GEMICS 14 12 2009b
From Epcs Roma Tre
Ctognonato (Talk | contribs) |
|||
Line 1: | Line 1: | ||
'''Conoscere è modificare''' | '''Conoscere è modificare''' | ||
- | La ricerca sociologica non è mai innocente. Per lo più, si può dire che l’elaborazione di una domanda è preceduta dalle possibili risposte e non viceversa. In questo senso il lavoro del sociologo deve avere alla base un impegno di auto-consapevolezza del proprio punto di vista. Si dice che il vero ricercatore è un ricercato perché | + | La ricerca sociologica non è mai innocente. Per lo più, si può dire che l’elaborazione di una domanda è preceduta dalle possibili risposte e non viceversa. In questo senso il lavoro del sociologo deve avere alla base un impegno di auto-consapevolezza del proprio punto di vista. Si dice che il vero ricercatore è un ricercato perché deve capire l’intenzionalità con cui s’avvia verso la ricerca e non sarà facile riconoscere le differenze tra le proprie proiezioni e l’oggetto d’analisi. |
- | Osservare è innanzitutto un’attività e ogni attività | + | Osservare è innanzitutto un’attività e ogni attività, in quanto tale, modifica. Ogni agire è un agire su qualcosa. Questa affermazione indica che percepire non è registrare su una tabula rasa. Anzi, si può dire che osservare è trasformare in due diversi modi…( es. Elton Mayo nella Western Electric Company nel 1924 >> aumenta la luce => aumenta la produttività, ma si scopre che il fattore determinante non è la luce, ma la consapevolezza di essere osservati, di essere parte di una sperimentazione) |
'''Olhares do morro''' | '''Olhares do morro''' |
Current revision as of 19:39, 14 December 2009
Conoscere è modificare
La ricerca sociologica non è mai innocente. Per lo più, si può dire che l’elaborazione di una domanda è preceduta dalle possibili risposte e non viceversa. In questo senso il lavoro del sociologo deve avere alla base un impegno di auto-consapevolezza del proprio punto di vista. Si dice che il vero ricercatore è un ricercato perché deve capire l’intenzionalità con cui s’avvia verso la ricerca e non sarà facile riconoscere le differenze tra le proprie proiezioni e l’oggetto d’analisi.
Osservare è innanzitutto un’attività e ogni attività, in quanto tale, modifica. Ogni agire è un agire su qualcosa. Questa affermazione indica che percepire non è registrare su una tabula rasa. Anzi, si può dire che osservare è trasformare in due diversi modi…( es. Elton Mayo nella Western Electric Company nel 1924 >> aumenta la luce => aumenta la produttività, ma si scopre che il fattore determinante non è la luce, ma la consapevolezza di essere osservati, di essere parte di una sperimentazione)
Olhares do morro
Una ricerca condotta a Rio de Janeiro, nelle favelas del Brasile, illustra molto bene ciò che significa osservare ed i problemi a cui è sottoposta l’osservazione, quando è riflessiva. Fotografare situazioni estreme, fare reportage di luoghi o episodi dove gli esseri umani sono messi duramente alla prova è un classico per un certo tipo di fotografia impegnata. Si fotografa la guerra, la miseria e, nel nostro caso, una baraccopoli che sorge a Rio. Nei morros, in quelle coline lussureggianti che caratterizzano la città, ci sono anche le favelas, luogo di violenza, di traffico di droga, di malavita, di squadroni della morte, ma anche luogo di un’immensa umanità sofferente e abbandonata a se stessa, luogo d’indigenza, di povertà estrema, di case di cartone senza luce né acqua, di un esercito di bambini senza famiglia ormai noti in tutto il mondo come meninos da rua, i bambini della strada, ragazzini spesso vittime di ogni sopruso.
Secondo l’Istituto brasiliano di statistica (Ibge) il traffico di droga è la principale fonte di lavoro per i giovani tra gli 11 e i 18 anni. Questo mercato, insieme al commercio internazionale delle armi, genera vere e proprie guerre tra i diversi gruppi per il controllo del territorio. Il saldo di questi scontri supera ormai i 30 mila morti l’anno. La vita non conta molto in un paese in cui un terzo della popolazione vive con un dollaro al giorno.
Il fotografo francese Vincent Rosemblatt iniziò a frequentare la favela, accompagnato da qualche abitante. Voleva raccogliere immagini che raccontassero la vita quotidiana, la vera identità della favela. Subito si rese conto che le immagini che aveva della baraccopoli erano sempre violente, di grande crudeltà e sofferenza e si domandò come mai non si raffigurasse la vita normale di ogni giorno, gli elementi positivi.
Decise di osservare in modo diverso il fenomeno e, nel 2002, mise in piedi il progetto Olhares do morro nella favela Santa Maria di Rio. Voleva una nuova visione di questi insediamenti e, per fare ciò, cominciò a dare apparecchi fotografici usa e getta ad alcuni ragazzi del posto interessati a fotografare, lasciandoli liberi di riprendere ciò che volevano. Il progetto prese corpo e si sviluppo, ora è una ONG, una vera e propria agenzia fotografica specializzata nelle favelas, che espone le sue fotografie in tutto il mondo. L’esito di questa impresa fu la vera sorpresa. Le prime macchine usa e getta sono state sostituite da camere vere e proprie. Oltre alla qualità delle fotografie, esse sono totalmente diverse da quelle scattate dall’esterno. Sono immagini di normalità, di vita quotidiana, di situazioni di intimità, di gente al lavoro, di bambini che giocano ecc. Non ci sono fotografie che ritraggono la miseria, che vogliono colpire la nostra sensibilità, non trasmettono pietismo, ma nemmeno una visione idilliaca o buonista.
Questa vera e propria ricerca sul campo ha fornito un risultato ambivalente: i ragazzi partecipanti al progetto Olhares do morro dicono che quella è la vera favela, che la loro è la realtà naturale. Per noi, che osserviamo dall’esterno, questa “normalità” appare del tutto “anormale”, anche se ci rendiamo conto che si tratta di un esperimento che riesce a spostare uno stereotipo. Per chi abita in una favela, anche se riesce ad avere un titolo di studio, trovare un lavoro è un’impresa difficile. Grava sempre su di lui il sospetto che abbia a che fare con la malavita. Questo è lo stereotipo e questa è la conseguenza di un’osservazione esterna del fenomeno. Dunque, due punti di vista, due realtà diverse ed una prevedibile domanda: qual è la vera favela?
Osservare un fenomeno significa concentrarsi sulla percezione attraverso una serie di passi interconnessi tra cui possiamo distinguere: l’individuazione, il riconoscimento, l’interrogazione, l’interiorizzazione, l’interpretazione e la negazione. L’oggetto è separato e disgiunto dal suo contesto, riconosciuto come avente senso (o sconosciuto in un contesto di senso), interrogato attraverso il filtro delle concordanze/discordanze, interiorizzato come oggetto di coscienza, interpretato alla luce del proprio punto di vista e negato nell’affermarlo come oggetto relativo di senso.