La formazione del Canone del Nuovo Testamento

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La formazione del Canone del Nuovo Testamento

(Adattamento da: Stephen Voorwinde)

Introduzione

La problematica

Dopo quasi 2000 anni di storia della chiesa, come possono essere sicuri i cristiani d'avere "la Bibbia giusta"? Possiamo noi avere assoluta certezza di possedere esattamente i libri necessaria alla Bibbia, né più né meno? Come nostra regola di fede e di condotta, possiamo noi con fiducia fare appello al Canone della Scrittura come autorevole collezione di scritti ai quali non può essere sottratto né può essere aggiunto nulla? E se l'archeologia scoprisse un'antica epistola fin ora sconosciuta di Paolo o di qualche altro apostolo? Potrebbe quella essere aggiunta al Canone? Per quanto noi si possa ignorare tale questione come del tutto ipotetica, vi sono questioni simili che di fatto sono dolorosamente rilevanti alla vita della chiesa oggi. Può Dio oggi parlare con autorità, e se sì, dovremmo considerare tali nuove rivelazioni alla pari con le Scritture o magari essere aggiunte alle Scritture? Inoltre, da dove traiamo le informazioni su quali libri della Bibbia siano canonici?

Queste sono alcune fra le urgenti questioni alle quali il nostro argomento inevitabilmente ci condurrà. Non si tratta solo di questioni di interesse teologico permanente, ma possono talvolta essere materia di importanza apologetica e persino di pressante interesse pastorale. Qui noi tocchiamo la base stessa della fede e della vita cristiana. E' quindi di vitale importanza che queste fondamenta siano sicure. In che modo, però, possono essere stabilite? In che modo possiamo esporre una concezione delle Scritture che non si può provare in modo immediato dalla Scrittura stessa?

Storia del termine "canone"

Per cominciare il nostro esame dobbiamo avere una comprensione corretta della terminologia che usiamo. La nostra parola italiana "canone" deriva dal latino che, a sua volta deriva dal greco kanon. E' importante, ai fini che ci proponiamo, tracciare lo sviluppo linguistico di questo termine. Sebbene la parola greca kanon ricorra nel Nuovo Testamento, essa non può essere tradotta in italiano con "canone". In ciascun caso essa corrisponde meglio al significato di "misura", "regola" o "criterio" (2 Corinzi 10:13,15,16; Galati 6:16; Filippesi 3:16). Notiamo come questa parola ricorra negli scritti di Paolo e in nessuno di quei casi, essa faccia riferimento al Canone della Scrittura. Si tratta, infatti, di un significato sviluppatosi posteriormente. Un movimento in questa direzione avviene quando nel II secolo la chiesa comincia a riferirsi al Canone come indicante la verità rivelata, la regola della fede [W.F. Arndt & F.W. Gingrich, A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, second edition, Chicago and London: The University of Chicago Press, 1979, 403]. E' soltanto dal quarto secolo che la chiesa comincia a riferirsi alle Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento come al "ho kanon" ("il canone"). Uno sviluppo parallelo ha luogo nella storia del termine latino. Nel latino ecclesiastico, "canone" comincia a significare "un catalogo di scritti sacri" [C.T. Lewis & C. Short, A Latin Dictionary, Oxford: Clarendon, 1962, 280]. Il termine "canone" che usiamo in riferimento alla Scrittura non è quindi un uso biblico del termine, ma si conforma all'uso che ne fa la chiesa cristiana dal IV secolo in poi. Questo è pure il modo in cui il termine viene usato al tempo della Riforma protestante. E' particolarmente nelle Confessioni di fede riformate che questo termine è usato quasi esclusivamente per riferirsi alla "regola", "norma", "lista stabilita" delle Scritture (Vedi Confessione belga, art. 5 e Confessione di Westminster, 1:3). In queste affermazioni dottrinali esso è strettamente congiunto a concetti come "ispirazione", "autorità" e "la regola, fondamento e conferma della nostra fede". E' allora che l'idea di normatività assume grande prominenza.

