Il Patto d’Opere

From Diwygiad

THERAPEUTICA S A C R A;

Nella quale si dimostrano brevemente I metodi per curare i malanni della Coscienza, riguardanti la RIGENERAZIONE Scritto in principio in Latino DA D A V I D D I C K S O N, Professore di TEOLOGIA nel College di Edinburgo, E successivamente Tradotto da egli stesso.

Mat. 9.12 Coloro che stanno bene non hanno bisogno di medico, ma i malati.

EDINBURGO, Stampato da Evan Tyler, Tipografo di Sua Eccellentissima Maestà il Re, 1664.




Capitolo V. Del Patto d’Opere.


Abbiamo trattato del primo patto divino, in cui Dio, e Dio incarnato sono le parti; trattiamo ora del successivo patto divino, ovvero, del patto d’opere tra Dio e l’uomo, Adamo e la sua discendenza, stabilito nell’integrità dell’uomo. In questo patto, Dio è solo una parte del patto, e l’uomo creato con tutte le perfezioni naturali è l’altra parte. In questo patto viene promessa la continuazione dell’uomo in una vita felice, a condizione della perfetta obbedienza personale, che lui doveva rendere con la sua forza naturale conferitagli, come ci insegna l’Apostolo in Gal. 3.12, la Legge non proviene dalla fede, ma l'uomo che avrà fatte queste cose vivrà per esse. E a questa legge o patto d’opere, è aggiunta la minaccia della morte nel caso in cui l’uomo la trasgredisca; il senso di questo è spiegato dall’Apostolo in Gal. 3.10, Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge, per farle.


La differenza tra la legge e il Patto d’Opere.


LA parola Legge è a volte usata per la materia o sostanza della legge di natura, scritta nei cuori dei nostri progenitori dalla creazione; l’opera di questa legge deve trovarsi nei cuori della loro progenie fino ad oggi. E in questo senso la parola Legge è usata dall’Apostolo in Rom. 2.15, i quali (i Gentili) mostrano, che l'opera della legge è scritta ne' lor cuori per la testimonianza che rende loro la lor coscienza. A volte la parola è usata per il patto d’opere formale, come in Gal. 3.10, Poichè tutti coloro che son delle opere della legge, ovvero, sotto il patto d’opere, sono sotto maledizione; perciocchè egli è scritto: Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge, per farle.

La legge intesa come patto d’opere differisce dalla legge di natura, scritta dalla creazione nei cuori dei nostri progenitori; primo, perché la legge di natura, scritta nel cuore dell’uomo, sia in ordine di natura che di tempo, venne prima del patto stabilito per osservare quella legge; perché il patto per osservare quella legge non fu stabilito che dopo la creazione dell’uomo, e dopo che egli fu condotto nel giardino per curarlo e preservarlo, Gen. 2.16,17.

Secondo, Dio in virtù della legge scritta nel cuore dell’uomo, non obbligò Se stesso a perpetuare la vita felice dell’uomo: infatti, anche se l’uomo aveva osservato scrupolosamente quella legge, Dio era libero di disporre di lui come più Gli sembrava appropriato prima di entrare in un patto con lui. Ma non appena stabilito il patto, Egli obbligò Se stesso a preservarlo in una vita felice, finché egli avesse continuato nell’obbedienza alla Sua legge e ai Suoi comandamenti, secondo il senso del patto, fa’ questo e vivi.

Terzo, la morte era il salario e la ricompensa naturale del peccato, anche se non fosse stato stabilito alcun patto: infatti, il peccato contro Dio merita, per sua propria natura, la morte dell’anima e del corpo, secondo la legge della semplice giustizia, sia che il peccatore abbia acconsentito alla punizione o no. Ma l’uomo, entrando nel patto, diede effettivamente un consenso formale e volontario, che la morte l’avrebbe preso, se egli avesse peccato, come testimonia Eva nel suo dialogo con il serpente, mentre ripete la condizione posta per la violazione di quel particolare comandamento di Dio, e accettato dall’uomo, in Gen. 3.3.

