Pensieri

From Theos Koima

Revision as of 20:59, 15 December 2006 by Lei Magnus (Talk | contribs)

Un pensiero è un processo mentale che permette ad un individuo di creare, collegare, modificare idee. Per info più approfondite vedi: Wikipedia:pensiero.



Questa è la sezione dedicata all'introspezione del personaggio giocante Ray Lun nel procedere della trama di Theos Koima.



Contents

Premessa

Sconnessi, a volte ripetitivi e patetici, in parte caotici e spesso tra loro in contraddizione. Questi sono i pensieri di Ray, riportati qui con lo scopo di dare una idea di fondo dello stato d'animo del personaggio, el suo modo di reagire gli eventi, nell'affrontare le proprie paure, emozioni... lo stile adottato è volutamente caotico e talvolta intricato; giacchè, quando pensiamo, non sempre teniamo conto della grammatica.


Il dialogo tra il giudice Mesdoram e Ray

“Quando gli altri furono usciti dall’abitazione di Mesdoram (compreso Larhal, che si era intrattenuto col Giudice per parlargli in privato), rimasi, senza farlo notare, ad attendere sull’uscio ed a fissarlo mentre rientrava. Il dialogo che, tutti noi, avevamo avuto in precedenza, sebbene mi avesse illuminato su taluni fatti, non mi aveva compiutamente soddisfatto, anche perché, e ciò è probabilmente dovuto alla mia timidezza, non ero riuscito a domandargli ciò che più mi stava a cuore. Mesdoram, voltatosi, ricambiò immediatamente il mio sguardo. Dopo una manciata di secondi, mi chiese se qualcosa non andava. Li per li, non riuscì a trattenere un non so che di sarcastico, misto ad un che di reverenza. Gli risposi che, in fondo, <<il dado era stato tratto>>, e a noi toccava solo l’ingrato compito di obbedire al destino da qualcuno prefissato. Egli mi rispose che, tuttavia, eravamo liberi di decidere il da farsi. Ma fino a che punto ? In fondo, gli dissi, era a causa di uno di loro che io ero stato costretto a quell’avventura, non di certo per voler mio; cosa può fare, a dunque, un povero figlio di pescatore di fronte a ciò ? La guerra, la gemma arcobaleno, la materia oscura, erano fatti che non mi riguardavano. A me importava, e forse peccai di egoismo, di poter vivere in pace, tranquillamente, come uno della mia gente. Ma invece, era stato proprio un giudice a coinvolgermi. Mesdoram, per tutto il tempo di quello che era diventato quasi un mio sfogo personale (ed infatti, senza che me ne accorgessi, o per lo meno ci dessi molto peso, prima le mani, poi le braccia, ed in fine tutto il corpo, avevano cominciato a tremare, sempre più nervosamente), rimase in silenzio. Quando ebbi finito, mi rispose, e le sue parole mi lasciarono sbalordito. Mi chiamò figlio della luna, mi disse che il mio legame con Larhal, ma del resto con tutto il gruppo, era più profondo ed oscuro di quanto non si capisse. Mi disse che io ero stato vittima probabilmente di quella