Una questione metodologica

Questo fa immediatamente sorgere un'importante questione. Da dove deriva questa normatività? Quale ne è la base?.La questione è molto più complessa per il Nuovo Testamento che per l'Antico. Nel caso dell'Antico Testamento può essere persuasivamente dimostrato come Gesù ponga il Suo infallibile suggello di approvazione sul Canone così come ce l'abbiamo oggi (Luca 24:25-27,44-45). Il Suo riferimento alla legge di Mosè, ai profeti ed ai Salmi" corrisponde alla tradizionale triplice suddivisione del Canone ebraico. Su questo punto non c'è alcun dissenso fra Lui ed i Farisei. Sebbene su quanto sia stato "chiuso" il Canone dell'Antico Testamento al tempo di Gesù sia questione oggi sottoposta a molto dibattito fra gli studiosi [Vedasi: D.G. Dunbar, "The Biblical Canon," Hermeneutics, Authority and Canon, edited by D.A. Carson and J.D. Woodbridge, Zondervan: Grand Rapids, 1986, 303-15] è ragionevole dire che la posizione tradizionale sia stata messa in questione, ma non scossa. Gesù ed i Suoi contemporanei israeliti concordavano sui limiti da darsi al Canone dell'Antico Testamento.

Nella natura del caso una simile divina approvazione è impossibile per il Nuovo Testamento. Non abbiamo alcun pronunciamento di Cristo sulla questione se questi 27 libri, e solo quelli, possano ritenersi autorevoli, ispirati e canonici. Come procedere, allora? Sulla base di quale autorità può essere definito il Canone? Come possiamo essere sicuri che vi siano stati inseriti tutti i libri giusti? Questa questione è stata affrontata da diverse prospettive - teologiche e storiche, a priori ed a posteriori, in modo presupposizionale ed evidenzialista. Per un approccio più soddisfacente è forse meglio non contrapporre questi diversi approcci, non metterli l'uno contro l'altro, perché non ci sarebbe utile. Per giungere ad un'immagine completa non possiamo separare le evidenze storiche dai nostri presupposti teologici. Non possiamo separare l'a-priori della nostra fede dall'a-posteriori dello sviluppo storico. Per far giustizia all'ampiezza della questione dobbiamo assumere un approccio piuttosto vasto.

A. Considerazioni storiche

Abbiamo già visto come il termine greco canone non fosse applicato ai libri del Nuovo Testamento prima della metà del IV secolo. Questo non significa, però, che l'idea di un Canone prima non esistesse. La storia della chiesa, dai suoi albori fino alla fine del IV secolo, è caratterizzata dalla crescente consapevolezza della canonicità dei suoi scritti sacri neotestamentari. La storia del Canone si può dire che sia il processo di graduale consapevolezza della chiesa al riguardo del suo fondamento ecumenico. La comunità cristiana, sin dagli inizi, era consapevole di possedere un corpo di scritti ugualmente autorevoli dell'Antico Testamento ed ugualmente di carattere rivelatorio. Il riconoscimento di una collezione chiusa di documenti da considerarsi di maggior valore rispetto all'altra letteratura, però, è stato un processo graduale da considerarsi completo soltanto alla fine del IV secolo. Sin dall'inizio i cristiani consideravano distintamente proprio il Canone israelita. Il corpo di letteratura che si sviluppa dal loro mezzo, non sostituisce, ma integra il Canone ebraico, Intorno all'anno 200 AD già troviamo in uso i termini "Antico Testamento" e "Nuovo Testamento" (palaia diatheke and kaine diatheke). Il Nuovo Testamento non deve essere considerato come un libro "caduto dal cielo". Il suo riconoscimento da parte della chiesa non è stato immediato, ma si precisa gradualmente nel corso del tempo. E' a questo processo di graduale e sempre più precisa consapevolezza canonica che dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione.

Il Canone del Nuovo Testamento prima del 140

La consapevolezza nell'ambito del Nuovo Testamento stesso

A volte gli stessi scrittori del Nuovo Testamento sembrano chiaramente consapevoli che essi stessi o alcuni fra loro stessero scrivendo testi d'autorità canonica scritturale. Si consideri, per esempio, 2 Pietro 3:15-16 "...considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture". E' soprattutto il libro dell'Apocalisse ad essere consapevole del proprio carattere rivelatorio (ad es. 1:3; 22:18-19). In confronto al tono d'autorità insito in certi concetti del Nuovo Testamento, queste non sono che accenni.

1. Il titolo di "apostolo" è considerato portare il carattere di autorità normativa in quanto la persona che lo porta è considerata portatrice di precisi poteri. Gli apostoli sono i rappresentanti di Cristo (Matteo 10:40; cfr. Giovanni 13:20). Egli ha loro conferito in maniera esclusiva la facoltà d'annunciare l'Evangelo. Cristo ha pure loro dotato dello Spirito di verità che li guida in ogni verità (Giovanni 14:26;15:26;16:13-15). Essi sono i trasmettitori della rivelazione (Ebrei 2:4). La salvezza di cui Gesù è portatore, è prima proclamata dal Signore stesso, poi attestata validamente dagli apostoli.

