po’ come gli amici stupefatti di Giobbe. Ora nostro Signore, prendendo su di sé la nostra natura e le nostre comuni debolezze senza peccato, divenne come noi in ogni cosa eccetto che nel peccato. La debolezza di Daniele alla vista di un Angelo, non fu peccato, Dan. 10.

Obiezione. Ma questa angoscia piena di stupore, che si accese nell’anima di Cristo, non prova forse che gli accadde qualcosa che egli non aveva previsto?

Risposta. Assolutamente no; perché egli sapeva tutte le cose che gli sarebbero accadute, e ne parlò ai suoi discepoli, e in un momento in cui egli era pronto ad ogni cosa che sarebbe avvenuta, prima che avvenisse. Ma questa angoscia piena di stupore dimostrò solo la naturale differenza tra le cose pre-concepite nella mente, e le stesse cose presentate ai sensi; infatti, nella mente vi è un’impressione differente del calore di un ferro rovente, prima che esso tocchi la pelle, rispetto alla potente impressione che un ferro caldo pressato sulla carne produce nei sensi. Riguardo a questa naturale differenza tra la previsione e la sensazione, tra la decisione e l’esperienza, questo stupore cadde sul nostro Signore, e sotto questo aspetto, viene detto che Cristo abbia appreso l’obbedienza sperimentale da queste cose che egli soffrì, Ebr. 5.8.

7. Un altro grado di sofferenza dell’anima di nostro Signore, è l’interruzione, per un certo tempo, della sensibile fruizione e sensazione di quel quieto e pacifico godimento della felicità della natura umana, data (per diritto) nella sua personale unione con la natura divina, tanto che, in mezzo a tanti discepoli, Greci e Giudei che lo osservavano, la veemenza di questa pena non gli permise di nascondere questo turbamento; infatti, (Gv. 12.27) nostro Signore disse, Ora l’anima mia è turbata, e che dirò? e, Mc. 14.34, gli fece manifestare la sua grande pesantezza, L’anima mia è grandemente rattristata fino alla morte. In queste parole egli suggerisce, che ai suoi sensi, la morte era prossima; che in non piccola misura essa se n’era impossessata, e lo aveva avvolto nelle sofferenze della morte, per quell’ora, come in una rete nella quale egli sapeva di non poter essere trattenuto.

Obiezione. Ma questo enorme carico di miserie non portò via dalla natura umana la felicità della sua unione personale con la sua natura divina?

Risposta. Effettivamente per un periodo la nascose, e ne ostacolò la sensazione, com’era necessario, nella sua profonda sofferenza; ma non la portò via, né la fece eclissare completamente; perché, come un’eredità materiale ha una tripla connessione con la persona che ne è proprietaria, così un’eredità spirituale ha una tripla connessione con l’anima del credente. La prima è, del legittimo titolo e diritto; la seconda, del possesso dell’eredità secondo il legittimo diritto; la terza, l’effettiva fruizione e la reale percezione dell’utilizzo dell’eredità. La fruizione ed il beneficio ed utilizzo percepiti possono essere compromessi e sospesi, ma il legittimo diritto rimane saldo. Cristo aveva non solo un indubbio diritto a che questa felicità rimanesse in lui, per via della personale unione, ma ne aveva anche un saldo possesso, poiché l’unione personale era indissolubile. Ma l’effettiva fruizione percepita nei suoi sensi umani, fu interrotta così a lungo che la natura umana fu allontanata da questa contemplazione per il suo esercizio presente, e voltata ad osservare il triste spettacolo dell’ira imminente ed incombente, specialmente quando, e per tutto il tempo in cui egli fu legato alla sensazione del presente turbamento che colmò l’anima con tristezza e sofferenza, angoscia e oppressione, senza peccato.

8. Né la giustizia vendicatrice di Dio, perseguendo i nostri peccati nel nostro Garante, si fermò qui, ma nel giardino andò oltre mostrando a Cristo la coppa d’ira, e porgendogliela ed esortandolo a berla; gli stessi sedimenti della maledizione concordata della legge, furono versati nella sua bocca paziente e sottomessa, nel suo petto, e nella parte più intima della sua anima e del suo corpo, che come una fiamma violenta, sopra ogni umana comprensione riempirono così tanto sia l’anima che il corpo, che essa sgorgò dalle sue vene e fece prorompere un sudore di sangue (come non si era mai sentito) come quando una pentola d’olio, bollendo e traboccando sul fuoco acceso sotto, accresce maggiormente la fiamma.

Da cui derivò una tale consumazione di tutta la sua forza umana, e uno svuotamento delle sue capacità naturali, come il crollo della sua mente, il venir meno della sua gioia, e un tale peso di sofferenza su di lui, che non solo egli desiderò quel piccolo conforto che i suoi deboli discepoli vegliassero con lui un poco, e gli mancò, ma anche ebbe bisogno che un Angelo lo confortasse, Lu. 22.43.

È senza fondamento che alcuni eruditi hanno negato che la causa di questa agonia fosse l’aver bevuto della coppa d’ira portagli dal Padre, dicendo, che la sua sola vista ed i pericoli che vi vide, fu la causa di questa grave incombenza; infatti, la coppa non gli fu solo mostrata, e l’enorme ira dovuta per i nostri peccati posta davanti a lui così che potesse vederla, e tremare al pensiero del pericolo in cui noi eravamo, ma fu versata in lui, e non solo su di lui, affinché egli soffrisse sensibilmente per i peccati dei suoi redenti, e ne bevesse, affinché la sua asprezza potesse colpire tutte le capacità della sua anima e del suo corpo; infatti, la Scrittura testimonia che non solo alla vista e alla comprensione di questa ira e della maledizione che stavano per venire su di lui, la sua natura umana l’aborrì in modo santo, ma pure che egli si sottomise a riceverla, in considerazione del decreto divino e del patto stipulato, del prezzo che egli doveva pagare, e del fatto che nella percezione di questa ira fu condotta questa agonia della sua anima, e il sudore di sangue del suo corpo.

Obiezione. Ma, come poteva il fatto di versare questa ira del Padre sul suo innocente e diletto Figlio conciliarsi con il suo amore Paterno per lui?

Risposta. Proprio come l’innocenza e la santità di Cristo potevano ben conciliarsi col prendere su di sé la punizione per i nostri peccati; perché, anche l’ira di un uomo giusto, che infligge la punizione capitale ad una persona condannata, fosse anche, supponiamo, il suo stesso figlio, può ben conciliarsi per l’affetto paterno verso il figlio che soffre la punizione; quindi non si deve dubitare che queste due possono ben conciliarsi in Dio, nel quale gli affetti non contrastano l’uno con l’altro, né contrastano con la ragione, come accade fra gli uomini caduti; infatti, i sentimenti attribuiti a Dio, sono effetti della sua santa volontà verso di noi, più che veri e propri sentimenti in lui, e questi effetti della volontà di Dio per noi, tendono sempre alla fine al nostro bene e alla nostra benedizione, per quanto possano differire l’uno dall’altro.