Quarto, quando il patto d’opere è abolito, tanto che esso non può né giustificare, né condannare l’uomo che è andato a Cristo, ed è entrato in un altro, successivo, patto di grazia, rimane saldo per l’uomo l’obbligo naturale di essere governato dalla legge e di rendervi obbedienza; infatti, rimane salda la regola di condotta dell’uomo, ed è impossibile che un semplice uomo possa essere esentato dall’autorità di Dio sopra di lui, e dalla sottomissione per natura dovuta al suo Creatore, perché su questo principio, che l’uomo è una creatura razionale, che comprende la volontà di Dio riguardo al suo comportamento verso Dio, egli è sempre vincolato ad amare Dio con tutta la sua mente, il suo cuore, e la sua forza, e il suo prossimo come se stesso. Né può il castigo naturale del peccato essere rimosso, né la meritata morte essere evitata, se non per il suo perdono per i meriti di Cristo.

Il patto fu allora aggiunto alla legge nella profonda saggezza di Dio: infatti, questa maniera di trattare con l’uomo mediante un Patto, fu, per sua natura, uno strumento ben appropriato per la felicità dell’uomo, e per la gloria di Dio.


In che modo il Patto di Dio con l’uomo era uno strumento per la felicità dell’uomo.


IL Patto di Dio con l’uomo tendeva per sua propria natura al bene e alla felicità dell’uomo.

Primo, perché un singolare rispetto ed onore furono riposti nell’uomo, quando fu reso amico confederato di Dio: infatti, se è un onore per un uomo mediocre e povero essere unito ad un Re o Principe in un vincolo formale di reciproca amicizia, quanto maggiore è un onore per l’uomo, di essere unito in un vincolo di reciproco amore ed amicizia con Dio?

Secondo, prima che il Patto fosse stabilito, l’uomo non aveva alcuna promessa fattagli da Dio, ma non appena fu stabilito il Patto, il Signore liberamente obbligò se stesso a concedere, e all’uomo diede il diritto di chiedere, e di aspettarsi da Dio, per ottenere con una base di certezza, certe cose che, senza una promessa, egli non poteva chiedere, o almeno, non poteva certamente aspettarsi che gli fossero concesse.

Terzo, prima che fosse stabilito il Patto, nulla impediva al Signore, se così Gli fosse piaciuto, di comandare che l’uomo tornasse alla polvere dalla quale era venuto; ma dopo il Patto, piacque a Dio, per la sua stessa libera promessa, di obbligare se stesso a perpetuare la felicità dell’uomo in cui era stato creato, fintanto che questi avesse continuato nell’obbedienza.

Quarto, stabilendo il Patto, fu aperta una porta, ed un giusto ingresso ad un più alto grado di felicità di quello che possedeva dalla creazione: infatti, quando furono date ad Adamo una vita naturale ed una felicità terrena da godersi sulla terra, Dio, mediante il Patto, fece un accordo con lui a condizione della perfetta obbedienza, per dargli una vita ed una felicità soprannaturali, opposte alla morte del corpo e dello spirito, che gli fu minacciata se avesse trasgredito il comandamento.

Quinto, Adamo, mediante il Patto, aveva una sorta di aiuto per fare in modo che osservasse la Legge scritta nel suo cuore in modo più attento e scrupoloso, e un sostegno per consentirgli di restare più saldo: infatti, da una parte, gli fu reso noto e preavvisato il pericolo del peccato, affinché potesse essere attento a non offendere Dio; dall’altra parte, egli fu incoraggiato e reso in grado di servire Dio più gioiosamente, e di realizzare la debita obbedienza a Dio con maggiore diligenza, perché nel Patto, gli fu presentata e promessa la più grande ricompensa che poteva essere concepita, vale a dire, la vita eterna per la sua obbedienza, e gli fu minacciata la più grande punizione se avesse disobbedito; entrambe servivano ad indurlo ad essere costante nella sua obbedienza.


In che modo il patto di Dio con l’uomo serviva alla gloria di Dio.


Nel patto di Dio con l’uomo, la sua gloria brillò notevolmente e si manifestò all’uomo. Primo, la bontà e la generosità di Dio si manifestarono in esso: infatti, nel fare un Patto con l’uomo, il Signore si dimise e in un certo modo umiliò se stesso per trattare l’uomo in modo da istituire una mutua amicizia tra se stesso e l’uomo per sempre; e quando consideriamo questo, come dice il Salmista nel Salmo 8.4, Che cosa è l’uomo, che tu ne abbi memoria? E che cosa è il figliuolo dell’uomo, che tu ne prenda cura? Così possiamo dire, che cos’è l’uomo? o il Figlio dell’uomo, che tu debba entrare in un patto con lui?