2. "Testimone". Gli apostoli erano testimoni della salvezza rivelata in Cristo. Questo concetto dovrebbe essere inteso in maniera giuridica. Gli apostoli erano testimoni oculari e erano portatori di questa testimonianza nel tribunale della Chiesa a venire e dell'intero mondo. Questa testimonianza era sia orale (attraverso la predicazione) che scritta (nei documenti del Nuovo Testamento).

3. La "tradizione". Nel Nuovo Testamento questo concetto comporta un grande peso di autorità. Significa: "Ciò che ci è stato trasmesso con autorità". Nella chiesa primitiva è dato uguale significato alla proclamazione orale ed a quella scritta. Gli scritti del Nuovo Testamenti sono parzialmente i resti e la fissazione di una tradizione orale precedente (11). La fonte della tradizione del Nuovo Testamento risiede negli apostolo (ad es. 1 Corinzi 15:1-4). Paolo sia riceve che trasmette una tradizione. Qui è implicito un potere personale, cioè quello degli apostoli. Essi avevano ricevuto autorità da Cristo per farlo. La tradizione di cui parla il Nuovo Testamento non è un flusso non incanalato perpetuato come la fede o la teologia della Chiesa. E', al contrario, la proclamazione autorevole affidata agli apostoli come testimonianza al Cristo e fondamento della Chiesa. Sebbene l'importanza della tradizione e della testimonianza apostolica sia difficile da esagerare, l'autorità degli apostoli dovrebbe essere vista in giusta prospettiva. Essa non significa che la chiesa del primo secolo, viventi gli apostoli, avesse emanato una legge al riguardo dei libri da considerare parte del Canone. Non c'è alcuna evidenza storica al riguardo. Essi non impongono la fissazione del canone, ma il Canone gradualmente si impone e viene riconosciuto. Al riguardo per un certo lungo periodo rimangono significative differenze e incertezze fra le chiese, sono decenni e persino secoli. Nella chiesa dei primi secoli rimane differenza di opinioni al riguardo del canone.

I padri apostolici

I padri apostolici erano piu interessati a questioni pratiche e morali che a riflessioni teologiche. Le opere di questi antichi scrittori cristiani non contengono alcuna dottrina formulata della Scrittura o del canone, eppure rivelano molto di quelli che saranno gli sviluppi futuri.

1. Clemente di Roma. Scrivendo circa nell'anno 96, Clemente mette in rilievo l'importanza dell'autorità apostolica: "Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio" (Prima lettera di Clemente, 42:1-2). Il suo unico riferimento specifico al Nuovo Testamento è da 1 Corinzi ed Ebrei. Vi sono però evidenze della sua familiarità con un vasto raggio di materiali canonici. Eppure Clemente non possiede alcuna teoria formale sul Canone del Nuovo Testamento. Sebbene la tradizione che deriva da Gesù e dagli apostoli sia autorevole, Clemente non sembra concepirla come autorevole in una forma specifica.

2. Ignazio di Antiochia. Intorno al 115 Ignazio afferma che l'insegnamento degli apostoli è conosciuto attraverso i loro scritti. Non vi è indicazione, però, che egli considerasse gli scritti apostolici come paralleli a quelli dell'Antico Testamento. Per lui la questione è l'autorità della rivelazione, non la sua forma, scritta o orale che fosse.

3. Policarpo. Come Clemente ed Ignazio, Policarpo vede un'unità integrale fra l'Antico Testamento e gli apostoloi. Egli,però, si muove oltre i suoi predecessori nel fatto che per lui l'importanza dell'Antico Testamento passa in secondo piano in favore dell'aumentata stima data agli scritti degli apostoli, in particolare Paolo.

4. La Lettera di Barnaba (circa 130 AD). La maggior parte di questa lettera è un'incursione polemica sull'interpretazione dell'Antico Testamento. Barnaba lotta con il problema della continuità /discontinuità fra Antico e Nuovo Patto. Fa uso generoso dell'Antico Patto per mostrare come parli di Cristo. Barnaba rileva che come crescono i problemi di interpretazione dell'Antico Testamento, così la Chiesa dovrebbe diventare maggiormente consapevole della propria letteratura e formare una Scrittura complementare (il Nuovo Testamento). Cita Matteo 22:14 con la formula "è scritto".