9. Fra i gradi di sofferenza dell’anima di Cristo, possiamo enumerare non solo il turbamento della sua mente e dei suoi pensieri, ma anche il turbamento dei suoi affetti, e in modo speciale la sua paura; infatti, la sua natura umana fu come la nostra in tutte le cose eccetto che nel peccato, ed fu effettivamente impaurita quando vide e sentì l’ira di Dio, temendo di esserne divorato, e di questa paura l’Apostolo (Ebr. 5.7) porta testimonianza, dicendo, Il quale a' giorni della sua carne, avendo, con gran grido, e lagrime, offerte orazioni e supplicazioni, a colui che lo poteva salvar da morte; ed essendo stato esaudito per la sua pietà;

Ora, sebbene questo sembri il momento più triste di tutte le sue sofferenze, che egli ebbe paura d’esserne divorato, tuttavia non ci si deve meravigliare di questa paura, né essa contraddisse la sua santità; perché quando Cristo assunse la nostra natura (come è stato detto) egli assunse anche le debolezze, le passioni e i turbamenti comuni, ma privi di peccato, della nostra natura. Ora, è nella natura della creatura di tremare alla vista del Dio irato; infatti, leggiamo che le rocce e le montagne tremarono davanti a Dio, quando Egli mostrò il suo terrore, ed è naturale che l’uomo, alla vista di un oggetto terribile, alla vista di un pericolo e di un male che si approssima, e molto di più quando questo è già su di lui (specialmente se il male e il pericolo sono oltre tutte le sue forze naturali) che egli tremi e di tema il peggio; e se questo è tanto più vero per una santa natura di temere la morte imminente, la separazione, la perdizione e il cadere nel pericolo, quando Dio comparì irato e si affrettava a fare giustizia sui peccatori nella persona del loro Garante, che cosa poteva trarre l’anima umana di Cristo da questa terribile vista, tranne che quello che i suoi sensi e la sua ragione gli indicavano? Nel frattempo non vi era posto per i suoi dubbi sulla questione e sullo scampare al pericolo, perché la paura naturale della natura umana, che ha origine nella debolezza della creatura, differisce molto dalla paura che ha origine dalla debolezza della fede nella fedeltà e nella potenza di Dio; e la paura naturale del peggio può ben accompagnarsi alla forza di fede di poter vincere la paura naturale; infatti, come i sensi possono aborrire una tazza di medicina amara, e far tremare tutto il corpo al pensiero di prenderla, allo stesso tempo, l’uomo ragionando è deciso a bere quell’amara tazza di medicina, perché egli spera in tal modo di migliorare la sua salute; così la paura naturale di Cristo di assaggiare la coppa d’ira, poteva ben conciliarsi con la forte fede e sicurezza di esserne liberato. Infatti, è ben appropriato che la fede vinca l’apprensione naturale dei sensi e la ragione, come la ragione vince i sensi nel bere un’odiosa e amara tazza di medicina.

E per chiarire questo ulteriormente, che l’estrema paura di essere divorato nell’ira poteva ben conciliarsi in Cristo con la salda fede di vincere e sopportare quella terribile ira, consideriamo che era necessario che Cristo fosse soggetto alla debolezza delle sue forze naturali, affinché egli potesse patire la morte; così era necessario che egli avesse una salda fede per renderlo capace di sopportare, in modo santo, ciò che si era assunto la responsabilità di soffrire. Infatti, se da una parte Cristo non fosse stato indebolito e svuotato di tutta la forza umana nella carne, egli non avrebbe potuto umiliarsi a sufficienza per noi, non avrebbe potuto soffrire così tanto, quanto la Giustizia esigeva come soddisfazione per noi; e, dall’altra parte, se egli fosse rimasto saldo nella fede e nell’amore verso la gloria di Dio e la nostra salvezza, egli non avrebbe soddisfatto la Giustizia, né sarebbe rimasto l’agnello innocente e senza macchia di Dio, né avrebbe portato a compimento il sacrificio espiatorio per noi.

Obiezione. Ma non fu tentato a dubitare da Satana?

Risposta. Confermiamo che egli fu veramente tentato da Satana a dubitare, ma non affermeremo che egli fosse tentato fino alla disperazione. Ma neghiamo del tutto che egli fosse contaminato con il peccato dalla tentazione, perché la Scrittura dice che egli fu tentato in tutte le cose come noi, ma tuttavia senza peccato in lui, né che cedette in alcun modo ad alcuna tentazione. E vedendo con l’Evangelista, Mat. 4, noi comprendiamo che egli fu tentato nel deserto dal diavolo fino ai più terribili peccati che Satana potesse concepire, e tuttavia egli non fu contaminato in alcun modo, non cedendo minimamente alle tentazioni peccaminose. Non c’è bisogno che confermiamo che egli potesse essere tentato, o che egli fu tentato nel dubbio e nella disperazione, perché questo fu tra la più notevole e principale tentazione, con cui Satana, nella sua impudente spavalderia, istigò il Figlio di Dio, vero Dio e uomo in una persona, perfino a dubitare di ciò che Satana sapeva esser vero: Se tu sei il Figlio di Dio, disse. È vero che noi che siamo peccatori per natura e corrotti in tutte le capacità della nostra anima, non possiamo essere tentati, scossi, e turbati, senza che la nostra natura peccaminosa affiori in qualche misura, e ne sia contaminata, ma così non era per il nostro santo Signore, il Dio della gloria, il quale era separato dai peccatori; perché la nostra natura impura è come l’acqua in uno stagno, che venendo agitata, diviene subito fangosa e sporca; ma la santa natura umana di Cristo era completamente pura, come l’acqua di fonte chiara e pura in bicchiere, che per quanto possa essere turbata e scossa, rimane purissima e priva di ogni impurità.

Obiezione. Ma, quanto meno, non vi fu in nostro Signore un conflitto tra la sua fede e la tentazione e a dubitare?

Risposta. Affermiamo non solo un conflitto della forza umana naturale di Cristo con il fardello dell’afflizione, ma anche un conflitto e una lotta della sua fede contro la tentazione a dubitare; infatti, il fatto di lottare non è sempre una prova della debolezza del lottatore, perché l’Angelo che è chiamato Dio, Os. 12, lotta con Giacobbe, e in Dio non vi era alcuna debolezza. Ancora, il fatto di lottare non è sempre prova di debolezza, ma dimostra solo la potenza del lottatore e l’importuna ostinazione di un avversario, che essendo respinto e abbattuto, dapprima non lascia il campo, ma si alza di nuovo, insiste e continua finché piace alla parte più forte di consentire all’avversario di opporsi.

Obiezione. Ma devi concedere, che nel conflitto della forza umana naturale di Cristo con l’afflizione e il fardello della punizione gravato su di lui dal Padre, egli fu vinto, e dovette soccombere e morire.

Risposta. Si, ma dobbiamo distinguere tra il conflitto della forza naturale con i fardello dell’afflizione, e il conflitto tra la fede e una tentazione al peccato. Nel conflitto della santa natura umana di Cristo con la punizione inflittagli per i nostri peccati, non fu un peccato che la sua forza naturale fosse sopraffatta, e abbattuta sotto il fardello, e che egli deponesse la propria vita e morisse; ma fu una parte principale della Sua obbedienza, fu l’adempimento della Sua promessa e l’impegno a dare se stesso alla Giustizia e a morire per noi, affinché noi potessimo essere liberati dalla morte eterna. Ma nella lotta della Sua fede con la tentazione a dubitare, sarebbe stato un peccato cedere anche in minima parte, e ciò non avrebbe potuto conciliarsi con la perfetta santità del Mediatore, Garante per i peccatori.

Obiezione. Ma, l’inquietudine dei Suoi pensieri e l’angoscia della Sua mente, non diminuirono in parte il vigore e la costanza della Sua fede?

Risposta. Non diminuirono nulla del vigore e della costanza della Sua fede, perché vi è una grande differenza tra il turbamento dei pensieri, e l’esitazione o l’indebolimento della fede, come vi è pure una grande differenza tra i turbamenti della mente e i turbamenti della coscienza. Infatti, come la mente può essere turbata, quando nella considerazione di una qualche difficoltà non riesce da subito a distinguere una via d’uscita, allo stesso tempo la coscienza rimane salda e quieta; così i ragionamenti della mente possono essere interrotti e fermi per un periodo, mentre la fede rimane intatta, completamente salda e quieta. Per esempio, nel ricevere improvvisamente una ferita, o quando ci viene riferita una qualche grave perdita, come quella che avvenne a Giobbe, i meccanismi delle facoltà razionali possono fermarsi per un certo tempo, mentre la coscienza è quieta, e la fede rimane forte, come vediamo nella reazione di Giobbe.

