Pensieri

From Theos Koima

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A chiunque legga questo riassunto, voglio rendere noto che, oltre al fatto che talune note potrebbero risulatare spoileranti (vedi [[Theos_Koima:Etica_Spoiler| etica dello spoiler]]), non essendo la memoria il mio forte, mi sono permesso di fare un riassunto in prima persona, volto non solo a dare più che altro il senso del discorso, ma a rendere i fatti secondo la prospettiva del personaggio di [[Ray Lun|Ray]]. Per ciò, se la trattazione degli argomenti non corrisponderà alla reale successione dei fatti, non me ne vogliate. Comunque, la responsabilità di ciò che è scritto qui, è assolutamente mia. <br/>
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A chiunque legga questo riassunto, voglio rendere noto che, oltre al fatto che talune note potrebbero risulatare spoileranti (vedi [[Theos_Koima:Etica_Spoiler| etica dello spoiler]]), non essendo la memoria il mio forte, mi sono permesso di fare un riassunto in prima persona, volto non solo a dare più che altro il senso del discorso, ma a rendere i fatti secondo la prospettiva del personaggio di [[Ray Lun|Ray]]. Per ciò, se la trattazione degli argomenti non corrisponderà alla reale successione dei fatti, non me ne vogliate. Comunque, la responsabilità di ciò che è scritto qui, è solamente mia. <br/>
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Un pensiero è un processo mentale che permette ad un individuo di creare, collegare, modificare idee. Per info più approfondite vedi: Wikipedia:pensiero.



Questa è la sezione dedicata all'introspezione del personaggio giocante Ray Lun nel procedere della trama di Theos Koima.



Contents

Premessa

A chiunque legga questo riassunto, voglio rendere noto che, oltre al fatto che talune note potrebbero risulatare spoileranti (vedi etica dello spoiler), non essendo la memoria il mio forte, mi sono permesso di fare un riassunto in prima persona, volto non solo a dare più che altro il senso del discorso, ma a rendere i fatti secondo la prospettiva del personaggio di Ray. Per ciò, se la trattazione degli argomenti non corrisponderà alla reale successione dei fatti, non me ne vogliate. Comunque, la responsabilità di ciò che è scritto qui, è solamente mia.
--Lei Magnus 07:07, 1 September 2006 (EDT)