setta di cui aveva parlato poc’anzi al gruppo, di coloro che usavano la materia oscura. Il peso della verità sembrò schiacciarmi, tanto ché caddi a terra, in ginocchio. Gli chiesi cossero veramente, perché il mio aspetto talvolta cambiava. Egli mi disse che io non ero umano, non del tutto, almeno. Basta, non riuscivo più a trattenermi, il peso era troppo forte. Gli strinsi il braccio, come a cercare una mano d’aiuto, e probabilmente gli feci anche male... Lui, parve capirmi, trattene il braccio saldo, impassibile. Mi guardò, come a scrutare l’anima mia. Devo dire che, dinanzi il suo sguardo, mi sentivo praticamente nudo; egli sapeva tutto. Questo mi diede fiducia, ma forse non capivo, perché rimasi un po’ deluso quando mi disse che avrei dovuto capire da me la strada. Ma, forse, aveva ragione. Se egli mi avesse detto subito tutto, il senso si sarebbe perso, ed, allora??? Mi disse però che io avrei dovuto cercare un equilibrio, l’equilibrio del mio essere. Sebbene non solo umano ne tutto bestia fossi, non dovevo reprimere una di queste due essenze, come avevano fatto i miei genitori, che volevano di me solo un uomo, o come aveva fatto Rendor, che voleva di me solo la bestia. La chiave era l’equilibrio. Già, l’equilibrio, come un atleta che cammina su di una fune, io dovevo procedere nel mio cammino, senza cadere nel baratro. Capì allora, o così mi parve, tutto il senso delle sue parole. Non importa ciò che si fa, ne il modo: quelli sono accidentali, determinati dal caso, o comunque da qualcuno superiore di noi. Ciò che importa davvero, è che noi, da questi eventi, ne traiamo il buono per andare avanti, cioè, e non vorrei sembrare troppo egoista, l’utile per una vita felice.
Lasciai la presa del suo braccio, mi inchinai a lui, ormai del tutto calmo, e lo ringraziai di cuore (<<Grazie di tutto, Eccellenza…>>). Dopo di ché, feci per andarmene e, arrivato al cancello, mi voltati per guardarlo un ultima volta. In fondo, pensai, magari era l’ultima volta che vedevo un grand’uomo di tal fatta… Rientrò in casa, come una qualsiasi persona. E’ sorprendente come questi.. Giudici, nonostante il peso di certe situazioni, reggano benissimo. Mi voltai, cercando di scorgere il mio gruppo; erano spariti, e non si erano accorti minimamente di me. Come al solito. Basta, mi dissi, c’è un tempo per pensare ed un tempo… per non farlo. Presi un gran respiro e cominciai a correre, con l’aria di chi non ha nulla per la testa, ed in vero, era proprio questo il mio obbiettivo. Correndo, staccai un filo d’erba e me lo misi in bocca, quasi volessi assumere un aria beffarda rispetto a coloro che non usavano altro che il loro cervello. Corsi a perdifiato, ed in breve raggiunsi Larhal. Lo guardai, e mi chiesi quale fosse davvero il mio legame con lui. Ma poi, rimembrando il mio intento, ricominciai a correre, verso gli altri…”


