Paolo e la Proibizione alle Donne di Parlare in Chiesa

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Paolo e la proibizione alle donne di parlare in chiesa


Benjamin Breckinridge Warfield (1851–1921)



Ho ricevuto recentemente una lettera da un caro amico che mi chiedeva di inviargli una “discussione delle parole Greche laleo e lego nei passi come 1 Corinzi 14:33-39, con un riferimento particolare alla questione: Il verso 34 proibisce a tutte le donne ovunque di parlare o predicare pubblicamente nelle chiese Cristiane?” L’argomento è di interesse generale, e mi prendo la libertà di comunicare la mia risposta ai lettori del Presbyterian.

È necessario dire subito che non vi è alcun problema in riferimento alla relazione tra laleo e lego. A parte le sfumature di interesse puramente filologico, queste parole stanno in relazione tra loro proprio come le parole Italiane parlare e dire; ovvero, laleo esprime l’atto di parlare, mentre lego si riferisce a ciò che viene detto. Ovunque quindi si debba indicare l’atto di parlare, senza riferimento al contenuto di ciò che viene detto, viene usato laleo, e deve essere usato. Non c’è nulla di spregiativo nel senso della parola, non più di quanto ve ne sia nella nostra parola parlare; sebbene, ovviamente, possa occasionalmente essere usata in modo spregiativo come può anche il nostro parlare–come quando i quotidiani suggeriscono che al Senato non si fa altro che parlare. Questa applicazione spregiativa di laleo, tuttavia, non compare mai nel Nuovo Testamento, sebbene la parola sia usata molto frequentemente.

La parola è al posto giusto in 1 Corinzi 14:33 e segg., quindi, e lì necessariamente ha il suo significato semplice e naturale. Se avessimo bisogno di qualcosa per intenderne il significato, tuttavia, ciò sarebbe fornito dal suo frequente uso nella parte precedente del capitolo, dove si riferisce non solo al parlare in lingue (che era una manifestazione divina e incomprensibile solo a causa dei limiti degli ascoltatori), ma anche al discorso profetico, che è, per esplicita dichiarazione, finalizzato all’edificazione, all’esortazione e al conforto (versi 3-6). Sarebbe tuttavia fornito in modo più incisivo dal termine qui contrapposto – “stiano in silenzio” (verso 34). Qui noi abbiamo laleo definito direttamente per noi: “Tacciano le vostre donne, perché non è loro permesso di parlare.” Tacere – parlare: questi sono i due opposti; e l’uno definisce l’altro.

È importante osservare, ora, che il perno su cui ruota l’ingiunzione di questi versi non è tanto la proibizione di parlare, quanto il comando del silenzio. Quella è l’ingiunzione principale. La proibizione di parlare è introdotta solo per spiegare più completamente il significato. Ciò che Paolo dice è in breve: “La donna stia in silenzio nelle chiese.” Questo è sicuramente diretto e abbastanza specifico per ogni necessità. Egli poi aggiunge come chiarimento: “Perché non è permesso loro di parlare.” “Non è permesso” è un appello ad una legge generale, valida indipendentemente dal comando personale di Paolo, e si riferisce alla frase d’apertura – “come in tutte le chiese dei santi.” Egli sta solo esigendo che le donne Corinzie si conformino alla legge generale delle chiese. E questo è il significato delle quasi aspre parole che aggiunge al verso 36, nel quale – rimproverandoli per l’innovazione di permettere alle donne di parlare nelle chiese – egli ricorda loro che non sono loro gli autori del Vangelo, nè ne sono i soli proprietari: osservino la legge che vincola l’intero corpo delle chiese e non cerchino qualche nuova pratica di loro invenzione.

Il verso intermedio rende solo esplicito che ciò che l’apostolo sta facendo è precisamente di proibire del tutto alle donne di parlare in chiesa. La sua ingiunzione del silenzio egli la spinge fino a proibire loro anche di porre domande; e aggiunge con un riferimento speciale a questo, ma attraverso questo all’argomento generale, l’incisiva affermazione che “è indecente” – perché quello è il significato della parola – “che una donna parli in chiesa.”

Sarebbe impossibile per l’apostolo parlare più direttamente o enfaticamente di quanto abbia fatto qui. Egli esige che le donne rimangano in silenzio negli incontri di chiesa; perché questo è ciò che “nella chiesa” significa, visto che all’epoca non esistevano edifici ecclesiali. E non ci lascia alcun dubbio riguardo alla natura di questi incontri di chiesa. Li aveva appena descritti ai versi 26 e segg. Avevano il carattere generale dei nostri incontri di preghiera. Notate le parole “Taccia il precedente” al verso 30, e confrontatele con “Tacciano nelle chiese” al verso 34. La proibizione alle donne di parlare copre così tutti gli incontri pubblici di chiesa – il punto è l’aspetto pubblico, non la forma. Ed egli ci dice ripetutamente che questa è la legge universale della chiesa. Fa anche più di questo. Ci dice che è il comandamento del Signore, ed enfatizza la parola “Signore” (verso 37).