Pensieri e istanti

Il dialogo tra il giudice Mesdoram e Ray

“Quando gli altri furono usciti dall’abitazione di Mesdoram (compreso Larhal, che si era intrattenuto col Giudice per parlargli in privato), rimasi, senza farlo notare, ad attendere sull’uscio ed a fissarlo mentre rientrava. Il dialogo che, tutti noi, avevamo avuto in precedenza, sebbene mi avesse illuminato su taluni fatti, non mi aveva compiutamente soddisfatto, anche perché, e ciò è probabilmente dovuto alla mia timidezza, non ero riuscito a domandargli ciò che più mi stava a cuore. Mesdoram, voltatosi, ricambiò immediatamente il mio sguardo. Dopo una manciata di secondi, mi chiese se qualcosa non andava. Li per li, non riuscì a trattenere un non so che di sarcastico, misto ad un che di reverenza. Gli risposi che, in fondo, <<il dado era stato tratto>>, e a noi toccava solo l’ingrato compito di obbedire al destino da qualcuno prefissato. Egli mi rispose che, tuttavia, eravamo liberi di decidere il da farsi. Ma fino a che punto ? In fondo, gli dissi, era a causa di uno di loro che io ero stato costretto a quell’avventura, non di certo per voler mio; cosa può fare, a dunque, un povero figlio di pescatore di fronte a ciò ? La guerra, la gemma arcobaleno, la materia oscura, erano fatti che non mi riguardavano. A me importava, e forse peccai di egoismo, di poter vivere in pace, tranquillamente, come uno della mia gente. Ma invece, era stato proprio un giudice a coinvolgermi. Mesdoram, per tutto il tempo di quello che era diventato quasi un mio sfogo personale (ed infatti, senza che me ne accorgessi, o per lo meno ci dessi molto peso, prima le mani, poi le braccia, ed in fine tutto il corpo, avevano cominciato a tremare, sempre più nervosamente), rimase in silenzio. Quando ebbi finito, mi rispose, e le sue parole mi lasciarono sbalordito. Mi chiamò figlio della luna, mi disse che il mio legame con Larhal, ma del resto con tutto il gruppo, era più profondo ed oscuro di quanto non si capisse. Mi disse che io ero stato vittima probabilmente di quella setta di cui aveva parlato poc’anzi al gruppo, di coloro che usavano la materia oscura. Il peso della verità sembrò schiacciarmi, tanto ché caddi a terra, in ginocchio. Gli chiesi cossero veramente, perché il mio aspetto talvolta cambiava. Egli mi disse che io non ero umano, non del tutto, almeno. Basta, non riuscivo più a trattenermi, il peso era troppo forte. Gli strinsi il braccio, come a cercare una mano d’aiuto, e probabilmente gli feci anche male... Lui, parve capirmi, trattene il braccio saldo, impassibile. Mi guardò, come a scrutare l’anima mia. Devo dire che, dinanzi il suo sguardo, mi sentivo praticamente nudo; egli sapeva tutto. Questo mi diede fiducia, ma forse non capivo, perché rimasi un po’ deluso quando mi disse che avrei dovuto capire da me la strada. Ma, forse, aveva ragione. Se egli mi avesse detto subito tutto, il senso si sarebbe perso, ed, allora??? Mi disse però che io avrei dovuto cercare un equilibrio, l’equilibrio del mio essere. Sebbene non solo umano ne tutto bestia fossi, non dovevo reprimere una di queste due essenze, come avevano fatto i miei genitori, che volevano di me solo un uomo, o come aveva fatto Rendor, che voleva di me solo la bestia. La chiave era l’equilibrio. Già, l’equilibrio, come un atleta che cammina su di una fune, io dovevo procedere nel mio cammino, senza cadere nel baratro. Capì allora, o così mi parve, tutto il senso delle sue parole. Non importa ciò che si fa, ne il modo: quelli sono accidentali, determinati dal caso, o comunque da qualcuno superiore di noi. Ciò che importa davvero, è che noi, da questi eventi, ne traiamo il buono per andare avanti, cioè, e non vorrei sembrare troppo egoista, l’utile per una vita felice.
Lasciai la presa del suo braccio, mi inchinai a lui, ormai del tutto calmo, e lo ringraziai di cuore (<<Grazie di tutto, Eccellenza…>>). Dopo di ché, feci per andarmene e, arrivato al cancello, mi voltati per guardarlo un ultima volta. In fondo, pensai, magari era l’ultima volta che vedevo un grand’uomo di tal fatta… Rientrò in casa, come una qualsiasi persona. E’ sorprendente come questi.. Giudici, nonostante il peso di certe situazioni, reggano benissimo. Mi voltai, cercando di scorgere il mio gruppo; erano spariti, e non si erano accorti minimamente di me. Come al solito. Basta, mi dissi, c’è un tempo per pensare ed un tempo… per non farlo. Presi un gran respiro e cominciai a correre, con l’aria di chi non ha nulla per la testa, ed in vero, era proprio questo il mio obbiettivo. Correndo, staccai un filo d’erba e me lo misi in bocca, quasi volessi assumere un aria beffarda rispetto a coloro che non usavano altro che il loro cervello. Corsi a perdifiato, ed in breve raggiunsi Larhal. Lo guardai, e mi chiesi quale fosse davvero il mio legame con lui. Ma poi, rimembrando il mio intento, ricominciai a correre, verso gli altri…”

Di nuovo in piedi (sessione di gioco del 12-13/08-2006)