5. "Vangelo" e "Apostolo". Nella prima parte del secondo secolo erano correnti due collezioni cristiane di documenti autorevoli. Una era chiamata "vangelo" (con sottotitoli "secondo Matteo" ecc.). L'altra era "L'Apostolo", vale a dire gli scritti dell'apostolo Paolo (con sottotitoli: "Ai Romani" ecc.). Ben presto queste parti sono connesse dal "Libro degli Atti". Le implicazioni di tutto questo sono significative. Infatti, fintanto che il quadruplice vangelo e la collezione paolina circolavano separatamente, non si poteva certo parlare di Canone, almeno embrionale. E' il Libro degli Atti che, collegando le altre opere avrebbe fornito la struttura centrale di un edificio che ora prende la forma del Canone come oggi l'abbiamo ricevuto (16). E' così che, almeno in questa prima fase, la Chiesa procede ora più velocemente, nel riconoscimento di una collezione autorevole di libri cristiani.

Il Canone del Nuovo Testamento fra il 140 e il 220

La prima parte di questo periodo vede l'insorgere di diversi movimenti che diffondono un insegnamento deviante rispetto a quello della maggior parte delle chiese fino ad allora e condizionati da filosofie estranee al cristianesimo.

1. Il Marcionismo. Nell'anno 140 circa la chiesa di Roma riceve la visita di Marcione, nativo dell'Asia minore. Presenta i suoi atteggiamenti ai responsabili della chiesa di quella città, che però considerava le sue idee concezioni gnostiche radicali. Respingeva interamente l'Antico Testamento e considerava il Dio che vi è rappresentato come un essere inferiore. Gesù, a suo dire, era venuto a liberare l'umanità dal Dio dell'Antico Testamento ed a rivelare il Dio superiore della bontà e della misericordia che Egli chiamava "il Padre". Questo messaggio, però, sosteneva, era stato oscurato nel Vangelo da corruzioni giudaizzanti. Paolo e Luca erano i soli due a trovare accoglienza presso Marcione, benché solo in parte. E' così che Marcione elabora un canone, un gruppo definito di libri che considerava pienamente autorevoli e che dovevano sostituire tutti gli altri. Questo Canone comprendeva dieci epistole paoline (senza le pastorali) e il vangelo di Luca. Sembra che Marcione avesse ulteriormente purgato questi scritti da ciò che non fosse in linea con il suo insegnamento. Le idee di Marcione si diffondono così pericolosamente. Sono i Marcioniti ad essere stati i primi a fornirsi di un Canone definito. La compilazione di questo Canone diventa così una sfida ed un incentivo alla chiesa di Roma e ad altre in sintonia con essa di fornirsi di un canone: si sarebbero così distinte da quello deviante di Marcione. Il Marcionismo ed altri movimenti ereticali fanno diventare urgente la definizione di un Canone autorevole, cosa di cui prima non si sentiva l'esigenza.

2. Lo gnosticismo. L'origine dello Gnosticismo non è chiara, ma raggiunge il suo massimo sviluppo alla metà del II secolo. Con la sua idea di una gnosi (conoscenza) esoterica, esso solleva in forma più acuta presso i padri della Chiesa la questione della tradizione dell'autorità. Centrale a questo insegnamento è il vangelo di Tommaso, collezione di 114 detti attribuiti a Gesù e che sono stati proposti come una fonte di tradizioni affidabili sul "Gesù storico". Un'altra significativa opera gnostica è il cosiddetto Vangelo della Verità, scritto a Roma nel 140 circa. L'autore praticamente fa uso degli stessi libri dell'attuale Canone del Nuovo Testamento, ed il modo in cui li usa mostra come per lui avessero autorità. Per gli gnostici, però, la vera gnosi andava oltre alle Scritture. Sebbene attribuissero i loro scritti apocrifi a diversi apostoli, essi rappresentavano gli apostoli come limitati in conoscenza. Sebbene gli gnostici non delimitino il Canone come fa Marcione, essi assolvono ad una funzione catalitica per la formazione del Canone ufficiale.