Di nuovo in piedi (sessione di gioco del 12-13/08-2006)

“In piedi… ma che ci faccio in piedi… di nuovo… non ricordo… ah si…- storco il viso - cosa ho fatto, cosa ho fatto di nuovo… lo sapevo che sarebbe andata a finire così… però, però, stavolta era diverso… anche se un massacro è sempre un massacro... Non ho il tempo di riflettere ulteriormente, giacchè Renè mi trascina violentemente altrove, e, sarà la mia debolezza, sarà che non mi aspettavo tanta forza nel drow, ma riesce a trascinarmi.. quasi io fossi semplicemente in sua balia…i miei pensieri, mentre sono portato chissà dove, mi portano alla mente la figura di Rendor… perché? Non lo so… e non ho anche il tempo di pensarci… arrivati in quella che, secondo il drow è la nostra destinazione, Renè mi guarda… non uno sguardo duro, ma deciso. Con un tocco di ironia, amara, che il drow sembra ignorare, gli chiedo se devo ringraziarlo. Mi dice di darmi una possibilità, se voglio sopravvivere… ma io voglio sopravvivere?? Non gli confesso apertamente questo ultimo mio pensiero, la sua mente pratica non potrebbe accettarlo…però il quesito mi offusca la mente. Uno scatto, lo afferro per la collottola, il suo sguardo dritto a fissare il mio, ed io il suo… che impulsivo sono stato! Renè invece, più freddo, più cinico, forse, non pare scomporsi. Un’offerta, uno scambio, <<un qualcosa che mi devi>>, lui ha bisogno di me… com’è possibile… no, lui ha bisogno della bestia che è in me… non di me… lui mi sfrutterà, come ha fatto Rendor. Il mio passato mi torna prepotentemente a galla, e finisco per raccontarglielo, in parte. Mi sento solo, incredibilmente solo… mamma… Irya… che devo fare… al pronunciare questi nomi, un senso di tranquillità mi pervade…e, dal mio corpo inizia a sprigionarsi una luce… mi sento bene con essa… è come se… qualcuno mi fosse vicino e mi stesse massaggiando... dolcemente… come può, una bestia, emanare tanta tranquillità… non ho il tempo di pensarci… il tempo fugge sempre… e non è dalla mia parte, a quanto pare… di nuovo davanti ad un bivio, come dopo la discussione con Mesdoram, di nuovo devo scegliere… Renè dice che è per me stesso… e forse, dopotutto, ha ragione… che devo fare, che devo fare, che diavolo devo fare!!! Perché nessuno sa darmi una risposta… La verità è che devo trovarla io la risposta, e questo il drow me lo ha fatto capire… ma sono così debole… gli chiedo tempo, per riflettere ed egli pare acconsentire… mi rivolge una altra occhiata, mentre io cerco un luogo in cui sedermi, mi sento ora spossato, non nel corpo, le cui ferite in parte sono rimarginate.. ma nello spirito… Renè si volge altrove, lasciandomi solo… dovrei pensare, ma non voglio farlo… mio padre diceva sempre che una dormita porta sempre consiglio… cerco di dormire… in effetti sono stanco. Dopo qualche tempo, vedo entrare nel mio vagone i miei compagni di viaggio, i miei carnefici, le mie vittime… solo ora mi accorgo di come il drow sia agghindato, ma non mi importa più di tanto… nuovamente la domanda… non guardo nessuno, temo il loro sguardo inquisitorio… cerco di evadere, gli faccio notare che un qualsiasi risposta non vale, e che sa benissimo quale sia la mia risposta… ancora una volta sono fuggito… io non ho la risposta, ma egli sembra aver capito qualcosa… per questo lo dovrei ringraziare, ma penso che, se sapesse, mi darebbe del vigliacco… probabilmente, ora, egli è l’unico che di cui possa fidarmi, anche se non so per quanto… questo accresce il mio senso di solitudine… Arriviamo in un vagone per le merci, io cerco un angolino separato, non voglio addosso gli sguardi inquisitori degli altri. Si discute, della guerra, di Folgandi e di Dalmatia (ed io, come avevo precedentemente fatto notare a Renè, torno a chiedermi che cosa, potessi far io, insignificante rispetto alla grandezza di tali eventi), di massacri, e di assalti. A quanto pare, una volta a destinazione, ci sarà un massacro, uno scontro, una battaglia, non fra mostri e uomini, non fra pochi, ma fra tanti, un fratricidio… ma in fondo questa è la guerra… non voglio ascoltare, mi tappo le orecchie, cerco di dormire più per fuggire da quelle parole che per altro…ma una parte di me, vorrebbe sapere… dannata curiosità umana, solo causa di disgrazie… Ogni tanto, la discussione torna su di me, ed io immagino gli sguardi nella mia direzione… che ironia, il pistolero sembra l’unico a difendermi, ed io che non volevo assolutamente fidarmi di lui proprio per la sua freddezza… perché la odiavo, la ammiravo, la invidiavo… i due maghi soprattutto, sembrano temere qualche mia reazione… non che abbiano torto… vorrei poter gridare che quella bestia non sono io, che io sono buono e calmo, che non farei male a nessuno… ma così non è, ed è inutile continuare questa farsa... Discutono, per quanto tempo, non saprei. A quanto pare, ora i soldati di Dalmatia sono <<con noi>>… mi ritorna l’immagine della divisa di Renè , e mi chiedo come abbia fatto… quel drow ne sa una più del diavolo. Comunque una cosa la ho capita: al nostro arrivo, dato che ci sarà uno scontro tra schiere, noi dovremo approfittare della mischia per andar via… anche a costo di uccidere qualcuno dei <<nostri>>, anche se in fondo, sono dei <<nostri>> solo per convenienze e non si sa fino a quando… ironico, no? Vorrei dire qualcosa, protestare per quell’idea… ma la guerra, la guerra non pone spazio per le remore… solamente, <<mors tua est vita mea>>”