“In piedi… ma che ci faccio in piedi… di nuovo… non ricordo… ah si…- storco il viso - cosa ho fatto, cosa ho fatto di nuovo… lo sapevo che sarebbe andata a finire così… però, però, stavolta era diverso… anche se un massacro è sempre un massacro... Non ho il tempo di riflettere ulteriormente, giacchè Renè mi trascina violentemente altrove, e, sarà la mia debolezza, sarà che non mi aspettavo tanta forza nel drow, ma riesce a trascinarmi.. quasi io fossi semplicemente in sua balia…i miei pensieri, mentre sono portato chissà dove, mi portano alla mente la figura di Rendor… perché? Non lo so… e non ho anche il tempo di pensarci… arrivati in quella che, secondo il drow è la nostra destinazione, Renè mi guarda… non uno sguardo duro, ma deciso. Con un tocco di ironia, amara, che il drow sembra ignorare, gli chiedo se devo ringraziarlo. Mi dice di darmi una possibilità, se voglio sopravvivere… ma io voglio sopravvivere?? Non gli confesso apertamente questo ultimo mio pensiero, la sua mente pratica non potrebbe accettarlo…però il quesito mi offusca la mente. Uno scatto, lo afferro per la collottola, il suo sguardo dritto a fissare il mio, ed io il suo… che impulsivo sono stato! Renè invece, più freddo, più cinico, forse, non pare scomporsi. Un’offerta, uno scambio, <<un qualcosa che mi devi>>, lui ha bisogno di me… com’è possibile… no, lui ha bisogno della bestia che è in me… non di me… lui mi sfrutterà, come ha fatto Rendor. Il mio passato mi torna prepotentemente a galla, e finisco per raccontarglielo, in parte. Mi sento solo, incredibilmente solo… mamma… Irya… che devo fare… al pronunciare questi nomi, un senso di tranquillità mi pervade…e, dal mio corpo inizia a sprigionarsi una luce… mi sento bene con essa… è come se… qualcuno mi fosse vicino e mi stesse massaggiando... dolcemente… come può, una bestia, emanare tanta tranquillità… non ho il tempo di pensarci… il tempo fugge sempre… e non è dalla mia parte, a quanto pare… di nuovo davanti ad un bivio, come dopo la discussione con Mesdoram, di nuovo devo scegliere… Renè dice che è per me stesso… e forse, dopotutto, ha ragione… che devo fare, che devo fare, che diavolo devo fare!!! Perché nessuno sa darmi una risposta… La verità è che devo trovarla io la risposta, e questo il drow me lo ha fatto capire… ma sono così debole… gli chiedo tempo, per riflettere ed egli pare acconsentire… mi rivolge una altra occhiata, mentre io cerco un luogo in cui sedermi, mi sento ora spossato, non nel corpo, le cui ferite in parte sono rimarginate.. ma nello spirito… Renè si volge altrove, lasciandomi solo… dovrei pensare, ma non voglio farlo… mio padre diceva sempre che una dormita porta sempre consiglio… cerco di dormire… in effetti sono stanco. Dopo qualche tempo, vedo entrare nel mio vagone i miei compagni di viaggio, i miei carnefici, le mie vittime… solo ora mi accorgo di come il drow sia agghindato, ma non mi importa più di tanto… nuovamente la domanda… non guardo nessuno, temo il loro sguardo inquisitorio… cerco di evadere, gli faccio notare che un qualsiasi risposta non vale, e che sa benissimo quale sia la mia risposta… ancora una volta sono fuggito… io non ho la risposta, ma egli sembra aver capito qualcosa… per questo lo dovrei ringraziare, ma penso che, se sapesse, mi darebbe del vigliacco… probabilmente, ora, egli è l’unico che di cui possa fidarmi, anche se non so per quanto… questo accresce il mio senso di solitudine… Arriviamo in un vagone per le merci, io cerco un angolino separato, non voglio addosso gli sguardi inquisitori degli altri. Si discute, della guerra, di Folgandi e di Dalmatia (ed io, come avevo precedentemente fatto notare a Renè, torno a chiedermi che cosa, potessi far io, insignificante rispetto alla grandezza di tali eventi), di massacri, e di assalti. A quanto pare, una volta a destinazione, ci sarà un massacro, uno scontro, una battaglia, non fra mostri e uomini, non fra pochi, ma fra tanti, un fratricidio… ma in fondo questa è la guerra… non voglio ascoltare, mi tappo le orecchie, cerco di dormire più per fuggire da quelle parole che per altro…ma una parte di me, vorrebbe sapere… dannata curiosità umana, solo causa di disgrazie… Ogni tanto, la discussione torna su di me, ed io immagino gli sguardi nella mia direzione… che ironia, il pistolero sembra l’unico a difendermi, ed io che non volevo assolutamente fidarmi di lui proprio per la sua freddezza… perché la odiavo, la ammiravo, la invidiavo… i due maghi soprattutto, sembrano temere qualche mia reazione… non che abbiano torto… vorrei poter gridare che quella bestia non sono io, che io sono buono e calmo, che non farei male a nessuno… ma così non è, ed è inutile continuare questa farsa... Discutono, per quanto tempo, non saprei. A quanto pare, ora i soldati di Dalmatia sono <<con noi>>… mi ritorna l’immagine della divisa di Renè , e mi chiedo come abbia fatto… quel drow ne sa una più del diavolo. Comunque una cosa la ho capita: al nostro arrivo, dato che ci sarà uno scontro tra schiere, noi dovremo approfittare della mischia per andar via… anche a costo di uccidere qualcuno dei <<nostri>>, anche se in fondo, sono dei <<nostri>> solo per convenienze e non si sa fino a quando… ironico, no? Vorrei dire qualcosa, protestare per quell’idea… ma la guerra, la guerra non pone spazio per le remore… solamente, <<mors tua est vita mea>>”