3. Il Montanismo. Più tardi, nel II secolo, l'ortodossia viene sfidata da un'altra direzione ancora. Il montanismo era un movimento iniziato in Frigia nel 156 circa. Il suo iniziatore, Montano, credeva che la promessa di Cristo dello Spirito Santo (Paracleto) si fosse compiuta con loro. Montano stesso si considerava il portavoce del Paracleto stesso. L'avvento del Paracleto sarebbe stato il preludio immediato del secondo avvento di Cristo e lo stabilirsi della Nuova Gerusalemme in una delle città della Frigia. Il Montanismo si diffonde per tutto l'impero. Alla fine del II secolo uno dei suoi aderenti più illustri è Tertulliano di Cartagine. Montano metteva in rilievo la necessità di un "rinnovamento carismatico" di doni spirituali estatici. Questo movimento non mette in questione tanto il concetto di canone, quanto quello di autorità. Il soggettivismo delle pretese rivelazioni profetiche del Montanismo sollecita le chiese a definire ciò che deve essere considerato autorevolmente normativo, da quello che non lo può essere.

La risposta delle chiese stabilite nell'interpretazione dei maggiori studiosi nel campo

Nessuno può dubitare che Marcione, gli gnostici e Montano abbiano costretto le chiese a riflettere sulla questione del canone. Qual'è, però, la natura della risposta che le chiese stesse hanno dato a questa questione? Sull'argomento vi sono opinioni contrastanti. Si possono identificare essenzialmente due punti di vista: quello liberale e quello conservatore esemplificati dalle posizioni di due studiosi tedeschi: Adolph von Harnack (liberale) e Theodor Zahn (conservatore).

Adolf von Harnack (1851-1930) sosteneva che il cristianesimo primitivo fosse essenzialmente una religione dello Spirito, non della lettera. Suprema era la tradizione orale e i documenti scritti non avevano statuto ufficiale. Gli eretici erano stati i primi ad occuparsi di un Canone di scritti autorevoli normativi. E' essenzialmente Marcione, quindi, ad introdurre l'idea stessa di un canone. E' quindi alla luce di questa situazione che dovremmo comprendere la posizione assunta dalla Chiesa che, per difendersi contro idee devianti fu costretta a stabilire un Canone ufficiale. La Chiesa, quindi, risponde a Marcione giungendo a risultati differenti. Harnack riteneva che questo era necessario, perché la tradizione orale tendeva ad essere contraddittoria. Col passare del tempo era sorto il bisogno di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso sia nella tradizione orale che in quella scritta. In questo la Chiesa era andata - sempre secondo Harnack - contro la propria unicità. Il cristianesimo diventa, così, una "religione del libro" e la sua essenza ne rimane oscurata. Il carattere originario del cristianesimo primitivo Harnack ritiene che sia stato riscoperto solo con il liberalismo del XIX secolo, una concezione questa che diventa molto influente e che caratterizza il consenso liberale a tutt'oggi. Questa posizione, però, è duramente avversata dagli stdiosi conservatori.

Theodor Zahn (1838-1933) era uno studioso luterano conservatore e nemico implacabile del liberalismo teologico. Le sue opere principali sono "Storia del canone" (1888-90) e "Introduzione al Nuovo Testamento" (1906). Dà pure importanti contributi alla patristica e rimane senza rivali in questo campo. Anche lui parte dal presupposto che l'esigenza di un Canone sorge dalle sfide che le eresie avevano posto all'ortodossia. Cerca così di risalire, fintanto che le evidenze lo permettano, alle origini della formazione del canone. Questo metodo lo conduce a concludere che sin dall'inizio la Chiesa possedeva un Nuovo Testamento che si accompagnava al Canone israelita. La Chiesa aveva mostrato una consapevolezza implicita di questa nuova collezione di scritti e del fatto che essi si ponessero alla pari dell'Antico Testamento per quanto riguarda la loro autorità. Il significato dell'eresie era stato quello di forzare la Chiesa ad una comprensione più chiara di ciò che già possedeva. La funzione delle eresie era catalitica, non costitutiva. Essa aveva accellerato un processo. Questo spiegherebbe perché nel periodo 170-220 noi possiamo per la prima volta vedere ciò che prima era allo stato potenziale e sorgivo. La posizione di Zahn è in essenza quella che poi ha caratterizzato la posizione ortodossa di base.

Evidenze della risposta delle chiese

Zahn prende le mosse da ciò che si pone in chiara luce. La sua posizione può essere bene appoggiata dalle seguenti evidenze.

