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Commento da www.valdesi.eu

L’onnipotenza di Dio e l’origine del male. Due concetti che hanno portato molti teologi e ancor più semplici credenti ad interrogarsi, e addirittura a mettere in dubbio l’onnipotenza di Dio o la sua bontà. Se Dio è onnipotente e buono, perché permette che il male esista ? La risposta della Confessione di Fede può apparire vaga e persino le prove bibliche addotte possono lasciare dei dubbi. Nel passo di Isaia, infatti, Dio dice: “Io sono il Signore… che formo la luce, e creo le tenebre; che fo la pace, e creo il male”. E in quello di Amos: “Saravvi alcun male nella città, che il Signore non l’abbia fatto?”. Questi versetti sembrerebbero contraddire l’assunto dell’articolo di fede. Come mai ?

Il punto vero è la fede. La Confessione non spiega l’apparente contraddizione: ma afferma con forza le due cose. 1) Dio è onnipotente. 2) Il male, palesemente presente nel mondo, non è imputabile a lui. “Noi crediamo”, sono le parole che introducono l’intera confessione. Non: “noi dimostriamo” o “noi spieghiamo”, e neppure “noi sappiamo”. Il cristiano crede.

Ma non manca una spiegazione implicita, nelle prove scritturali. Le vicende di Giuseppe e di Gesù. Giuseppe stesso spiega ai suoi fratelli che le sofferenze da lui patite non erano un male, poiché “Iddio ha pensato di convertir quel male in bene”. Se, nel leggere le vicende del figlio di Giacobbe e Rachele, ci si ferma a quando lui si trova nella cisterna dove i suoi invidiosi fratelli l’hanno gettato, o a quando egli si trova nella prigione in Egitto, dimenticato anche dal coppiere cui lui aveva predetto la felice scarcerazione, non si vede che gran mali e ingiustizia. Perché il migliore dei figli di Israele doveva patire per mano dei suoi fratelli? Perché doveva finire in carcere per l’odiosa accusa di aver tentato di violentare la moglie del suo benefattore, quando la verità era proprio l’opposto? Un uomo con meno fede di Giuseppe avrebbe potuto mettere in dubbio la potenza di Dio o la sua bontà, e lasciarsi andare alla disperazione e alla rabbia. Ma Giuseppe continua ad avere fede e si dà da fare anche nella prigione dove riesce a diventare l’uomo di fiducia del capo carceriere, cosa che gli permetterà di venire in contatto con il coppiere che, seppure in ritardo di due anni, parlerà di lui al faraone. Alla fine Giuseppe comprende la ragione di tutte le sue pene e la fa comprendere ai suoi fratelli. Facile per noi che ci limitiamo a leggere la sua vicenda capire. Difficilissimo per colui che quella vicenda la vive giorno per giorno,come negli anni di carcere, almeno tre secondo la Genesi. Tsofnath-Paneah (questo è il nome che gli avrebbe dato il faraone) non sapeva che si sarebbe trattatato di tre o quattro anni!

La citazione di Atti 4:23-28 è nella stessa prospettiva: le grandi sofferenze patite da Gesù erano dettate dal “consiglio” provvidenziale di Dio. Ma i suoi discepoli furono sconvolti dal suo arresto, dalla condanna e dalla morte del loro maestro. Videro nella croce la sconfitta di tutto ciò in cui avevano creduto, nonostante Gesù stesso avesse in diversi modi preannunciato quel che doveva accadere. Lo stesso Gesù si sente abbandonato da Dio, eppure resta fedele a quanto aveva detto nel giardino del Getsemani: “Padre, ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” Marco 14:36. La Bibbia insegna che i grandi uomini e le grandi donne non sono quelli più forti, o più saggi, i vincitori. Ma sono coloro che obbediscono a Dio.

Ebbene, non ci si può stupire che la Chiesa di oggi, che i cristiani di oggi, come in altri tempi, cadano talora nello stesso errore in cui caddero i discepoli di Gesù per aver perso il loro maestro, e prima di loro Giacobbe che non poteva capire la ragione dell’aver perso l’amato figlio Giuseppe: Sia i primi sia il secondo, credevano che la perdita fosse definitiva, ma non lo era. Credevano fosse una sconfitta, ma era solo la preparazione per una più grande gloria.