L'attesa snervante sul treno (sessione di gioco del 28-29/08-2006)

“Sento che sto per esplodere… devo contenermi, almeno per ora. Attraverso alcuni vagoni, la mente annebbiata, in parte spossata. Non posso, non devo perdere il controllo… almeno, non adesso. Cerco di distrarmi, cerco di allontanare brutti pensieri dalla mia mente; nascondo l'agitazione con una maschera d'allegria. Ho l'impressione di stare risultando ridicolo. Lo so che non è proprio il momento adatto, anzi… però cerco di sorridere, di trovare il lato buono della situazione… altrimenti scoppio. Mio padre diceva sempre che, se la mente è sempre rivolta verso qualcosa, almeno, bisogna distrarre il corpo; opponi al pensiero l’azione. Più facile a dirsi che a farsi. L'impressione si fa certezza. E’ che, dopo l’assalto di quella… <<cosa>>, è calata una atmosfera abbastanza cupa. O forse, semplicemente, sono io che la noto solo ora… intento come ero, prima, a trovar scampo ad una parte di me, non mi ero neanche accorto (ne interessato, d’altronde) di cosa stesse succedendo realmente accanto a me. Qui tutti hanno l’aria di condannati a morte, non c’è posto per un sorriso. Che sia davvero così… che sia solo la mia mente a non riuscire ad accettare la cosa? Non capisco, o meglio, non conosco, non conosco la guerra. Diamine, qualcuno vuole spiegarmi!!!! Renè parla, parla di strategie… lo scontro si fa vicino, non ho più tempo per rifiutare la realtà, non posso più fuggire. Saremo in prima linea… e sarà il massacro! Il gruppo è diviso, c’è chi crede che non abbiamo altra scelta, chi no… non so che dire… chiedo, prima al drow poi al ronso, se abbiano mai avuto esperienze di guerra. Il pistolero è vago, distratto. Chissà quali (atroci) segreti avvolgono la sua mente… mi rendo conto che non ha nessuno con cui parlare, confidarsi… i drow sono gente tanto strana e imperscrutabile quanto interessante. Non credo riuscirò a trarre molto da lui. Invece, Tetsuya, è molto disponibile a parlare con me; mentalmente lo ringrazio. In un certo senso, lo sento vicino. Mi dice che, neanche lui ha mai partecipato ad una vera guerra, ma solo a qualche battaglia. Era tanto tempo che non accadeva, ma con lui mi sento a mio agio, a discutere. Gli parlo delle mie remore, del mio attaccamento alla vita, dell’inutile massacro a cui si va incontro; lui si dimostra volenteroso ad ascoltarmi. Parliamo del destino, e della sua ineluttabilità: anche se discutendo, io mi schiero dalla parte opposta, dentro di me, non posso che concordare con lui: siamo solo attori di un copione già scritto. Non mi piace, detesto ciò, ma forse, è davvero così. Gli esprimo il mio timore se dovessi perdere nuovamente il controllo. Da quel che dice mi pare, in un certo senso, rassegnato. In effetti, ad un certo punto, mi accorgo che il dialogo non è altro che un susseguirsi di domande soprattutto dalla mia parte. La finta sicurezza ed il sorriso ora lasciano posto alla più profonda incertezza. Più il ronso mi pare deciso, saldo, più io mi vedo vacillare. Gli chiedo di lui, della sua famiglia, se ha qualcuno che lo aspetta: si, lui ha una famiglia… e io? E io? Io non ho niente, più nulla… e allora perché, una parte di me, è così attaccata alla vita… Date le premesse, in fondo, non dovrei aver così paura della morte, cosa dovrebbe importarmi?. Eppure no, perché, perché non riesco ad accettare l’idea di dover uccidere dei miei simili, l’idea che qualcuno dovrà morire, necessariamente? A questa domanda, non ho risposta, ed in breve, capisco che neanche il ronso ne ha. Beh, se dovessi ragionare meccanicamente, direi che abbiamo parlato inutilmente, non ho ottenuto ciò che cercavo; ma dentro di me so che non è così. Sono contento di aver parlato con lui, soprattutto per il fatto che non mi ha rinfacciato per ciò che ho fatto in passato. Posso fidarmi di lui; parlargli, mi ha fatto capire che, in uno scontro, non dovrò aver timore di voltargli le spalle. Spero di avergli dato la stessa sensazione, anche se il mio è un caso particolare. Però, ascoltandolo, una cosa la ho capita: al di là delle differenze di razza, uomini e ronso, non sono poi così tanto differenti, e forse, la stessa cosa vale per i drow… poche ore, ci separano da… dall’evento, ma ora, ho un amico, e forse non solo, in più.