Secondo, nell’entrare in un patto con l’uomo, Dio mostrò la sua meravigliosa moderazione: infatti, Dio è il sovrano Monarca e Imperatore assoluto sopra le sue creature, per farne ciò che Gli piace; nondimeno, nell’entrare in un patto con l’uomo, Egli moderò benignamente la sua supremazia, cercando, in un certo modo, di regnare con il consenso dell’uomo. E quando a motivo della Sua sovrana Autorità e assoluto Diritto e Potere, Egli avrebbe potuto imporre all’uomo comandamenti e condizioni del patto più difficili, pur completamente retti e giusti, Egli scelse di usare una tale moderazione, che non richiese nulla all’uomo eccetto quello che l’uomo doveva, e doveva ragionevolmente giudicare un fardello giusto e facile, e riconoscerlo tale nell’accettare la condizione del Patto.

Terzo, il Signore dichiarò la sua saggezza nell’entrare in un patto con l’uomo, perché quando Egli ebbe creato l’uomo come creatura razionale, egli scelse di persuaderlo ad un servizio libero e volontario, più consono alla sua natura razionale, e lo fece nel modo più benigno: ovvero, non solo dando all’uomo una Legge sommamente equa, ma anche ponendo davanti all’uomo, come contratto, la ricompensa più elevata di cui sarebbe stato capace, la vita eterna. Quarto, nel patto con l’uomo, Dio in modo sommamente saggio e santo ebbe rispetto per la gloria della propria sovranità e santità, perché dopo che ebbe fatto l’uomo per natura buono e santo (ancorché mutevole e soggetto al cambiamento, se all’uomo fosse piaciuto sperimentare un’altra via), Egli s’impegnò ad aiutarlo contro la mutevolezza del suo libero arbitrio, non solo ponendogli innanzi una ricompensa dell’obbedienza, ma anche minacciando una punizione se avesse trasgredito. Così da una parte e dall’altra lo limitò, per proteggerlo contro tutte le tentazioni al peccato in modo che non fosse spinto da alcun potere esterno a peccare, né trovasse per alcun giudizio, o suggerimento o vacillamento morale (a cui solo l’uomo fu esposto nella prova della sua obbedienza) motivi tanto forti da indurlo alla disobbedienza, perché la promessa di Dio e la minaccia avessero ragionevole forza per mantenerlo saldo alla sua dovuta e leale obbedienza. In questo modo Adamo fu preavvisato e pre-equipaggiato contro qualunque cosa potesse assalirlo, eccetto se stesso: infatti, quale castigo per la disobbedienza poteva essergli offerto che fosse grande quanto il favore di Dio e la vita eterna nell’amicizia di Dio che gli fu promessa se avesse continuato saldamente nell’obbedienza? E quale terrore poteva essere tanto grande da intimorirlo e spaventarlo del peccato, quanto la minaccia della morte fisica e spirituale, se avesse trasgredito?

Domanda. Ma la curiosità profana dell’uomo osa chiedere una ragione, perché Dio non fece l’uomo sia buono per natura che immutabilmente buono?

Risposta. È davvero una presuntuosa curiosità indagare le ragioni della santa volontà di Dio, che ha la sua sommamente sufficiente ragione in se stessa, e può soddisfare tutti quelli che sono suoi soggetti, che non preferiscano diabolicamente la loro saggezza e il loro giudizio al Suo. Ma noi ci accontenteremo di rispondere sobriamente alla domanda in questo modo: Essere originalmente, o per natura, buono, ed anche immutabilmente buono, si addice solo Dio stesso, come sua proprietà e prerogativa, che divenne una Sua Maestà di riservare a se stesso come la sorgente di ogni bontà, e di non comunicare questa gloria né all’Uomo né agli Angeli nella loro creazione, affinché non solo fosse provvista la debita distanza tra Dio e la naturale completezza delle creature, ma anche manifestata in modo evidente alla creatura. È vero che la natura umana di Cristo fu così santificata nel suo concepimento che non vi era alcuna possibilità che vi fosse il peccato; ma consideriamo, che la persona di Cristo che assunse la natura umana in un’unione personale con la sua Divinità, non è una creatura; e che assumere la natura umana in un’unione personale con la sua natura divina, è un privilegio proprio di Dio sopra di tutti, beato per sempre. E ciò che la natura umana di Cristo aveva di santo, non lo aveva da sé, ma dalla grazia della seconda persona della Divinità che l’assunse. E gli Angeli che rimasero saldi quando fu manifestata la mutevolezza della natura angelica nella caduta di molti di essi, rimasero saldi per la grazia della loro libera conferma nel loro stato.