Le stesse lunghissime vicende della Chiesa Valdese possono essere viste con la sola freddezza dello storico, con i suoi criteri razionali, e peraltro soggetti ad errore come ogni altra attività umana, ma anche ricordando che Dio “ordina e addrizza ciò che nel mondo accade”. Quest’ultimo era l’approccio prevalente tra gli storici valdesi fino a circa centocinquant’anni fa, tanto da arrivare in alcuni casi a forzare la carenza di documentazione con ricostruzioni edificanti. Oggi il rischio è opposto: nel razionalizzare ogni evento, si rischia di non vedere che le cause materiali non spiegano tutto. Il Glorioso Rimpatrio, ad esempio, non può essere capito, anche dal punto di vista strettamente storiografico, senza comprendere che, al di là degli aiuti di Guglielmo d’Orange, al di là delle aspettative di rivolte in Francia contro l’assolutismo di Luigi XIV che negava la libertà religiosa per ragioni di stato, il vero aiuto su cui contavano i Valdesi era quello della Provvidenza. Razionalmente una ingenuità, qualcuno potrebbe dire. La realtà storica però fu che le rivolte non ci furono, che l’appoggio di Guglielmo, nel frattempo diventato re d’Inghilterra, non poteva dare aiuto concreto una volta che gli intrepidi combattenti entravano nei territori dei Savoia o di Francia, che molti non valdesi aggregati all’impresa se ne ritirarono e che addirittura il comandante militare prescelto neppure si presentò alla partenza. Eppure, l’impresa riuscì. La presunta ingenuità vinse.

La mano di Dio è visibile in tanti avvenimenti storici o in tanti episodi della vita di ciascuno di noi. Chi ha fede a volte la vede a volte no, poiché avere fede non vuol dire avere la sapienza divina. Chi non ha fede, sperimentando eventi straordinari nella sua vita, può maturare la fede dentro di sé. Ma coloro che in ogni modo negano Dio, "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti" (Luca 16:31).

Ecco, il pericolo per molti che studiano – giustamente – le radici storiche e culturali della Bibbia è di non essere più capaci di vedere altro da influenze storico-letterarie, spiegazioni razionalistiche, “incrostazioni dovute alla cultura del tempo”, escludendo del tutto l’unica cosa importante: che quel che c’è scritto sia ispirato da Dio.

Allo stesso modo, guardando a “tutto ciò che nel mondo accade”, è giusto usare la nostra mente e le nostre nozioni scientifiche, ma sarebbe un grave sbaglio non sapere riconoscere l’opera della Provvidenza.

Qualcuno potrebbe anche guardare – ad esempio - la storia di Giuseppe potrebbe anche essere vista come una serie di alti e bassi della “fortuna” o del “destino”, o piuttosto del caso. Giuseppe ha la “sfortuna” di avere fratelli invidiosi, ma ha la “fortuna” di essere intelligente e così da ultimo degli schiavi diventa uomo di fiducia di un alto dignitario egiziano. Purtroppo non è abbastanza “furbo”, anzi è frenato dalla sua morale dovuta a “incrostazioni culturali” ebraiche e così non soddisfa le pressanti illecite richieste della moglie del suo padrone finendo in prigione. Qui ha la “fortuna” di incontrare il coppiere del faraone e “per caso” azzecca una previsione sulla base di un suo sogno. Con un altro “colpo di fortuna” azzecca una seconda previsione, questa volta riguardante il faraone e finisce per diventare potentissimo in Egitto, così che, per una serie di “coincidenze”, salva padre e fratelli da una terribile carestia. È chiaro che chi leggesse la storia così, si perderebbe l’essenziale. Come chi guardasse in televisione un balletto azzerando il volume per non udire la musica.

Ecco, il Signore “ordina e addrizza tutto ciò che nel mondo accade”. Talora si può vedere l’opera della sua mano, altre volte il suo disegno è troppo difficile perché lo possiamo discernere. Ma occorre anche la volontà di vederla e ricordare sempre “che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio”. (Romani 8:28).

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