L'attesa snervante sul treno (sessione di gioco del 28-29/08-2006)

“Sento che sto per esplodere… devo contenermi, almeno per ora. Attraverso alcuni vagoni, la mente annebbiata, in parte spossata. Non posso, non devo perdere il controllo… almeno, non adesso. Cerco di distrarmi, cerco di allontanare brutti pensieri dalla mia mente; nascondo l'agitazione con una maschera d'allegria. Ho l'impressione di stare risultando ridicolo. Lo so che non è proprio il momento adatto, anzi… però cerco di sorridere, di trovare il lato buono della situazione… altrimenti scoppio. Mio padre diceva sempre che, se la mente è sempre rivolta verso qualcosa, almeno, bisogna distrarre il corpo; opponi al pensiero l’azione. Più facile a dirsi che a farsi. L'impressione si fa certezza. E’ che, dopo l’assalto di quella… <<cosa>>, è calata una atmosfera abbastanza cupa. O forse, semplicemente, sono io che la noto solo ora… intento come ero, prima, a trovar scampo ad una parte di me, non mi ero neanche accorto (ne interessato, d’altronde) di cosa stesse succedendo realmente accanto a me. Qui tutti hanno l’aria di condannati a morte, non c’è posto per un sorriso. Che sia davvero così… che sia solo la mia mente a non riuscire ad accettare la cosa? Non capisco, o meglio, non conosco, non conosco la guerra. Diamine, qualcuno vuole spiegarmi!!!! Renè parla, parla di strategie… lo scontro si fa vicino, non ho più tempo per rifiutare la realtà, non posso più fuggire. Saremo in prima linea… e sarà il massacro! Il gruppo è diviso, c’è chi crede che non abbiamo altra scelta, chi no… non so che dire… chiedo, prima al drow poi al ronso, se abbiano mai avuto esperienze di guerra. Il pistolero è vago, distratto. Chissà quali (atroci) segreti avvolgono la sua mente… mi rendo conto che non ha nessuno con cui parlare, confidarsi… i drow sono gente tanto strana e imperscrutabile quanto interessante. Non credo riuscirò a trarre molto da lui. Invece, Tetsuya, è molto disponibile a parlare con me; mentalmente lo ringrazio. In un certo senso, lo sento vicino. Mi dice che, neanche lui ha mai partecipato ad una vera guerra, ma solo a qualche battaglia. Era tanto tempo che non accadeva, ma con lui mi sento a mio agio, a discutere. Gli parlo delle mie remore, del mio attaccamento alla vita, dell’inutile massacro a cui si va incontro; lui si dimostra volenteroso ad ascoltarmi. Parliamo del destino, e della sua ineluttabilità: anche se discutendo, io mi schiero dalla parte opposta, dentro di me, non posso che concordare con lui: siamo solo attori di un copione già scritto. Non mi piace, detesto ciò, ma forse, è davvero così. Gli esprimo il mio timore se dovessi perdere nuovamente il controllo. Da quel che dice mi pare, in un certo senso, rassegnato. In effetti, ad un certo punto, mi accorgo che il dialogo non è altro che un susseguirsi di domande soprattutto dalla mia parte. La finta sicurezza ed il sorriso ora lasciano posto alla più profonda incertezza. Più il ronso mi pare deciso, saldo, più io mi vedo vacillare. Gli chiedo di lui, della sua famiglia, se ha qualcuno che lo aspetta: si, lui ha una famiglia… e io? E io? Io non ho niente, più nulla… e allora perché, una parte di me, è così attaccata alla vita… Date le premesse, in fondo, non dovrei aver così paura della morte, cosa dovrebbe importarmi?. Eppure no, perché, perché non riesco ad accettare l’idea di dover uccidere dei miei simili, l’idea che qualcuno dovrà morire, necessariamente? A questa domanda, non ho risposta, ed in breve, capisco che neanche il ronso ne ha. Beh, se dovessi ragionare meccanicamente, direi che abbiamo parlato inutilmente, non ho ottenuto ciò che cercavo; ma dentro di me so che non è così. Sono contento di aver parlato con lui, soprattutto per il fatto che non mi ha rinfacciato per ciò che ho fatto in passato. Posso fidarmi di lui; parlargli, mi ha fatto capire che, in uno scontro, non dovrò aver timore di voltargli le spalle. Spero di avergli dato la stessa sensazione, anche se il mio è un caso particolare. Però, ascoltandolo, una cosa la ho capita: al di là delle differenze di razza, uomini e ronso, non sono poi così tanto differenti, e forse, la stessa cosa vale per i drow… poche ore, ci separano da… dall’evento, ma ora, ho un amico, e forse non solo, in più.