Quinto, Dio nell’entrare in un patto con l’uomo, dimostrò la sua sommamente santa giustizia nell’esecuzione della punizione, che non era solamente il salario naturale e meritato castigo del peccato, ma anche stabilita per contratto e patto con il mutuo consenso delle parti, se l’uomo, così vincolato a Dio, avesse violato un comando così equo e facile, come quello che gli fu dato per metterlo alla prova, essendo preavvisato del suo pericolo.

Sesto, questa maniera di stabilire un patto con l’uomo, fu un mezzo santo e appropriato per manifestare la vanità e l’instabilità della creatura più perfetta, eccetto che nell’esercizio di tutte le sue abilità e abitudini, essa riconosceva Dio, e in ogni cosa più o meno, si giovava di Lui e dipendeva da Lui.

Infine, questo fu un mezzo santo per portare alla luce la grazia e la misericordia di Dio in Cristo, provvedendo un rimedio per l’uomo caduto prima che cadesse, e per svelare il decreto e il patto di Redenzione che a tempo debito sarebbe stato realizzato da Cristo, a gloria di Dio in Cristo, dal quale, e per il quale tutte le cose sono state create, Col. 1.16.

Domanda. Questo Patto d’opere non aveva nessun Mediatore, nessun Garante impegnato per Adamo e la sua discendenza?

Risposta. Non vi era alcun Mediatore in questo Patto: infatti, la parte da un lato era Dio, e dall’altro erano Adamo ed Eva nostri comuni genitori, che sulla base delle loro capacità naturali rappresentarono e compresero tutta la loro discendenza naturale; e secondo la condizione del Patto in nome loro e della loro discendenza, promisero obbedienza, e ricevettero la condizione della vita se avessero continuato, e la morte in caso di fallimento, Gen. 2.17, nel cui peccato tutti abbiamo peccato, Rom. 5.12.

Ora, la necessità di un Mediatore non comparve in questo Patto finché fu in vigore, affinché successivamente nel fare un altro Patto essa potesse apparire più velocemente. Primo, perché l’uomo, essendo creato santo secondo l’immagine di Dio, era amico di Dio finché non peccò; e di nuovo il suo servizio, finché rimase saldo nell’obbedienza, fu molto piacevole e gradito a Dio, perché egli serviva Dio liberamente e sinceramente secondo il comando e la legge scritta nel suo cuore.

Domanda. Dopo che questo Patto fu violato, non fu abolito completamente, visto che adesso non poteva più essere obbedito in modo perfetto, né poteva salvare noi peccatori?

Risposta. Sebbene questo Patto, violato da parte dell’uomo, divenne debole e completamente incapace di produrre Giustificazione per mezzo delle opere, o la vita eterna per noi, mediante la nostra rettitudine intrinseca; tuttavia, da parte di Dio, il vincolo di questo Patto rimane saldo e forte contro tutti gli uomini che per natura non sono riconciliati a Dio. Per questa ragione tutti quelli che non sono rinnovati e resi amici di Dio per mezzo di un altro Patto di fede nel Dio incarnato (il seme della donna, che ha distrutto l’opera del diavolo) giacciono obbligati sotto il vincolo di questo Patto d’opere, come testimonia Cristo in Gv. 3.18, Chi crede in me non sarà condannato, ma chi non crede già è condannato; ovvero, per via del Patto d’opere violato da essi, e non sono liberati dalla maledizione da Cristo il Figlio di Dio, finché non corrono a lui; e questo confessa l’Apostolo, parlando di sé e degli altri Giudei eletti prima della loro rigenerazione, in Efe. 2.3, Ed eravam di natura figliuoli d’ira, come ancora gli altri; perché chiunque non viene riconciliato a Dio da Cristo, contro di lui rimane in vigore la sentenza della Legge, e la maledizione per la violazione del Patto. Infatti, peccare contro il Patto, non scioglie l’uomo dal Patto, né dall’obbligo di obbedirvi, né dalla punizione per la sua trasgressione.