Ora se questo è possibile riscontrarlo in una qualche misura in un uomo imperfetto, ancorché santo, perché non dovremmo ammetterlo per il santo d’Israele mentre nella Sua natura umana pativa la punizione dei nostri peccati?

Consideriamo uno solo dei passi dell’opera di nostro Signore, Gv. 12.27,28, Ora è turbata l'anima mia; in cui ecco l’inquietudine della Sua mente, colpita dall’orrore della maledizione dovuta a noi che incombeva su di Lui; poi viene, e che dirò? Dove, ecco! la ragione rimane muta e completamente silenziosa, e Lui esprime solo la confessione della Sua inquietudine; subito dopo questo, Egli aggiunge, Padre, salvami da quest'ora; in cui ecco la natura santa, tremante e ridotta a cadere nell’ira del Padre, che secondo i principi della natura santa, testimonia la semplice repulsione della Sua anima per un male come l’ira di Dio Suo Padre, alla quale se non fosse stato per l’amore di salvare le nostre anime, Egli non avrebbe potuto lasciare che la Sua natura umana la sostenesse, o la sopportasse; quindi Egli, considerando che noi non eravamo altro che perduti per sempre, se Egli non avesse patito l’ira per noi, Egli ripete la sostanza del Patto di Redenzione concordato, ma, per questo sono io venuto in quest'ora. E infine, conclude le Sue parole e la Sua prova con la voce trionfante della fede vittoriosa e incontaminata, Padre, glorifica il tuo nome; e su questo egli tacque, di cui il Padre fu così compiaciuto, che dal cielo Egli parlò, udita dalla moltitudine presente in quel luogo, l'ho glorificato, e lo glorificherò ancora.

10. Fra i più profondi gradi di sofferenza di Cristo nella Sua anima, contiamo quell’abbandono che Cristo menziona sulla croce, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Con queste parole Egli non intendeva che l’unione personale delle nature era dissolta in lui, né che Dio aveva ritirato il Suo sostegno e aiuto dalla natura umana, né che l’amore del Padre era venuto meno, né che in alcun momento Egli era stato privato della perfezione della santità; ma il suo vero intento è di mostrare che Dio per un certo tempo aveva ritirato la consolazione sensibile, e la gioia percepita dalla Sua Anima umana, affinché la giustizia potesse essere più pienamente soddisfatta nelle Sue sofferenze. Questo è l’abbandono che noi dobbiamo comprendere. In questa diserzione, Cristo non deve essere considerato semplicemente come Egli è nella Sua persona, il Figlio del Padre, nel quale Egli si compiace sempre, ma come Egli nella sostituzione dei peccatori, Garante e Avallatore, il quale paga il loro debito. Sotto questo aspetto Egli acconsentì ad essere giudicato colpevole in nostro nome, e a pagare il debito di essere abbandonati da Dio, che noi avremmo dovuto soffrire completamente e per sempre, se Egli non si fosse interposto per noi.

11. L’ultimo grado delle sofferenze di Cristo (nel quale viene detto che Egli discese agli inferi, per quanto la Scrittura nell’Antico Testamento o la storia della passione di Cristo ci consentano di utilizzare questa espressione) è quella maledizione in cui la piena ira di Dio, e i residui di quella orribile coppa furono versati sopra la Sua santa natura umana, mentre il cielo, la terra e l’inferno sembravano cospirare per fare giustizia su di Lui, e punire completamente i nostri peccati nella persona di Lui nostro Garante mediante quella maledetta morte sulla croce, che era la prova predetta della maledizione di Dio che giaceva su di Lui, nella misura in cui era necessario completare la punizione della perdita e la sensazione sia nell’anima che nel corpo. E quindi non senza ragione i teologi Ortodossi hanno inteso la sofferenza di Cristo nella Sua anima, e la reclusione del Suo corpo nel sepolcro (deposto come la chiusura e parte finale delle sofferenze di Cristo) come il vero significato di quella espressione, Egli discese agli inferi: non solo perché queste sofferenze che Cristo patì nel corpo e nell’anima, erano dovute a noi in piena misura, ma anche perché ciò che Cristo soffrì nel momento del tormento e dell’afflizione, fu, sotto qualche aspetto, dello stesso genere dei tormenti dei dannati. Infatti, nella punizione dei dannati, noi dobbiamo necessariamente distinguere queste tre cose: (1.) la perversa disposizione della mente dei dannati nelle loro sofferenze; (2.) la durata e la perpetuità della loro punizione; e (3.) la punizione stessa, che tormenta l’anima e il corpo. I primi due non sono parte dell’essenza della punizione, anche se per combinazione divengono una punizione, per la malvagità, viltà e disonore dei dannati, i quali non vogliono né possono sottomettersi da sé alla punizione (e anche se vi si sottomettessero, sono completamente incapaci di rendere soddisfazione per sempre), e li tengono in una condizione disperata e sofferente per sempre, anche se i peccatori ostinati non comprendono questo, né vi credono, ma continuano ad accumulare ira contro di loro, compiacendosi nei propri sogni, a loro infinita perdizione. Di questi tre, i primi due non avrebbero trovato alcun posto in Cristo: Non il primo, perché Egli si offrì Se stesso come sacrificio per i nostri peccati; e dietro un accordo, pagò completamente il riscatto; Non il secondo, perché Egli non poteva essere trattenuto nelle sofferenze della morte più di quanto fosse necessario a soddisfare la Giustizia, e a terminare quanto Gli era stato imposto; e la Sua infinita eccellenza rese la Sua breve sofferenza di infinito valore, ed equivalente alla nostra sofferenza eterna.

La terza quindi rimane, la quale è il vero e sensibile tormento dell’anima e del corpo nell’essere fatto maledizione per noi, e di sentirlo in tal modo nella Sua vera esperienza. E che bisogno abbiamo di mettere in dubbio il dolore infernale, in cui dolore e tormento, e la maledizione con l’ira di Dio ben percepita si abbatterono, e rimasero finché la Giustizia non fu soddisfatta? Riguardo a questo, è certo che Cristo fu preso dai dolori della morte, come è certo nella Scrittura che Egli non poteva essere trattenuto nelle sofferenze della morte, Atti 2.24.

Domanda. Ma quale parte aveva la natura divina di Cristo nelle Sue sofferenze umane, da renderle così brevi e così preziose e soddisfacenti per la Giustizia di così tanti peccati di così tanti peccatori, specialmente quando consideriamo che Dio non può soffrire?

Risposta. Sebbene questa passione della natura umana non potesse raggiungere tanto la natura divina di Cristo, da causare sofferenza in un senso fisico (che è davvero impossibile), tuttavia queste sofferenze incisero sulla persona così tanto, che si può effettivamente dire che Dio soffrì, e con il Suo sangue acquistò per Sé il Suo popolo, At. 20.28, perché, sebbene il vero e formale soggetto della sofferenza fisica è solo la natura umana, tuttavia il principale soggetto delle sofferenze, in un senso sia fisico che morale, è la persona di Cristo, Dio e uomo, dalla cui dignità scaturiscono il valore e l’eccellenza di ogni sorta di sofferenze, il merito e la sufficienza del prezzo per la soddisfazione.

E consideriamo pure, che sebbene Cristo, come Dio, nella sua natura divina non poteva soffrire in un senso fisico, tuttavia in un senso morale Egli poteva soffrire, e soffrì: infatti, ci sembrerà una cosa da nulla, e non sarà aggiunto al conto del pagamento di nostro Signore per il nostro debito, il fatto che Egli, essendo nella forma di Dio, e senza esagerazione uguale a Dio, abbassò la Sua persona ad assumere la natura umana, e svuotò Se stesso così tanto da nascondere la Sua gloria e prendere l’aspetto di un servo, e si espose volontariamente alla contestazione dei peccatori che avrebbe incontrato, e a tutte le proteste, le critiche, il disprezzo e le calunnie?