Adrenalina e paura (sessione di gioco del 30-31/08-2006)

“Ho paura, non ce la faccio…il mio cuore batte, pazzo, incontrollato… forse uscirà dal mio petto… Ci siamo, dopo ore snervanti, eccoci, davanti al bivio di vivere o morire… ed io? ed io che farò? Mi sento paralizzato, i miei comp0agni mi incitano, mi vogliono al centro della battaglia! Forse hanno ragione, ma non capiscono, non capiscono che io ho paura, io voglio vivere! <<E’ normale, capita a tutti…>>. Parole semplici, forse scontate… eppure, quelle parole, dette dalla persona dalla quale meno me lo aspettavo, dal pistolero, anzi in questa occasione spadaccino… Ripenso, in un istante, alle ore snervanti d’attesa, alla pazienza del drow, che, con molta diplomazia è riuscito più volte a placami, rischiando. Certe volte… è che… non capisco... Non c’è tempo, non c’è tempo… segui ilo tuo istinto… dentro di me, questa voce si fa spazio, fino a prevalere. Scendo dal treno, mi giro una ultima volta verso i miei compagni, verso il ronso, il drow, il principe… basta… addio. Corro verso la mischia, chiudo gli occhi, e lascio che accada. In breve, un massiccio urlo, che passa a poco a poco dall’umano al bestiale, esce dalla mia bocca, o meglio, da quelle che stanno per diventare le mie fauci… mi dispiace… poi, la bestia.

Un istante di coscienza, un ricordo: sangue e morte. E il drow.

Mi rialzo, senza alcuna coscienza di quanto tempo sia passato… il principe, un secondo prima vicino a me, si allontana… mi ha aiutato…


Tra dubbi e incertezze (sessione di gioco 03-04/09-2006)