Adrenalina e paura (sessione di gioco del 30-31/08-2006)

“Ho paura, non ce la faccio…il mio cuore batte, pazzo, incontrollato… forse uscirà dal mio petto… Ci siamo, dopo ore snervanti, eccoci, davanti al bivio di vivere o morire… ed io? ed io che farò? Mi sento paralizzato, i miei comp0agni mi incitano, mi vogliono al centro della battaglia! Forse hanno ragione, ma non capiscono, non capiscono che io ho paura, io voglio vivere! <<E’ normale, capita a tutti…>>. Parole semplici, forse scontate… eppure, quelle parole, dette dalla persona dalla quale meno me lo aspettavo, dal pistolero, anzi in questa occasione spadaccino… Ripenso, in un istante, alle ore snervanti d’attesa, alla pazienza del drow, che, con molta diplomazia è riuscito più volte a placami, rischiando. Certe volte… è che… non capisco... Non c’è tempo, non c’è tempo… segui ilo tuo istinto… dentro di me, questa voce si fa spazio, fino a prevalere. Scendo dal treno, mi giro una ultima volta verso i miei compagni, verso il ronso, il drow, il principe… basta… addio. Corro verso la mischia, chiudo gli occhi, e lascio che accada. In breve, un massiccio urlo, che passa a poco a poco dall’umano al bestiale, esce dalla mia bocca, o meglio, da quelle che stanno per diventare le mie fauci… mi dispiace… poi, la bestia.

Un istante di coscienza, un ricordo: sangue e morte. E il drow.

Mi rialzo, senza alcuna coscienza di quanto tempo sia passato… il principe, un secondo prima vicino a me, si allontana… mi ha aiutato…

Considerazione finale

Perdonate il tono spesso caotico, disorientante, a volte patetico e ripetitivo… credo sia il più adatto, però, a rendere lo stato d’animo del pg. Vi prego di segnalarmi eventuali errori…




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