Obiezione. Ma, come poteva uno svilimento tanto basso del Figlio dell’uomo, o della natura umana assunta da Cristo, conciliarsi con la Maestà della persona del Figlio di Dio?

Risposta. Dobbiamo distinguere in Cristo le cose che sono proprie di una delle due nature, dalle cose che sono attribuite alla Sua persona, rispetto ad una delle nature o ad entrambe le nature. La gloria della potenza, della grazia e della misericordia, e l’eccellente Maestà, e simili, sono proprie della Divinità; ma le sofferenze della natura umana, sono così lontane dal diminuire la gloria della natura divina, che la manifestano e la fanno apparire più chiaramente. Infatti, quanto la natura umana fu indebolita, depressa, e disprezzata, per il nostro bene, altrettanto l’amore per l’uomo di Cristo, Dio e uomo in una persona, e la Sua misericordia e potenza e grazia verso l’uomo, brillano negli occhi di coloro che giudiziosamente guardano a Lui.

Obiezione. Ma vedendo che la soddisfazione di Cristo per i peccatori non si trova in alcuna parte delle Sua azioni e sofferenze, ma nell’intera e preziosa perla, e completo prezzo della Sua completa obbedienza dalla Sua incarnazione fino alla morte sulla Sua croce, come mai la Scrittura l’intera espiazione dei nostri peccati è attribuita così spesso alla Sua passione, e in modo particolare al Suo sangue?

Risposta. Questo avviene, (1.) Perché la certezza e la realtà della Sua natura umana assunta, e la certezza delle Sue reali sofferenze, e l’adempimento di tutti i sacrifici levitici, divennero evidenti ai sensi nell’effusione del Suo sangue. (2.) Perché l’espressione delle Sue sofferenze, sia nell’anima che nel corpo, fu evidente nell’effusione del Suo sangue: infatti, nel giardino, mentre il Suo corpo non era stato ancora toccato, o ferito dall’uomo, dai semplici dolori della Sua anima, gocce di sangue dal suo corpo caddero sulla terra. (3.) Perché l’effusione del Suo sangue e la morte fu l’ultimo atto che completò il pagamento del riscatto al Padre per noi, il quale pagamento iniziò nella Sua umile incarnazione e continuò per tutta la Sua vita, e fu completato nell’effusione del Suo sangue e nella Sua morte, la qual cosa nostro Signore suggerì sulla croce, quando gridò vittorioso nel trionfo, è compiuto.


Lo scopo di questo articolo del patto di Redenzione


Abbiamo parlato del prezzo della Redenzione, e del pagamento del debito da parte di Cristo mediante la Sua passione. [Lo scopo è:] (1.) Che in questo modo il corrispettivo dei nostri peccati potesse essere più chiaramente visibile. (2.) Che la sublimità e l’eccellenza della divina Maestà, offesa dal peccato, potessero essere evidenti. (3.) Che noi possiamo contemplare la severità della giustizia di Dio, finché Egli non ha fatto soddisfazione e riparazione in qualche maniera delle ingiurie a Lui fatte. (4.) Che la mirabile ampiezza della misericordia di Dio potesse essere riconosciuta e ammirata.

Infatti nel prezzo di Redenzione pagato, noi possiamo vedere, come in uno specchio, quanto grandemente il Signore odi il peccato; quanto grande sia il Suo amore per il mondo nel mandare suo Figlio Cristo fra di noi; quanto gravemente l’ira di Dio sarà sopra coloro che non si volgono alla soddisfazione di Cristo per la loro liberazione; quanto grande siano la dignità e l’eccellenza del Signore nostro Redentore, per la cui causa la riconciliazione viene concessa a tutti coloro che portano a effetto l’offerta di grazia attraverso di lui; quanto grande sia l’obbligo dei credenti di amare Dio, e di servirlo; e quanto grandemente la gloria di tutti gli attributi di Dio risplenda nell’opera di Redenzione.

2. Mediante questa dottrina, diviene evidente quanto vani e malvagi siano gli stratagemmi degli uomini superstiziosi, i quali, per placare l’ira di Dio, hanno stabilito penitenze, e pellegrinaggi, e fustigazioni, e messe per le anime, e il purgatorio, e altre abominazioni simili, delle quali la parola di Dio non ha parlato, ma ha proibito tutte le invenzioni dell’uomo, come fantasie indegne, per realizzare la salvezza degli uomini. Queste invenzioni tendono solo a diminuire la dignità del prezzo del riscatto di Cristo, e a denigrare la completezza e la perfezione del prezzo pagato dal nostro benedetto Redentore Gesù Cristo, e creano altri Salvatori al suo posto.

3. È anche evidente quanto è adeguato un sommo Sacerdote stabilito su di noi, il quale è toccato dalle nostre debolezze e tentazioni; dal quale noi possiamo avere una concreta consolazione in tutte le fitte delle nostre coscienze tormentate, e nel quale noi abbiamo un solido fondamento poggiato per tutti coloro che si volgono a lui, per stabilire la nostra fede e speranza nel Figlio di Dio, il quale di proposito, con il consenso del Padre, ha sofferto così tanti e grandi mali affinché potesse redimerci.

4. E quindi noi possiamo pure percepire quanto la giustizia divina sia ben soddisfatta, e con quale garanzia possano essere quietate le coscienze dei credenti deboli, i quali sono soliti esagerare tanto la sofferenza e la moltitudine dei loro peccati, da dimenticare di riporre una giusta considerazione nella soddisfazione operata da Cristo per tutti coloro che vengono a Dio attraverso di lui.



Il terzo articolo


IL terzo articolo del patto di Redenzione, stabilito tra il Padre e il Figlio, concerne i benefici, i doni, e le grazie da conferire ai redenti: tutti questi doni e grazie, sono sommariamente comprese in quell’unico dono di Dio, di cui si parla in Gv. 4.10, che è Cristo, il quale è liberamente offerto, e dato, ai credenti eletti per la rettitudine e la vita eterna, secondo quanto fu detto in Isa. 9.6, Perciocchè il Fanciullo ci è nato, il Figliuolo ci è stato dato; e l'imperio è stato posto sopra le sue spalle; e il suo Nome sarà chiamato: L'Ammirabile, il Consigliere, l'Iddio forte, il Padre dell'eternità, il Principe della pace. E in 2 Pie. 1.3, siccome la sua potenza divina ci ha donate tutte le cose, che appartengono alla vita ed alla pietà, per la conoscenza di colui che ci ha chiamati per la sua gloria e virtù.

2. I benefici che sono stabiliti per i redenti, sono così trasmessi e conferiti a loro, che, primo, essi sono le ricchezze che Cristo ha acquistato per gli eletti, ed essendo risoluto a morire, affinché tale acquisto potesse essere assicurato al suo popolo, egli rese le Sue ultime Volontà e Testamento un’ultima volta, e lasciò in retaggio a tutti coloro che credono in lui tutte le cose che appartengono alla rettitudine e alla salvezza; e questi benefici, al momento giusto, egli effettivamente applica loro e ne dà il possesso. Di questi doni, noi ne menzioneremo principalmente tre: il primo è la rigenerazione, o il volgersi dell’uomo verso di lui; il secondo è il dono della fede salvifica; il terzo è la perseveranza. In questi tre doni, quelli che difendono e magnificano il potere del libero arbitrio dell’uomo, fanno ciò che oscura la gloria della libera grazia di Dio, vantandosi di essere in grado, senza la grazia speciale di Dio, i convertire se stessi oppure no, come vogliono, così che quando Dio intende convertirli, ed usa tutti i mezzi per la loro conversione, essi sono capaci di resistere a tutte le sue operazioni della grazia, e rendere vano il Suo proposito e impegno. Ma questo Patto di Redenzione, stabilito tra il Padre e il Figlio, Mediatore e Redentore, decide la questione e li rende bugiardi: infatti, solo coloro che Dio preconobbe, Egli predestinò ad essere conformi all’immagine del Suo Figlio-e quelli che ha predestinato, quelli pure ha chiamato; e quelli che ha chiamato, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificato, li ha pure glorificati, Rom. 8.28.