“Mi alzo, mi alzo in piedi. Vicino a me, il principe Kleotikitas aiuta il ronso. A pochi metri da noi, un uomo robusto, dall’aspetto decisamente carismatico.. Ha una imponente armatura… ma non credo sia qui per ucciderci… ai suoi piedi, il cadavere di uno dei “nostri”, lo ha falciato in due. Ci dice di correre, di raggiungere un certo posto… sono un po’ stordito, non capisco molto, quindi decido semplicemente di seguire il principe. Renè è scomparso. Mi allaccio bene gli stivali che ho appena trovato da una altra delle nostre vittime. Sono comodi. Non pensavo avrei potuto fare certi apprezzamenti durante una… battaglia. Gli altri stanno andando. Correndo come non mai, li raggiungo. Muovendoci velocemente per la strada principale, presto siamo fuori la stazione, o quel che ne resta, lontani dalla battaglia. Dopo un po’, rialzo lo sguardo da terra, guardo i miei compagni… adesso manca anche l’elfa! So che non dovrebbe fregarmene nulla, ma mi fermo, mi guardo intorno… non la vedo… torno indietro, la cerco. La trovo, sta zoppicando. Vado per avvicinarmi a lei, quando, due guardie mi sbarrano la strada. Non ho tempo ne voglia di combattere… ancora. Fuggo. Raggiungo l’elfa, so che non mi ascolterà, ma almeno, mi sentirò la coscienza più leggera dopo. Le dico di affrettarsi, le guardi ci inseguono ancora. Mi allontano da lei, sperando di attirarle a me. Così è. Bene, lei è andata avanti, è salva. Ma le guardie mi inseguono ancora. Mi accorgo del motivo: addosso ho ancora la divisa delle truppe di Dalmatia! Cerco un vicolo, mi spoglio, e getto la divisa. Per mia sfortuna, mi hanno ritrovato. Spiacente, sarà per una altra volta, grido loro, mentre fuggo. Non avevo mai corso così. Raggiungo la locanda, ma, mentre mi accingo ad entrarvi… un’esplosione, rumori, le luci delle vie si spengono, tutte. Baccano, gente che urla, gente che scappa. Alcuni miei compagni escono dalla locanda. Il principe si avvicina ad un uomo, e comincia a parlargli, in una lingua che non conosco. Che si staranno dicendo… di nuovo quella brutta sensazione di essere estromesso… come sul treno, quando i due drow parlavano tra loro. Dopo un po’, il principe e l’uomo sono attratti dalla sorta di “discussione”, se così si può chiamare, che il ronso sta avendo con un suo simile, che a quanto pare, non parla il ronso! Ridono, e dopo un po’ Lahral raggiunge il ronso, magari per sistemare la cosa, visto che sono stanno per venire alle armi. Ne approfitto per avvicinarmi all’uomo. Gli chiedo se parla la mia lingua. A quanto pare mi capisce. Gli chiedo se anche lui sia un sottoposto del Giudice Mesdoram. La risposta è affermativa. Continuo le mie domande. Gli chiedo come ci si può fidare ciecamente di un singolo uomo, fino a sacrificare la propria vita. Nel frattempo, dal locale, ormai immerso nel buio, esce Niana, che, anche se a distanza, mi pare ci stia ascoltando. Tornano ben presto anche il ronso e Kleotikitas. L’elfa interviene nella discussione, mi dice che i Giudici non sono semplici uomini, sono molto di più. I miei dubbi però, rimangono tali. Non posso fidarmi di un uomo, specialmente se ha sulle spalle un così grande carico come il destino di un mondo intero. Sono incuriosito da questo genere di uomini: come sono scelti, loro o i loro sottoposti? E come può, un uomo che si macchia le mani di sangue, avere ancora un cuore puro? Cos’è un cuore puro? Entriamo nella locanda, a quanto pare il caos si sta placando. La discussione ora verte sul passato dell’elfa. a quanto pare suo padre era un, un “cavaliere del Giudice”; non capisco molto di ciò che si dicono, visto che non conosco la storia di questo drow, ma ascolto… la mia curiosità sale. Entriamo in una delle due camere da letto a noi riservate. La discussione verte non solo sul padre di Niana, ma anche su Baldur,luogotenente di Mesdoram… anch’egli Cavaliere di un Giudice. Ironizzo, sul fatto che, a quanto pare, certe vita possono anche esser sacrificate per volere di un.. Giudice, al punto che, chi uccide per sé è un assassino, che per qualcun altro, un mercenario; ma chi lo fa per il Giudice è un “giusto”. Come si pensare ciò? Il ronso appoggia una mano