Obiezione. Ma visto che l’uomo è completamente incapace di obbedire alla Legge, o di osservare il Patto, questa completa incapacità non lo scusa e non dissolve quel vincolo?

Risposta. Assolutamente no: Perché quella incapacità è il frutto del nostro peccato, ed è tratta da noi stessi; né Dio perde il suo diritto di esigere il debito, perché la Bancarotta non riesce a pagare quello che gli deve. Infatti, anche tra gli uomini, quelli che hanno sperperato il loro patrimonio non vengono assolti dal loro debito perché non sono capaci di pagarlo; anzi, anche i figli di quelli che hanno sperperato i loro beni rimangono debitori perché il debito non è pagato né perdonato.

Quindi, pur essendo violato il Patto d’opere, l’obbligo rimase, per fare in modo che noi rendessimo obbedienza maggiormente nel tempo a venire, e a causa della maledizione pronunciata per la trasgressione del Patto nell’epoca passata, rimane l’obbligo di sottostare alla punizione per i peccati precedenti; e così sia l’obbligo di sottostare alla punizione, e l’obbligo di rendere obbedienza, vanno insieme, finché un uomo non è assolto dal Patto d’Opere entrando in un nuovo Patto, per mezzo del quale il debito viene pagato e il peccatore assolto.

Chiunque quindi ritiene di poter essere giustificato dai peccati precedenti per la propria obbedienza nel tempo a venire, sia operando che soffrendo, non fa altro che ingannare se stesso, sognando di poter fare l’impossibile. Infatti, la punizione da soffrire per il peccato da parte del peccatore, è l’eterna maledizione dell’anima e del corpo, visto che una semplice creatura non potrà mai rendere soddisfazione per la sua ribellione, per quanto possiamo supporre lunga la durata della sua sofferenza. E per l’obbedienza mediante l’assolvimento perfetto delle opere che la Legge esige, è totalmente impossibile, perché noi siamo carnali, venduti al peccato, e non possiamo soddisfare la Legge; e poiché noi non possiamo soddisfare la Legge, la Legge diviene per noi debole e incapace di giustificarci e salvarci, Rom. 8.3.


In che modo il Patto d’Opere può essere chiamato il Patto di Natura.


Sebbene la Legge scritta per natura nel cuore dell’uomo differisca dal Patto riguardo all’esecuzione della Legge, com’è stato mostrato in precedenza, tuttavia il Patto d’Opere stabilito con Adamo prima che cadesse, vincolandolo ad osservare quella legge, può essere chiamato il Patto di Natura.

Primo, perché il Patto d’Opere poggia sulla Legge di natura, e non esige nulla dall’uomo all’infuori di ciò che Dio potrebbe richiedere secondo la Legge di natura.

Secondo, perché quando il Patto d’Opere fu stabilito con Adamo, esso fu stabilito con tutta la sua discendenza, che sarebbe sorta da lui per generazione naturale; e così l’obbligo passò a tutta la sua discendenza naturale, per la Legge di natura, che fa in modo che il figlio generato porti l’immagine di chi lo ha generato.

Terzo, che il Patto d’Opere possa essere giustamente chiamato il Patto di natura, appare in virtù della coscienza che viene svegliata dalla sua sonnolenta sicurezza: infatti, esso sfida il peccato secondo quel Patto, e pronuncia la sentenza dell’ira di Dio contro il peccatore, perché la coscienza riconosce il Giudizio di Dio che quanti commettono tali cose, sono degni di morte, Rom. 1.32.

Quarto, perché la coscienza induce naturalmente un uomo a cercare la giustificazione con le proprie opere, se in qualche modo può trovarne il pretesto, come possiamo vedere nel Fariseo, il quale nella sua preghiera a Dio giudica se stesso un uomo santo, perché egli non è fra gli uomini peggiori, e aveva molte buone opere rispetto agli altri da elencare e porre innanzi a Dio, Lu. 18.11.