Riguardo a questi tre doni


È concordato tra Dio e Cristo, che gli eletti saranno convertiti invincibilmente e infallibilmente, e che la fede salvifica sarà loro conferita, e che essi persevereranno nell’obbedienza della fede, così che non scadranno dalla grazia di Dio né completamente né definitivamente.

È promesso a Cristo, nel Salmo 110.3, nel giorno del Suo potere, il Suo popolo sarà volenteroso; infatti, nonostante la naturale corruzione della loro volontà si opponga e resista allo Spirito Santo, mentre Egli usa i mezzi per convertirli, tuttavia nel momento opportuno, il potere invincibile della libera grazia di Dio verso di loro rimuove ogni resistenza, così che l’uomo, non volendo da sé, viene reso liberamente e genuinamente volenteroso di essere riconciliato con Dio: infatti Dio può sia preservare la naturale libertà della volontà, e rimuoverne quella deformità e presunzione che è in essa; Egli può infondere e creare nell’uomo uno spirito retto, e nuove abitudini di grazia, e può manifestare queste abitudini nella pratica, rendendo l’uomo redento non solo capace di volere, ma pure realizzando che egli effettivamente desideri e compia ciò che è gradito a Lui, Fil. 2.13, e in Efe. 2.8 ci viene insegnato che la fede non proviene da noi, ma è il dono di Dio; non dalle opere, perché nessun uomo si vanti. E questo dono della fede salvifica è conferito solo agli eletti, e quindi è chiamato la fede degli eletti, Tito 1.1, e solo essi credono in Gesù Cristo e sono ordinati a vita eterna, At. 13.48, tanto che vengono a Cristo, tutti coloro che sono dati a Lui dal Padre, Gv. 6.37, e nessun uomo può venire a Cristo, tranne chi è attirato dal Padre, Gv. 6.44. Ma quelli che non sono redenti, non vengono a Cristo per la rettitudine e la vita, Gv. 10.26, voi non credete, disse Gesù ad alcuni Giudei, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce, ed io le conosco, ed esse mi seguono.

Riguardo alla perseveranza, il Padre promise al Figlio, che l’opera della grazia sarà salda in tutti i redenti, o nella sua progenie eletta, Isa. 59.21, E quant'è a me, dice il Signore (a Cristo), questo sarà il mio patto che io farò con loro: Il mio Spirito, che è sopra te, e le mie parole che io ho messe nella tua bocca, non si partiranno giammai dalla tua bocca, nè dalla bocca della tua progenie, nè dalla bocca della progenie della tua progenie, da ora fino in eterno, ha detto il Signore. E, in Ger. 32.40, E farò con loro un patto eterno, che io non mi ritrarrò giammai indietro da loro, per non far loro bene; e metterò il mio timor nel cuor loro, acciocchè non si dipartano da me.

E viene dato a Cristo un comando speciale, per preservare per la vita eterna tutti quelli che vengono a lui, Gv. 6.39, Ora questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: ch'io non perda niente di tutto ciò ch'egli mi ha dato; anzi, ch'io lo risusciti nell'ultimo giorno. In questo s’impegna Cristo, a realizzarlo fedelmente, quando in Gv. 10.28 dice, Ed io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e niuno le rapirà di man mia. Ma non dilunghiamoci troppo su questo, di cui i teologi ortodossi hanno scritto abbondantemente nelle loro dispute contro l’errore menzionato in precedenza, perché gli avversari traggono i loro supposti argomenti dall’instabilità della volontà umana, in materia di perseveranza, e dalla libertà e dal potere della mutevole volontà dell’uomo in materia di conversione e fede salvifica, e dalla maniera con cui Dio parla alla moltitudine mista di chiamati e non eletti, e a quelli che sono sia chiamati che eletti. Noi dunque ci accontenteremo di spiegare questo patto tra il Padre e il Figlio, Mediatore e Redentore, per rendere la materia sicura per gli eletti, fondando la loro conversione, fede, ravvedimento, perseveranza, e salvezza, sopra l’immutabile patto di Redenzione, legati all’accordo stabilito tra Dio, e Dio il Figlio Mediatore e Redentore, come sarà dimostrato da cinque passi della Scrittura.


La prima prova è dal verso 13 di Isa. 52 fino alla fine del Capitolo 53


Il primo passo è Isa. 52, verso 13, e avanti fino alla fine del capitolo 53, dove abbiamo, primo, le due parti contraenti, Dio Padre, e Cristo; infatti, il Padre genera il suo Figlio confederato perché s’incarnasse secondo il patto, suo servo, il quale egli impiega nell’intera opera di Redenzione, come la causa meritoria e colui che la realizza: Ecco il mio Servitore, dice Dio Padre per mezzo del suo Spirito, parlando mediante il Profeta, cap. 52, verso 13. Di seguito, entrambe le parti sono sicure dell’esito dell’accordo, e del conseguimento glorioso dell’intera opera, Ecco, (disse Egli), il mio Servitore prospererà, egli sarà grandemente innalzato, esaltato, e reso eccelso, verso 13. Terzo, egli dice il prezzo appropriato, che Cristo il Figlio pagherà per la Redenzione del suo popolo, concordato nel patto, ovvero, l’umiliazione del Figlio incarnato fino all’ignominiosa morte sulla croce, che il Suo aspetto fosse sfigurato più di ogni altro uomo, e le Sue sembianze più di tutti i figli degli uomini, verso 14, e più particolarmente il cap. 53, verso 2, Non vi è stata in lui forma, nè bellezza alcuna; e noi l’abbiamo veduto, e non vi era cosa alcuna ragguardevole, perchè lo desiderassimo; Egli è stato sprezzato, fino a non esser più tenuto nel numero degli uomini; è stato uomo di dolori, ed esperto in languori, versi 2 e 3, Ma egli è stato ferito per li nostri misfatti, verso 5, L’anima sua si sarà posta per sacrificio per la colpa, verso 10.

Quarto, Cristo il Figlio di Dio incarnato, è rassicurato e confermato del dolce frutto della sua passione nella conversione di molte nazioni, le quali egli aspergerà con il sangue del patto e santificherà con l’acqua del Suo santo Spirito, cap. 52, verso 15, Così egli cospergerà molte genti, etc.

Quinto, Dio e Cristo sono in accordo e compiaciuti nella conversione di tutti quelli che sono eletti, e dati a Cristo, per avere in Lui il diritto d’adozione, Cap. 53, verso 10. Egli vedrà la sua progenie, ovvero, Egli rigenererà gli eletti, e li renderà Suoi figli, e li vedrà tali, a Sua soddisfazione.

Sesto, nessuna causa meritoria o impulsiva si trova nelle persone redente, per cui la punizione dovuta loro dovesse essere trasferita sul Mediatore Cristo nostro Redentore; infatti, essi non fanno altro che disprezzare Cristo, a causa delle Sue sofferenze, Cap. 53.4, Veramente egli ha portati i nostri languori, e si è caricato delle nostre doglie; ma noi abbiamo stimato ch’egli fosse percosso, battuto da Dio, ed abbattuto.

Settimo, nessuna causa meritoria di punizione si trova in Cristo il Redentore, per cui Egli dovesse essere percosso, Cap. 53, versi 5, 9, Ma egli è stato ferito per li nostri misfatti–egli non commise alcuna violenza, né vi era alcuna frode nella sua bocca.

