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D/R 48 - indice - D/R 50


49. D. In che modo Cristo si è umiliato nella Sua morte?

R. Cristo si è umiliato nella Sua morte, nel fatto che, dopo essere stato tradito da Giuda, abbandonato dai Suoi discepoli, deriso e respinto dal mondo, condannato da Pilato, e tormentato dai Suoi persecutori; dopo aver affrontato i terrori della morte e la potenza delle tenebre, sentito e portato su di Sé il peso dell'ira di Dio, ha deposto la Sua vita come offerta per il peccato, sopportando la dolorosa, vergognosa e maledetta morte di croce.

Riferimenti biblici

  • Cristo tradito da Giuda, "dicendo: «Ho peccato, consegnandovi sangue innocente». Ma essi dissero: «Che c'importa? Pensaci tu»" (Matteo 27:4).
  • Cristo abbandonato dai Suoi discepoli, "...ma tutto questo è avvenuto affinché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli l'abbandonarono e fuggirono" (Matteo 26:56).
  • Cristo deriso e respinto dal mondo (e soprattutto dalla falsa chiesa), "Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna" (Isaia 53:2-3).
  • Cristo condannato da Pilato e tormentato dai Suoi persecutori, Matteo 27:26-50; "...ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua" (Giovanni 19:34).
  • Cristo affronta i terrori della morte e la potenza delle tenebre, e la Sua esperienza del peso dell'ira di Dio, "Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra" (Luca 22:44); "E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?» cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»" (Matteo 27:46).
  • Cristo depone la Sua vita come offerta per il peccato, "Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani" (Isaia 53:10).
  • La morte dolorosa, vergognosa e maledetta sulla croce, "...trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce" (Filippesi 2:8); "...fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio ... Usciamo quindi fuori dall'accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio" (Ebrei 12:2; 3:13).

Commento

La morte dell'eterno Figlio di Dio come uomo sulla croce del Calvario, può essere considerato davvero il punto più basso al quale Egli avrebbe potuto giungere per amor nostro, Suo popolo. Diciamo "come uomo", ma si tratta di un eufemismo. Quella morte, infatti, era la peggiore alla quale un qualsiasi essere umano avesse potuto mai allora essere sottoposto, un essere umano completamente spogliato di qualsiasi dignità, diritto o considerazione, come una pecora da macello, anzi, schiacciato come un verme. Il paragone è del tutto biblico: "Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca" (Isaia 53:6); "Ma io sono un verme e non un uomo, l'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo" (Salmo 22:6-7). Potremmo accostarlo a come erano stati considerati, nel XX secolo, gli ebrei nei campi di sterminio nazisti, non più come esseri umani, anzi, "peggio che bestie", privati dei loro diritti più elementari, indegni della benché minima considerazione. Potremmo pure pensare alle immani stragi di esseri umani non ancora venuti alla luce ed ai quali si nega dignità umana ed il diritto di nascere attraverso la diffusa pratica dell'aborto. In ogni caso, la pena della crocifissione era riservata allora a coloro ai quali era negata ogni diritto umano, gli schiavi, quando si ribellavano. Gesù, il Cristo, accetta di fare la fine di quelli che erano considerati allora non-uomini. Questo è importante rilevarlo: Gesù muore per Sua precisa scelta: "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio»" (Giovanni 10:17-18). La morte di Gesù, quindi, ha un valore unico nel suo genere. Gesù muore, non di malattia, incidente o di vecchiaia; non semplicemente come una vittima di ingiustizia ed oppressione né come martire di una grande causa, ma come sacrificio per il peccato, sostituendosi a dei peccatori. E' il valore teologico della morte di Gesù, cosa che il mondo incredulo e, fra l'altro, anche l'ebraismo moderno e l'Islam, ovviamente, rifiuta di accettare, nega o mette in ridicolo. Sta di fatto che la morte di Gesù, il Cristo, in croce sia il punto centrale del messaggio dell'intera Bibbia, anzi, quel che è dichiarato essere il punto focale della stessa storia del mondo, il fatto centrale del messaggio dell'Evangelo, ed il fondamento della nostra speranza di vita eterna. Il nostro Salvatore offre la Sua vita in sacrificio a Dio per espiare la pena che i nostri peccati meritano, al posto nostro.

L'umiliazione della morte del Cristo in croce, come mette in evidenza la D/R del nostro catechismo, tocca anche altri punti che le sono di corollario.

1. Il tradimento del discepolo Giuda. Giuda non era un estraneo, o un nemico giurato del Cristo, ma una persona che era stata accolta a speciali privilegi ed amicizia con Gesù, nel circolo dei dodici apostoli. "Anche l'amico con il quale vivevo in pace, in cui avevo fiducia, e che mangiava il mio pane, si è schierato contro di me" (Salmo 41):9), "Se mi avesse offeso un nemico, l'avrei sopportato; se un avversario avesse cercato di sopraffarmi, mi sarei nascosto da lui; ma sei stato tu, l'uomo ch'io stimavo come mio pari, mio compagno e mio intimo amico. Ci incontravamo con piacere; insieme, tra la folla, andavamo alla casa di Dio" (Salmo 55:12-14).