Quinto, l’inclinazione del cuore dell’uomo ad aspettarsi una ricompensa per ogni buona opera che compie, sia essa in qualche misura reale, o solo apparente, lo testimonia, Gc. 17.13, E Mica disse: Ora conosco che il Signore mi farà del bene, poichè io ho un Levita per sacerdote. E quanto miseramente la coscienza può essere illusa in questo caso, quando gli uomini inseguono ciecamente le loro ricompense, è mostrato in Lea: infatti, Gen, 30.18, disse: Iddio mi ha dato il mio premio, di ciò che io diedi la mia serva al mio marito.

Sesto, questo punto è mostrato chiaramente anche dalla naturale ignoranza della rettitudine per fede, e dall’artificiosità di essere giustificati per le opere, che l’Apostolo trova come l’errore degli Israeliti, Rom. 9.31,32, Essi cercavano la rettitudine non per fede, ma come se fosse per opere; E in Rom. 10.3, E ignorando la giustizia di Dio, e cercando di stabilir la lor propria giustizia (vale a dire, la rettitudine per le opere, secondo i termini del Patto d’opere), non si sono sottoposti alla giustizia di Dio.

Settimo, lo stesso percorso seguito dai Papisti e da altri erronei insegnanti testimonia della naturale inclinazione degli uomini a ricercare la rettitudine per opere secondo i termini del Patto d’Opere, e non per la fede in Cristo Gesù, affinché la rettitudine possa venire per sola grazia; E il cuore degli uomini è talmente legato a questo errore, che essi trasformano la giustificazione per fede in una giustificazione per una sola opera invece di tutte, come se l’opera della fede fosse la rettitudine dell’uomo, e non Cristo stesso compreso per fede. Non considerando, poi, che per l’uomo che ha rinunciato ad ogni fiducia nelle proprie opere, ed è corso a Cristo per fede, Cristo viene reso da Dio conoscenza e rettitudine per l’uomo, 1 Cor. 1.30.

Infine, questa inclinazione naturale, anche nei rigenerati, a ricercare la rettitudine per opere, prova che il Patto d’Opere è naturalmente innestato nel cuore di tutti gli uomini, come appare nei Galati, che essendo stati istruiti nella dottrina della giustificazione per fede in Cristo senza le opere della Legge, per una tentazione loro offerta, guardarono facilmente indietro, con rimpianto, alla maniera di Giustificazione per opere, per cui l’Apostolo li rimprovera in Gal. 4.21, DITEMI, voi che volete essere sotto la legge, o il Patto d’Opere; e al verso 9, Ed ora, avendo conosciuto Iddio; anzi più tosto essendo stati conosciuti da Dio, come vi rivolgete di nuovo a’ deboli e poveri elementi, a’ quali, tornando addietro, volete di nuovo servire?

Obiezione. Ma i Galati, come sembra, non rigettarono la Giustificazione per fede, ma aggiunsero ad essa la Giustificazione per le opere della Legge, pensando che la via più sicura fosse di unire insieme le due.

Risposta. L’Apostolo mostra la contraddizione di queste due vie di Giustificazione in Rom. 11.6. Infatti, la Giustificazione per grazia non è più per opere, altrimenti la grazia non è più grazia, e se la Giustificazione è per opere, non è più per grazia, perché altrimenti le opere non sono più opere. E quindi, l’Apostolo spiega che unire questi due metodi di Giustificazione non significa altro che ricercare la Giustificazione per mezzo del Patto d’Opere, che ha separato un uomo da ogni beneficio di Cristo, Gal. 5.2, e chiunque cerca di essere giustificato per la Legge, o il Patto d’Opere, è scaduto dalla grazia, verso 4.