I versi in Timoteo 2:11 e segg. sono altrettanto forti, sebbene siano più particolarmente diretti al caso specifico dell’insegnamento pubblico o del governo della chiesa. L’apostolo in questo contesto (verso 8, “gli uomini”, contrapposto alle “donne” al verso 9) ha già efficacemente confinato la preghiera pubblica agli uomini, e ora continua: “La donna impari con silenzio, in ogni soggezione. Ma io non permetto alla donna d'insegnare, nè d'usare autorità sopra il marito; ma ordino che stia in silenzio.” Nè l’insegnamento nè la funzione di governo sono consentiti alla donna. L’apostolo qui dice “io non permetto”, invece che, come in 1 Corinzi 14:33 e segg., “non è permesso”, perché qui egli sta dando le sue istruzioni personali a Timoteo, suo subordinato, mentre lì stava annunciando ai Corinzi la legge generale della chiesa. Ciò che egli insegna a Timoteo, tuttavia, è la legge generale della chiesa. E quindi egli continua e poggia la sua proibizione sopra di un motivo universale che riguarda in modo uguale tutto il genere umano.

Di fronte a questi due passi assolutamente chiari ed enfatici, non è possibile appellarsi a quanto si dice in 1 Corinzi 11:5 per mitigarli o modificarli. Precisamente, cosa si intende in 1 Corinzi 11:5, nessuno lo sa bene. Ciò che si dice qui è che ogni donna che prega o profetizza senza velo disonora il suo capo. Sembra ragionevole dedurre che se prega o profetizza coperta, ella non disonora il suo capo. E sembra ancora più ragionevole dedurre che ella possa pregare o profetizzare appropriatamente solo se coperta. Stiamo accumulando una catena di deduzioni. E queste non ci hanno portato molto lontano. Non possiamo dedurre che sarebbe appropriato per lei pregare o profetizzare nella chiesa solo se coperta con un velo. Non viene detto nulla riguardo alla chiesa in questo passo o nel contesto. La parola “chiesa” non compare fino al verso 16, e poi non come il riferimento che governa il passo, ma solo per fornire sostegno all’ingiunzione del passo. Non esiste alcuna ragione di sorta per credere che “pregare e profetizzare” siano intesi nella chiesa. Nè si trattava di una pratica confinata alla chiesa. Se, come in 1 Corinzi 14:14, il “pregare” di cui si parla fosse un esercizio estatico – come suggerirebbe il suo posto con “profetizzare” – allora dovremmo considerare l’ispirazione divina che scavalca tutte le leggi ordinarie con cui fare i conti. E vi è già stata occasione per osservare che la preghiera in pubblico è proibita alle donne in 1 Timoteo 2:8, 9 – a meno che non si intenda la semplice partecipazione alla preghiera, nel qual caso questo passo è parallelo a 1 Timoteo 2:9.

Ciò che deve essere notato in conclusione è: (1) Che la proibizione di parlare in chiesa alle donne è precisa, assoluta e include tutti. Esse devono tacere nelle chiese – e questo significa in tutte gli incontri pubblici di culto; non devono neppure porre domande; (2) che a questa proibizione è dato un peso speciale precisamente per le due questioni dell’insegnamento e del governo riguardanti specificamente gli anziani predicatori e governanti; (3) che la base su cui è poggiata questa proibizione è universale e riguarda la differenza tra i sessi, e particolarmente tutti le posizioni relative che sono assegnate ai sessi nella creazione e nella fondamentale storia del genere umano (la caduta).

Si dovrebbe forse aggiungere come delucidazione dell’ultimo punto appena menzionato che la differenza di conclusioni tra Paolo e il movimento femminista di oggi è radicata in una differenza fondamentale nei loro punti di vista relativamente alla composizione della razza umana. Per Paolo, la razza umana è composta da famiglie, e ogni diverso organismo – inclusa la chiesa – è composto da famiglie, unite insieme da questo o da quel vincolo. La relazione tra i sessi nella famiglia prosegue quindi nella chiesa. Per il movimento femminista la razza umana è composta da individui; una donna è semplicemente un altro individuo a fianco dell’uomo, e non riesce a vedere alcuna ragione per alcuna differenza di trattamento fra i due. E, infatti, se possiamo ignorare la grande differenza fondamentale tra i sessi e distruggiamo la grande unità fondamentale della famiglia nell’interesse dell’individualismo, non sembra esservi alcuna ragione per cui noi non dovremmo cancellare le differenze stabilite da Paolo tra i sessi nella chiesa – eccetto ovviamente, l’autorità di Paolo. Alla fine, tutto si riconduce all’autorità degli apostoli, come fondatori della chiesa. Ci potrebbe piacere cosa dice Paolo, oppure no. Potremmo essere disposti a fare come comanda, oppure non essere disposti a farlo. Ma non vi è spazio per dubitare ciò che egli dice. Ed egli certamente direbbe a noi ciò che disse ai Corinzi: “Cosa? È da voi che venne fuori la parola di Dio? O pervenne solo a voi? Questo Cristianesimo è nostro – per farne ciò che vogliamo? O è la religione di Dio, che riceve le sue leggi da Lui attraverso gli apostoli?


Pubblicato in The Presbyterian, 30 Ottobre 1919

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