Ottavo, la pace e la riconciliazione e la guarigione della nostra peccaminosa e miserabile malattia, e liberazione dall’ira, sono acquistate per il prezzo del Suo sangue, Cap. 53, verso 5, il castigamento della nostra pace è stato sopra lui; e per li suoi lividori noi abbiamo ricevuta guarigione.

Nono, Cristo non sopportò queste sofferenze inconsapevolmente, o non volontariamente, ma con il consenso, deliberatamente secondo il patto, Cap. 53, verso 7, Egli è stato oppressato, ed anche afflitto, e pur non ha aperta la bocca; è stato menato all’uccisione, come un agnello; ed è stato come una pecora muta davanti a quelli che la tosano, e non ha aperta la bocca.

Decimo, La causa di questo patto, con cui il prezzo è definito e consegnato, e pagato, è unicamente la libera grazia di Dio e il Suo beneplacito, Cap. 53, verso 10, Ma il Signore l’ha voluto fiaccare, e l’ha addogliato.

Undicesimo, È concordato tra il Padre e il Figlio, che i nostri peccati dovessero essereGli imputati, e la Sua rettitudine imputata a noi, e che i redenti dovessero credere in lui e così essere giustificati, Cap. 53, verso 11, Egli vedrà il frutto della fatica dell’anima sua, e ne sarà saziato; il mio Servitor giusto ne giustificherà molti per la sua conoscenza, ed egli stesso si caricherà delle loro iniquità.

Dodicesimo, È concordato tra le parti, che per quanti Cristo avesse deposto la Sua vita, Egli dovesse pure esserne intercessore, per trasmettere loro tutte le grazie e le benedizioni acquistate, Cap. 53, verso 11, egli portò i peccati di molti, e fece intercessioni per i trasgressori: Egli non fece intercessione per il resto del mondo all’infuori degli eletti, Gv. 17.9,10.

Dunque ne consegue che Dio e Cristo non si accordarono per la Redenzione di ogni singolo uomo; no, non per la Redenzione, conversione, e salvezza di ogni singolo uomo a cui il Vangelo doveva essere predicato; perché, molti dovevano essere chiamati, che non erano eletti, ai quali il dono della fede salvifica non doveva essere conferito, né doveva mai essere rivelata la potenza di Dio per la salvezza; e questa è l’osservazione che fa l’Evangelista sul primo verso di Isaia 53 in Gv. 12.37 e segg.: E, benchè avesse fatti cotanti segni davanti a loro, non però credettero in lui; acciocchè la parola che il profeta Isaia ha detta s’adempiesse: Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? ed a cui è stato rivelato il braccio del Signore? Per tanto non potevano credere, perciocchè Isaia ancora ha detto: Egli ha accecati loro gli occhi, ed ha indurato loro il cuore, etc.

Secondo, deriva quindi, che l’elezione e la Redenzione non furono per la fede o le opere previste degli eletti redenti, ma per la pura grazia e benevolenza di Dio, e tutto fatto per loro e in loro, contrariamente a quanto invece meritavano; infatti, è detto in Isa. 53.6, Noi tutti eravamo erranti, come pecore; ciascun di noi si era volto alla sua via; ma il Signore ha fatta avvenirsi in lui l’iniquità di tutti noi.

Terzo, segue quindi, che fu concordato che la grazia salvifica e la conversione e la santificazione dovessero infallibilmente e invincibilmente realizzarsi ed essere date ai redenti, Isa. 52.13, ECCO, il mio Servitore prospererà, egli sarà grandemente innalzato, esaltato, e reso eccelso, e, verso 15, cospergerà molte genti; e Isa. 53.11, Il mio Servitor giusto ne giustificherà molti per la sua conoscenza.

Quarto, segue ancora, che nell’accordo viene stabilita la loro perseveranza finale e la piena salvezza: infatti, Isa. 53.5, Per li suoi lividori noi abbiamo ricevuta guarigione. Ora, la nostra guarigione è la nostra piena salvezza dal nostro peccato e miseria, o dalla nostra malattia mortale. E, Isa. 53.10, Il beneplacito del Signore prospererà nella sua mano: il piacere del Signore è in parte la nostra santificazione, 1 Tes. 4.3, in parte la nostra salvezza e glorificazione, Gv. 6.39, Ora questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: ch’io non perda niente di tutto ciò ch’egli mi ha dato; anzi, ch’io lo risusciti nell’ultimo giorno. E la sua intercessione serve potentemente questo fine, da cui l’Apostolo conclude che i credenti saranno perfettamente salvati, Ebr. 7.25, Egli può salvare appieno coloro, i quali per lui si accostano a Dio, vivendo sempre, per interceder per loro.


La Seconda Prova è da Isa. 59.20,21


Il secondo passo è da Isa. 59.20,21, dove, primo, abbiamo i riferimenti alle parti in accordo: il Signore Geova ha detto e del Redentore ha detto, che Egli verrà da Sion come Redentore. Poi, abbiamo il genere di accordo tra le parti, Dio da una parte, e il Redentore con i redenti, per i quali e nel cui nome egli fa questo accordo: questo è il mio Patto con loro, ma prima con Cristo, come mostrano le parole successive. Terzo, abbiamo la parte redenta, Sion e Giacobbe che si convertono dalle trasgressioni, che è il segno dei veri credenti in Cristo e degli eletti, per i quali è prestabilita questa grazia, come in Romani 11.7, Israele non ha ottenuto quel ch’egli cerca; ma l’elezione l’ha ottenuto, e gli altri sono stati indurati. E, Romani 11.26, E così tutto Israele sarà salvato, secondo ch’egli è scritto.

Quarto, abbiamo il genere della loro liberazione, che sarà non solo mediante il pagamento di un prezzo, ma anche mediante un’opera potente ed efficace, come intende l’originale, Romani 11.26 e Isa. 59.20. Quinto, i benefici conferiti agli eletti sono compresi sotto la designazione dei redenti: essi devono essere convertiti dalla loro iniquità mediante una una conversione efficace, accordando loro la fede in Cristo, il ravvedimento e la riconciliazione. Sesto, viene mostrato come queste grazie saranno realizzate, ovvero, mediante la loro applicazione da parte della parola e dello Spirito di Cristo; da cui sgorgano e procedono in essi la santificazione, la salvezza, e la perpetuazione di tutte le grazie salvifiche; Il mio Spirito che è sopra te, dice il Signore al Redentore incarnato, e le mie parole che io ho messe nella tua bocca, non si partiranno giammai dalla tua bocca, nè dalla bocca della tua progenie, etc.

Questi articoli del patto di Redenzione sono esplicitamente contrari, primo, alla Redenzione universale di ogni singolo uomo: perché Cristo, com’è mostrato prima, fa il suo accordo per gli eletti, e lascia il resto nella cecità, ed è un Redentore unicamente di questi dei quali Egli è veramente un liberatore, dai quali Egli ha rimosso l’iniquità e l’empietà; e questi benefici non giungono a nessuno, se non agli eletti e redenti. Poi, sono contrari all’elezione per la fede e le opere previste, perché quando Cristo viene a chiamare a sé i Giudei, Egli non trova nulla di lodevole in essi, ma solo empietà, trasgressione e apostasia, e quant’altro potrebbe indurlo a respingerli; essi sono convertiti dalla trasgressione.

Terzo, sono contrari ad una semplice e contingente conversione: infatti, è qui promessa la grazia invincibile, perché la parola e lo Spirito di Cristo prenderanno dimora in loro, e non si allontaneranno.

Quarto, sono contrari alla dottrina dell’Apostasia dei santi, e dell’incertezza della loro perseveranza, perché qui viene promesso a Cristo che dal cuore e dalla bocca della Sua progenie, la parola e lo Spirito di Cristo non si partiranno mai.


La Terza Prova è da Giovanni 6.37 e seguenti


Il terzo passo è Gv. 6, dal verso 37 al 45, dove, primo, sono presentate le parti contraenti nel Patto di redenzione: infatti, gli Eletti sono consegnati nella mano di Cristo dal Padre: Tutto quello che il Padre mi dà, viene a me, verso 37.