Per chiarire ulteriormente l’argomento, possiamo distinguere due generi di Patto d’Opere: Uno è quello vero, genuino, istituito da Dio, che Dio fece con tutti gli uomini in Adamo, per la perfetta obbedienza della Legge di Dio, sulle capacità naturali dell’uomo. Vi è un altro Patto d’Opere, contraffatto, bastardo, di concezione umana, che un peccatore che giace nei suoi peccati (incapace di fare ciò che la Legge comanda, o di patire ciò che la Legge contempla per la sua violazione) concepisce nella sua testa, su altre condizioni rispetto a quelle fissate da Dio, e desidera che Dio accetti un tale patto inventato invece della perfetta obbedienza della Legge, in modo che egli possa essere giustificato. Questo era il patto che gli Israeliti carnali avevano fatto con Dio nel deserto, e che la loro discendenza seguì, trasformando il Patto di Grazia, con cui Dio li stava chiamando, in un patto d’opere di loro invenzione. Infatti, la grazia che fu loro offerta in Cristo dietro il velo dei tipi, delle figure, e delle cerimonie Levitiche, essi la trasformarono in un servizio esteriore di svolgimento di aride e morte cerimonie, e in un ministero della lettera e della morte; perché essi non compresero che Cristo era il fine della Legge per la rettitudine di chiunque crede in lui, ma pensavano che sia la legge morale che quella cerimoniale fossero state date loro da Dio con l’intento che essi compissero le opere esterne della Legge morale per quanto loro possibile; e quando trasgredivano la Legge morale, essi si rivolgessero alla Legge cerimoniale, per fare ammenda per i loro falli soddisfacendo i loro peccati mediante il sacrificio esteriore di alcuni animali puri offerti a Dio, o lavando il proprio corpo, e le loro vesti. Tale è anche il patto che oggi molti fanno con Dio, accorciando, insieme ai vecchi Farisei, il senso dei precetti della Legge, misurandola in base alle loro capacità di osservarla, in modo da poter ampliare la loro rettitudine inerente e conformarsi alla loro regola di rettitudine così ridotta; e fanno questo negando di essere colpevoli del peccato originale dopo il battesimo, e sottovalutando e sminuendo molti falli, come se fossero leggeri e veniali, come loro li chiamano, e inventandosi soddisfazioni per l'espiazione dei peccati dei vivi, mediante penitenze e pellegrinaggi, e dei defunti mediante le loro sofferenze nel loro immaginario purgatorio, in modo da essere giustificati per le loro opere e sofferenze. Tale è anche il patto di quelli che cercano la giustificazione mediante i meriti dei Santi deceduti, sperando di avere così l’assoluzione dal peccato, e di ottenere la vita eterna. Tutti questi generi di patti inventati dall’uomo, noi li chiamiamo patti d’opere bastardi, perché Dio non ammetterà alcun altro patto d’opere se non quello che richiede la perfetta obbedienza personale. E quindi quanti cercano di essere giustificati per le opere, restano nell’obbligo della perfetta obbedienza personale sotto la pena di morte, e saranno trovati non solo completamente incapaci di compiere alcuna buona opera, ma anche senza Cristo, e scaduti dalla grazia, come ci insegna l’Apostolo in Gal. 5.3,4.

Obiezione. Visto che Dio aborrisce questi patti d’opere bastardi, e sa bene che gli uomini sono così lontani dal rendere la debita obbedienza alla Legge, che, prima della riconciliazione mediante la fede in Cristo, sono completamente incapaci di compiere anche una sola opera accettabile, come dice il Salmista nel Salmo 14.1-3, perché dunque il Signore esige dai peccatori un’obbedienza perfetta alla Legge? Perché incalza così insistentemente gli schiavi del peccato ad assolvere i doveri richiesti nel vero Patto d’Opere?

Risposta. Il Signore giustamente aborrisce e respinge questi patti bastardi, perché deviano e svuotano sia il Patto d’Opere che il Patto di Grazia che è per fede in Cristo; ed effettivamente Egli preme affinché tutti gli uomini rendano una perfetta obbedienza a tutti i comandamenti a cui essi sono naturalmente obbligati, con il fine che gli uomini presuntuosi, inorgogliti dalle loro capacità naturali, possano scoprire per esperienza di essere incapaci di osservare la condizione del Patto d’Opere, e possano riconoscerlo, e così disperare della rettitudine delle loro opere ed essere costretti a rivolgersi a Cristo, e al Patto di Grazia per mezzo di lui, per essere liberati da quel patto; ed essendo giustificati per fede in Cristo, possano essere resi capaci di iniziare una nuova obbedienza alla Legge nella forza di Cristo. Infatti, Cristo è il fine della Legge per la rettitudine di tutti quelli che credono, Rom. 10.4. E la Legge intervenne, perché gli uomini attraverso la Legge potessero vedere e riconoscere che l’offesa abbondò, e quindi possano comprendere che le ricchezze della grazia di Cristo sovrabbondano, Rom. 5.20,21 e 1 Tim. 1:5: Il fine del comandamento è carità, di cuor puro, e di buona coscienza, e di fede non finta.