sulla spalla e mi dice che, comunque, che sia un Giudice o un uomo comune, un assassino è pur sempre tale, e che la vita è ugualmente importante e preziosa. Gli confesso che anche al mio villaggio la si era sempre pensata così. Mi chiede del mio villaggio. Le mie lacrime mi sgorgano quasi dagli occhi, quando gli racconto del fatto che fu bruciato, e che io venni accusato di tale crimine. Notando la mano destra, mi chiede se me la sono procurata proprio in tale occasione. Non è così, quella ferita me la ha fatta… non voglio parlarne, gli dico, sono ricordi troppo dolorosi che non voglio rievocare. Istintivamente, strinsi proprio la mano destra, provando un leggero dolore. Quasi per consolarmi, egli mi racconta ora di sé, del suo villaggio, dei custodi della “gemma arcobaleno” e del furto, della follia e del suicidio di suo padre. Come quello di Niana. Comincio a credere che chiunque abbia a che fare con questa gemma finisca per impazzire. Tutti la cercano, tutti la vogliono… ma io la detesto, causa della guerra, causa di morte, causa, probabilmente anche delle mie sofferenze. Se dovessi scoprire che è così, la distruggerò, non esiterò un secondo. Questo mia affermazione, fa irrigidire Tetsuya, che mi dice che, in tal caso, diverrebbe mio nemico. Stavolta sono io a poggiargli la mano sulla forte spalla. Lo guardo negli occhi. Io non potrei mai esserti nemico, non puoi chiedermi questo, gli dico. Io voglio esserti amico, e spero anche tu lo voglia. Tacita risposta, probabilmente, è la confidenza che, poco dopo mi fa. Mi racconta di una visione che ha avuto tempo fa, in cui un ronso combatteva contro un lupo, e ne aveva la meglio. I dubbi crescono, e si diffondono. Ben presto finiamo per piombare nel silenzio, un silenzio colmo di domande che, sappiamo, non hanno rosposta. Almeno per ora. Nel frattempo gli altri hanno deciso l’ordine delle stanze. Io non ho sonno. Mi avvicino alla finestra e ne apro un’anta. C’è uno spicchio di luna, crescente. Comunico che non ho sonno, e che il ronso può comodamente usare il mio letto. Mi congedo, esco dalla stanza e cerco un modo per raggiungere il tetto della locanda. Non trovatolo, esco dal locale, comincio a passeggiare, assorto nei miei pensieri. Continuo a chiedermi quale sia il mio legame alla faccenda: ormai in troppi mi avevano chiesto della mia ricerca, ed io… che potevo rispondere?? Cosa diavolo potevo fare!? Adocchiai una lattina, e cominciai a calciarla. All’improvviso immaginai che prendesse la forma (che io pensavo) avesse la gemma arcobaleno; la calciai lontano più forte che potevo, ascoltando silenziosamente il suo rotolare. Basta, dovevo pensare ad altro. Guardai il cielo, ricercandola. Non la trovai. Il palazzi erano alti, molto alti, come quella volta che avevo passato la prima notte nella capitale. Finalmente, in un vicolo, riuscì a scorgerla. La fissai intensamente. Mi dava un tale tono di serenità…come al solito, il mio pensiero tornò alla bellissima donna di luce, che tanto volte avevo sognato, che tante volte mi aveva fatto compagnia. Chiusi gli occhi, avvolto da quel sentimento di pace, e da una luce interiore. Non capivo da dove venisse, ma mi piaceva, mi sentivo bene. I bei tempi della mia fanciullezza a Persin riscorrevano nella mente, tempi felici, tempi passati. IL villaggio è bruciato… mamma… Rendor! Più nervoso di prima, riaprì gli occhi, irritato dal fatto che la mia mente, ancora una volta, mi aveva tradito. Corsi a perdifiato, tornando alla locanda. Tutto buio, tutti dormono. Ho sete. Mi avvicino al bancone, lo scavalco e cerco dell’acqua, ma non ne trovo. Solo bottiglie contenenti chissà ché. Ne prendo una a caso, la apro e odoro. Non ricordo un tale odore. Allora ne verso qualche goccia sul bancone. Poi sul mio dito e lo assaggio. Amaro. Riprovo. ancora amaro. Avvicino la mia bocca alla bottiglia e ne assaggio ancora. Nonostante il sapore, ne sono attratto. Ne bevo un po’. Sento i miei pensieri alleggerirsi, bevo ancora. Fino a svuotare la bottiglia, fino a perdere i sensi. Voglio dimenticare…”.



  • Vedi anche, per una maggiore contestualizzazione, la sezione Riassunti o Trama.
Personal tools