2. L'abbandono del Suoi discepoli. La condotta dei discepoli di Gesù mostrava, almeno per un tempo, come essi fossero molto più interessati alla sicurezza personale che alla fedeltà verso il loro Maestro. La paura in loro era stata più forte dell'amore verso Cristo.

3. I terrori della morte. Gesù affronta l'angoscia della morte nel Giardino del Getsemani, la notte prima di essere crocifisso. "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate»" (Marco 14:33-34).

4. La condanna da parte di Pilato. Proprio perché si trattava di una condanna ingiusta, Pilato, il Governatore romano, sedeva come giudice, il rappresentante ufficiale di un'istituzione dello Stato. Pilato, che era stato nominato per amministrare la giustizia, condanna Gesù Cristo ingiustamente, cioè contrariamente alle evidenze del caso.

5. Il peso dell'ira di Dio. Questo è il punto forse più importante, anche se è il meno compreso e persino citato oggi fra i cristiani stessi. La negligenza di questo punto è spesso causata da una concezione "romantica" (e quindi distorta) di Dio stesso che non tiene conto della logica implacabile ma giusta della Sua giustizia e della Sua santità, la quale che esige (è un imperativo ineludibile) che il peccatore sia condannato, ed "al massimo della pena". Gesù sente e porta tutto il peso dell'ira di Dio contro il peccato umano per l'intero corso della Sua vita sulla terra, ma particolarmente al termine della Sua vita terrena, nel Giardino del Getsemani e soprattutto durante le tre ore di tenebre mentre Egli era appeso alla croce, dall'ora sesta all'ora nona, terminando con il Suo grido: "All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato"' (Marco 13:34).

Non esprimeremo mai abbastanza la nostra riconoscenza per quanto compiuto dal Signore e Salvatore Gesù Cristo per salvarci dal peccato e dalle sue conseguenze. E' importante quindi comprenderlo sempre meglio approfondendo quanto le Sacre Scritture ci dicono al riguardo.

Ulteriore approfondimento

Una morte estremamente dolorosa. La crocifissione era, al tempo dei romani, una modalità di esecuzione della pena di morte e una tortura terribile. La pena della crocifissione era tanto atroce e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano. Era applicata agli schiavi, ai sovversivi e agli stranieri e normalmente veniva preceduta dalla flagellazione, che rendeva questo rito ancora più straziante per il condannato. Cicerone definiva la crocifissione "il supplizio più crudele e più tetro", La croce consisteva di due pali, uno verticale e l'altro orizzontale. Normalmente sul luogo delle crocifissioni c'era già, saldamente piantato per terra, il palo verticale (lo stipes). Il condannato si avviava al luogo dell'esecuzione portando sulle sue spalle il palo orizzontale, detto in latino patibulum (da qui la parola italiana "patibolo"), al quale sarebbe stato confisso. Il patibulum aveva normalmente a metà un foro con cui veniva infisso sullo stipes. Vi sono testimonianze che indicano come a volte venisse usato come patibulum la spranga della porta. Pare che il patibulum fosse legato alle braccia del condannato, e in questo modo (se fosse caduto durante il tragitto) avrebbe rischiato di urtare il suolo con la faccia. Gli arti venivano inchiodati o legati al legno. Il palo verticale era inoltre generalmente dotato di una sporgenza, chiamata pegma, sulla quale sedeva a cavalcioni la vittima. L'agonia del condannato era abbastanza lenta, potendo durare ore o anche molti giorni. Non vi è un'unica ipotesi sulle cause della morte: sopravveniva, infatti, per collasso cardiocircolatorio (dovuto anche all'ipovolemia causata dalla perdita di sangue e di liquidi) o asfissia. Infatti, per respirare, il condannato doveva fare leva sulle gambe; quando, per la stanchezza, o per il freddo, o per il dissanguamento, il condannato non poteva più reggersi sulle gambe, rimaneva penzoloni sulle braccia, con conseguente difficoltà per respirare oppure tutti questi movimenti dolorosissimi portavano al cedimento del cuore. I carnefici lo sapevano, e quando dovevano accelerare la morte rompevano con un bastone le gambe del condannato, in maniera che il soffocamento arrivasse in breve. La morte di croce era considerata una morte maledetta. "Il suo cadavere non rimarrà tutta la notte sull'albero, ma lo seppellirai senza indugio lo stesso giorno, perché il cadavere appeso è maledetto da Dio, e tu non contaminerai la terra che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà come eredità" (Deuteronomio 21:23); "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»)" (Galati 3:13). Vedi qui ulteriori informazioni sulla crocifissione


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