Secondo, alla consegna degli Eletti da parte del Padre a Cristo segue, a tempo debito, la conversione e la fede salvifica dei redenti; Tutto quello che il Padre mi dà, verrà a me, dice Cristo.

Terzo i redenti sono devoti a Cristo, come loro guida, preservazione e perfezionamento della loro salvezza: Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: ch’io non perda niente di tutto ciò ch’egli mi ha dato; anzi, ch’io lo risusciti nell’ultimo giorno.

Quarto, viene concordato con quali mezzi debba essere formata la fede nei redenti, che sono, la vista rivelata di Cristo il Figlio di Dio nella Parola; la potente attrazione dell’anima illuminata verso Cristo, che con potenza vince ogni opposizione e resistenza, perché è onnipotente e invincibile; infatti, nessun uomo viene a Cristo, se non chi è attirato dal Padre, verso 44, e ciò facendo in modo che essi in modo salvifico e attivo vedano il Figlio e credano in Lui, verso 40.

Dunque segue,

Primo, che è una falsa Dottrina insegnare che vi sia una redenzione universale alla vita di ogni singolo uomo, perché non tutti, ma solo alcuni sono dati, e fatti venire a Cristo; il resto non sono dati, e non vengono.

Secondo, ne segue che l’Elezione è per pura libera grazia, perché gli uomini non vengono a Cristo affinché possano essere dati, ma sono dati a Cristo, affinché possano essere portati e possano venire a lui.

Terzo, per questo accordo, la potente conversione dei redenti e la loro potente preservazione per la vita eterna, è certa quanto sono ferme e certe la potenza, la costanza, e l’obbedienza di Cristo verso il Padre: Ora questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: ch’io non perda niente di tutto ciò ch’egli mi ha dato; anzi, ch’io lo risusciti nell’ultimo giorno, verso 39.


La Quarta Prova è Giovanni 10.14.


Il quarto passo è Giovanni 10, dal verso 14 al verso 3o, dove vediamo che il Signore Gesù, il vero Pastore d’Israele prima che s’incarnasse, Sal. 23, continua adesso in quello stesso ufficio, essendo incarnato, e fa comprendere questo al suo popolo quando dice, Io sono il buon pastore.

Secondo, la cura e la protezione di tutti i redenti, sia convertiti che non [ancora] convertiti, furono riposte su Cristo, versi 14 e 16, Conosco le mie pecore, e son conosciuto dalle mie. … Io ho anche delle altre pecore, che non son di quest’ovile; quelle ancora mi conviene addurre, ed esse udiranno la mia voce.

Terzo, il prezzo della loro redenzione è chiaramente concordato, verso 15, Come il Padre mi conosce, ed io conosco il Padre; e metto la mia vita per le mie pecore.

Quarto, il Padre accetta il prezzo, e ne è soddisfatto e compiaciuto, versi 17 e 18, Per questo mi ama il Padre, perciocchè io metto la vita mia, per ripigliarla poi. Niuno me la toglie, ma io da me stesso la depongo; io ho podestà di deporla, ed ho altresì podestà di ripigliarla; questo comandamento ho ricevuto dal Padre mio.

Quinto, tutti i redenti sono infallibilmente convertiti, ma quelli che non sono redenti non sono neanche convertiti, verso 27, Le mie pecore ascoltano la mia voce, ed io le conosco, ed esse mi seguono; e, verso 26, Ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore.

Sesto, sebbene ai redenti e convertiti non mancheranno i nemici, che cercheranno di rovinare la loro perseveranza e salvezza, tuttavia essi non prevarranno, verso 28, Ed io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e nessuno le rapirà di man mia.

Dunque ne consegue, primo, che la dottrina della redenzione universale per la vita di ogni singolo uomo è falsa, perché è concordata solo la redenzione delle pecore elette, per le quali egli depone la sua vita, verso 15, e il resto non sono redenti né ordinati alla vita, perché a questi egli si rivolge nel verso 26, essi non erano delle sue pecore, ma rimasero non credenti.

Secondo, ne deriva che l’elezione degli uomini non è per la fede o le opere previste, ma al contrario, che la fede è ordinata affinché sia data ai redenti, perché essi sono eletti e consegnati a Cristo per essere convertiti e salvati, verso 16, Io ho anche delle altre pecore, che non son di quest’ovile; quelle ancora mi conviene addurre, ed esse udiranno la mia voce.

Terzo, segue che la conversione degli Eletti non dipende dalla loro volontà, ma dall’impegno di Cristo a fare in modo che essi credano e dalla Sua onnipotenza, verso 16, Io ho anche delle altre pecore, e quelle ancora mi conviene addurre, ed esse udiranno la mia voce.

Quarto, segue che sebbene i credenti redenti siano di per sé inetti come pecore, e deboli, e pronti ad essere distrutti, e circondati da molti nemici come pecore in mezzo ai lupi, tuttavia a causa dell’onnipotenza del Padre e del Figlio, che li hanno presi in cura e li proteggono, essi persevereranno, ed è impossibile che essi periscano e non perseverino, Giovanni 10.28,29, Ed io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e nessuno le rapirà di man mia. Il Padre mio, che me le ha date, è maggior di tutti; e nessuno le può rapire di man del Padre mio.


La Quinta Prova.


Il quinto passo è il Salmo 40, spiegato dall’Apostolo in Ebr. 10.5-7, dove, primo, lo Spirito di Dio espone il patto di cui stiamo parlando, e introduce le parti, Dio e Cristo, come se parlassero l’uno all’altro, e come se fosse davanti ai nostri occhi e al nostro ascolto, come se ne ripetessero i termini. Per prima cosa si parla del prezzo della Redenzione, per l’espiazione dei peccati, che non devono essere perdonati senza sangue, senza un sangue migliore di quello degli animali, Ebr. 10.4.

Secondo, tutte le soddisfazioni da parte degli uomini, e qualunque prezzo possa essere pagato da semplici uomini, sono respinti: Tu non hai voluto sacrificio, nè offerta, verso 5.

Terzo, nulla all’infuori della sola incarnazione del Figlio del Mediatore, la Sua obbedienza e la sofferenza della morte, poteva soddisfare la Giustizia divina: ma tu mi hai preparato un corpo, verso 5.

Quarto, il Mediatore Cristo offre Se stesso come pegno e Garante del Suo proprio accordo, e accetta la condizione: Allora io ho detto: Ecco, io vengo; egli è scritto di me nel rotolo del libro; io vengo per fare, o Dio, la tua volontà, Ebr. 10.7

Quinto, Cristo il Garante, non solo accondiscende sul prezzo, ma anche sulle persone da redimere, e sulla loro santificazione: E per questa volontà siamo santificati, noi che lo siamo per l’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta, e questo prezzo ora è effettivamente pagato, Ebr. 10.10.

Sesto, pagato il prezzo, il Mediatore procede con l’applicazione dei benefici acquistati, mediante la Sua intercessione, Ebr. 10.12,13, Ma esso, avendo offerto un unico sacrificio per i peccati, si è posto a sedere in perpetuo alla destra di Dio; nel rimanente, aspettando finchè i suoi nemici siano posti per sgabello de’ suoi piedi.

Dunque ne segue, primo, che non vi è alcuna Redenzione universale per la vita di ogni singolo uomo, Poichè per un’unica offerta, egli ha in perpetuo appieno purificati coloro che sono santificati, Ebr. 10.14, quindi non sono mai stati redenti quelli che non sono mai santificati; e sono purificati solo quelli che sono redenti.