Questo era il fine della promulgazione della Legge sul monte Sinai, affinché un popolo dal collo duro, che confidava nelle proprie capacità, potesse essere reso sensibile alle proprie imperfezioni mediante la ripetizione della Legge. E a questo Dio aggiunse pure il giogo esteriore della Legge cerimoniale, che né loro né la loro discendenza furono in grado di sostenere, Atti 15.10, in modo che il popolo, comprendendo le proprie molteplici contaminazioni e colpe, in cui essi erano quotidianamente coinvolti disobbedendo alla Legge di Dio, e sentendo il peso che giaceva su di loro, e il loro stato di dannazione sotto di esso, potesse rivolgersi a Cristo l’Agnello di Dio che porta via i peccati del mondo, come egli fu rappresentato e offerto alla loro vista nei sacrifici e nelle offerte bruciate.

Su questo scopo di pressare la Legge sugli uomini orgogliosi, noi abbiamo un esempio in Mat. 19.16-22. Nel dialogo di Cristo con il giovane orgoglioso delle sue ricchezze, il quale era enormemente tronfio nell’opinione della sua intrinseca rettitudine, e delle sue capacità, come se avesse già da tempo soddisfatto l’intera Legge e fosse capace e pronto a compiere qualsiasi buona opera che gli fosse stata prescritta per ottenere la vita eterna; la cui fiera presunzione Cristo avrebbe potuto umiliare e abbassare, non desiderava altro che di poter osservare i comandamenti; E quando il giovane uomo negò di aver violato la Legge, dimostrò di essere colpevole di grossolana e vile idolatria, da questo, che egli aveva riposto maggiore stima nelle sue ricchezze che nella remissione dei peccati, e le amava più del cielo e dell’amicizia con Dio nella vita eterna.

In tutti questo consideriamo che, sebbene la fiducia degli uomini nelle proprie opere dispiaccia a Dio, tuttavia le buone opere non gli dispiacciono, ma gli sono tanto gradite, che non vi è alcuna motivazione morale che possa spronare il suo popolo nell’impegno a ricercare le buone opere, di cui il Signore non faccia uso: da una parte, ponendo innanzi a loro la ricompensa per l’obbedienza; dall’altra, ponendo davanti ai loro occhi la punizione se non obbediscono. Lo stesso rispetto dei doveri esterni e l’obbedienza, quali possono essere assolti dall’uomo irrigenerato (sebbene Dio in relazione alla giustificazione li giudichi contaminati e vili), tuttavia a volte Egli premia le loro opere esteriori concedendo loro benefici esteriori e temporanei per il loro incoraggiamento: infatti, il Signore accettò anche l’umiliazione temporanea di Achab, tanto che ne trasse occasione per ritardare la sua vendetta su di lui, 1 Re 21.27-29. Similmente il Signore usa ricompensare la giustizia civile dei Pagani con una ricompensa temporanea, e premiare la diligenza esteriore di ogni uomo in ogni occupazione lecita, con un qualche ragionevole premio esteriore.

Gli stessi Farisei, che per innalzare la propria reputazione ed una maggiore considerazione di santità, si sottomettevano ad un gran numero di prove, nelle preghiere nelle strade e nei mercati, e nelle altre pratiche religiose, non volevano un premio ragionevole: in verità (dice Cristo) essi hanno già il loro premio, Mat. 6.2

E questo corso il Signore mantiene, per poter tollerare ed incoraggiare la società civile degli uomini fra loro stessi, e affinché il Suo popolo guardando a questa generosità di Dio, possa essere maggiormente spronato a produrre i frutti della fede, nella speranza di una ricompensa di grazia promessa, migliore e misericordiosa nella vita a venire, oltre a ciò che essi hanno in questa vita.

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