Secondo, segue che non per alcuna cosa nell’uomo, né la fede o le opere previste, gli uomini sono eletti e redenti, perché viene respinto tutto ciò che il semplice uomo può fare, perché potesse apparire evidente la pura grazia di Dio nell’impegno di Cristo verso gli uomini per suo proprio consenso: Perciò, entrando egli nel mondo, dice: Tu non hai voluto sacrificio, nè offerta; ma tu mi hai preparato un corpo. Tu non hai gradito olocausti, nè sacrificii per lo peccato. Allora io ho detto: Ecco, io vengo, Ebr. 10.5-7.

Terzo, mediante la morte di Cristo vengono acquistate la conversione e la santificazioni infallibili dei redenti, e della loro perseveranza fino alla perfezione. Per un’unica offerta, egli ha in perpetuo appieno purificati coloro che sono santificati, Ebr. 10.14, e quindi i redenti non possono che essere convertiti, non possono che essere santificati, non possono che perseverare fino alla purificazione, e ciò per sempre, Ebr. 10.12-14.

L’utilità di questo articolo è, primo, che tutti questi che ascoltano il Vangelo, e l’hanno accolto in qualunque modo, debbano, riconoscendo la loro corruzione naturale e la perversa malvagità, umiliare se stessi dinanzi a Dio, e pregare e sperare nella grazia secondo le promesse offerte nel Vangelo.

Secondo, che quanti sono già consapevoli dei loro peccati e di ciò che meritano, non fuggano via o siano scoraggiati, ma piuttosto, corrano a Cristo nel quale è promesso loro il sollievo dal peccato e dalla miseria.

Terzo, che coloro che fissano il loro sguardo sul Figlio, decisi a rimanere uniti saldamente a lui, riconoscano il potente impulso della mano onnipotente di Dio, che ha fatto in modo che essi venissero a Cristo, e nutrano sull’opera di grazia incominciata una viva speranza di salvezza, e si adoperino a purificare la loro anima in questa speranza.

Quarto, che quanti vedono l’instabilità e l’incoerenza del loro libero arbitrio, e hanno esperienza del loro cuore, che li inganna frequentemente, dopo che si sono impegnati con promesse e voti a fare maggiore attenzione nelle loro vie, non perdano la loro fiducia in Cristo a causa della loro debolezza, ma si affidino meno alle loro forze, e afferrino sempre di più la potenza, la fedeltà e la costanza di Cristo nell’aiutare i deboli con un simile carico. L’Apostolo, guardando all’impegno di Cristo nel patto, per coloro che con una qualche misura di sincerità si legano a lui, ha detto, in 1 Cor. 1.8,9, Cristo vi confermerà fino alla fine, affinché siate senza colpa nel giorno del nostro Signor Gesù Cristo. Fedele è Iddio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figliuolo Gesù Cristo, nostro Signore.

Quinto, che non seguiamo la guida del nostro libero arbitrio, ma che quanti si sono rivolti a Cristo, diano a lui la gloria di indurre il nostro cuore alle sue testimonianze, e alla sua obbedienza in qualunque misura, e conosciamo che ogni moto spirituale proviene dal suo acquisto, e dall’applicazione che ci è conferita. E quando troviamo che la sua mano si ritira, e il nostro cuore si orienta verso le cose non giuste, corriamo a lui per raddrizzarlo, nella speranza di essere aiutati dalla sua grazia a combattere contro qualsiasi avversario della nostra salvezza.



Il Quarto Articolo.


Riguardo al quarto articolo del patto di Redenzione, esso concerne i mezzi e la maniera con cui gli eletti saranno richiamati dal mondo di perdizione, e saranno efficacemente chiamati e convertiti a Dio, così che il mondo in mezzo al quale gli eletti vivono, non sia causa d’inciampo: infatti, egli ha intrapreso una via estremamente saggia per eseguire il decreto d’elezione e Redenzione, in modo da essere sicuro di radunare a sé i suoi, e da non aprire il suo consiglio in particolare per non scoraggiare alcuno, com’è detto dal padre, in Isa. 52.13, ECCO, il mio Servitore prospererà. Il mezzo principale stabilito è la predicazione del Vangelo a tutte le nazioni, comandando a tutti gli uomini, dove il Vangelo è predicato per la Provvidenza di Dio, di ravvedersi e di credere nel Nome di Gesù Cristo, e di amarsi gli uni gli altri come egli ha comandato loro, Atti 17.30 e 1 Giovanni 3.23, e quelli che rifiutano di obbedire siano senza scusanti.

Un altro mezzo è la conduzione di quanti professano d’aver accolto l’offerta di grazia da parte di Gesù Cristo, loro e i loro figli, nel vincolo di un esplicito e solenne patto, affinché si sottomettano alla dottrina e al governo di Cristo, e insegnino ai loro figli a fare altrettanto, come fece Abrahamo il padre dei credenti, in Gen, 18.19; Mat. 28.19,20, fate discepoli di tutte le nazioni, o, fate di tutte le nazioni miei discepoli.

Un terzo mezzo è il sigillo del patto mediante il Sacramento del battesimo, Mat. 28.19,20, ammaestrate tutti i popoli; battezzandoli nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo.

Un quarto mezzo è il radunarli tutti in una lecita e possibile comunione con altri suoi discepoli, affinché mediante la loro appartenenza alla Chiesa l’uno con l’altro essi possano essere edificati sotto i loro ministri, ordinati nel Testamento di Cristo per nutrirli, governarli e guidarli nell’obbedienza di tutti i comandamenti che Cristo ha comandato al suo popolo nel suo Testamento; con questo mezzo procede nella sua opera, e chiama efficacemente, santifica, e salva i suoi redenti, lasciando tutti gli altri senza scusa.

Tutti questi e altri mezzi e maniere con cui eseguire il suo decreto, sono stati concordati tra il Padre e Cristo Suo Figlio, come il Suo santo Spirito ci ha rivelato nella Scrittura. Tutto questo può essere sintetizzato in due punti: uno è l’accordo sulla dottrina, e le indicazioni date alla Sua Chiesa; l’altro è sulle azioni, operazioni, e risultati da compiere per rendere buona la sua parola.

Riguardo alla sua dottrina, Cristo dice, Gv. 12.49,50, Perciocchè io non ho parlato da me medesimo; ma il Padre che mi ha mandato è quello che mi ha ordinato ciò ch’io debbo dire e parlare. Ed io so che il suo comandamento è vita eterna; le cose adunque ch’io ragiono, così le ragiono come il Padre mi ha detto.

Riguardo alle azioni e alle operazioni, e all’esecuzione dei decreti, viene concordato anche tra il Padre e il Figlio, in Gv. 8.16, E benchè io giudicassi, il mio giudizio sarebbe verace, perciocchè io non son solo; anzi son io, e il Padre che mi ha mandato; e, verso 29, E colui che mi ha mandato è con me: il Padre non mi ha lasciato solo; poichè io del continuo fo le cose che gli piacciono; e, Gv. 6.38, Perciocchè io son disceso del cielo, non acciocchè io faccia la mia volontà (senza il consenso del Padre), ma la volontà di colui che mi ha mandato.

In una parola, il consenso e l’accordo del Padre e del Figlio Gesù Cristo nostro Signore, è tale, che il Figlio non fa nulla per il suo Spirito, se non quello che il Padre opera per mezzo dello stesso Spirito dal principio del mondo, Gv. 5.17, Il Padre mio opera infino ad ora, ed io ancora opero; e Col. 1.16, Poichè in Cristo sono state create tutte le cose, quelle che son ne’ cieli, e quelle che son sopra la terra; le cose visibili e le invisibili; e troni, e signorie, e principati, e podestà; tutte le cose sono state create per lui, e per cagione di lui. Egli è l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo efficiente, e il fine ultimo di tutte le cose, Apo. 1.8, perché per la gloria di Cristo, la creazione, il patto d’opere, e il patto di grazia furono fatti, ed ebbero, e avranno la loro realizzazione, tutto per la gloria di Dio in Cristo, per mezzo del quale tutte le cose sono state create e sussistono.

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