Il Canone muratoriano

Il Canone muratoriano presenta una lista di libri canonici con alcuni commenti. Lo scopre l'antiquario Lodovico Muratori nel 1740. Si crede sia stato scritto a Roma verso la fine del II secolo. E' il più antico documento esistente in cui la questione del Canone sia trattata in maniera formale. Afferma quali documenti siano da considerare canonici e quali siano da respingere. Si tratta, purtroppo, di un frammento e per giunta a volte illeggibile. Elenca i libri del Nuovo Testamento eccetto Ebrei, Giacomo e 2 Pietro. Si discute se egli includa o no pure 1 Pietro. Questo Canone include un libro, l'Apocalisse di Pietro, che più tardi sarà respinto. L'autore del Canone muratoriano stesso ha alcune riserve su questo libro, perché nota come alcuni non lo accettino. Il valore principale del Canone muratoriano è quello di indicare i libri che erano riconosciuti canonici nella Chiesa di Roma verso la fine del II secolo. In questo documento siamo già molto vicini al nostro Nuovo Testamento.

Ireneo (ca. 130-200)

Ireneo, i cui scritti sono contemporanei all'elenco muratoriano, presenta la stessa immagine. Le evidenze che fornisce sono significative nel fatto che egli fosse ai suoi giorni una figura molto ecumenica. Passa la prima parte della sua vita in Asia minore e più tardi vive in Gallia. E' anche in stretto contatto con Roma, Sembra non includere nel suo Canone la lettera agli Ebrei, e vi è incertezza se egli accettasse le lettere generali (eccetto 1 Pietro e 1/2 Giovanni). Fa riferimento al Pastore di Erma come "scrittura", ma non lo include nella lista di scritti apostolici.

Tertulliano (ca. 160-220)

Tertulliano è la nostra autorità per quanto riguarda le chiese nordafricane. Sembra avere 22 libri nel suo canone: i quattro vangeli, Atti, 13 epistole di Paolo, 1 Pietro, 1 Giovanni. Non tratta Ebrei come canonico.

Origene (ca.185-254

Origene in Oriente, ha molto da dire sul canone. Riconosce i quattro vangeli canonici, gli Atti degli apostoli, le lettere paoline ed ebrei, 1 Pietro, 1 Giovanni ed Apocalisse come "libri non disputati". Origene riconosce, però, che Ebrei, 2 Pietro, 2/3 Giovanni, Giacomo e Giuda, fossero respinti da alcuni

Sommario

Nell'anno 220 circa, lo stato dei vari scritti del Nuovo Testamento in linea di massima il seguente:

  • I vangeli, una delle sezioni più attestate del Nuovo Testamento in questo periodo. Contrariamente al vangelo riconosciuto da Marcione (Luca) e dal gnostico "Vangelo di verità", Ireneo sostiene come la Chiesa riconosca 4 vangeli, curiosamente perché vi sono quattro parti del mondo e quattro venti.
  • Atti. E' riconosciuto come opera di Luca. Ha una posizione assicurata fra i vangeli e le lettere di Paolo.
  • Paolo. Tutte le sue 13 lettere sono ricevute ed accolte da tutti. Riconosciuta è l'unicità del materiale paolino.
  • Ebrei. Vi è molta discussione se questo libro debba essere considerato parte del Canone oppure no. La Chiesa orientale, fortemente influenzata dai teologi alessandrini Clemente ed Origene, l'accolgono come indisputabilmente paolina. Nella Chiesa occidentale non riceve statuto canonico fino alla fine del IV secolo, essendone negata inizialmente l'origine paolina. L'autorevolezza di scritti non direttamente attribuibili ad apostoli è contestata da considerazioni dogmatiche.
  • Le epistole cattoliche, nel periodo che stiamo considerando, hanno ancora una posizione incerta. Sull'autenticità della lettera di Giacomo le discussioni sono accese. Nella Chiesa orientale essa è accolta senza problemi, sebbene vi siano ancora nel 325 circoli che la respingono come spuria. 1 Pietro gode di una posizione ferma nel canone. La sua omissione nel Canone muratoriano è dovuta forse all'errore di uno scriba. Lo stesso non si può dire per 2 Pietro. La sua storia è molto incerta. Alcuni credono che il Canone muratoriano respinga 2 Pietro. Altri la identificano con l'Apocalisse di Pietro (vedi più sopra). Non vi sono evidenze della sua canonicità prima del 350. E' respinta dalla Chiesa siriaca fino al V secolo. E' difficile determinare perché 2 Pietro sia tanto contestata, e non c'è alcuno che, come nell'era moderna, ne contrapponga le teologie. 1 Giovanni è generalmente accolta. Dal punto di vista storico 2 e 3 Giovanni conservano una posizione incerta, Esse vengono accolte come canoniche solo nel IV secolo. Probabilmente, data la loro brevità, esse erano raccolte con la prima in un unico volume sotto il titolo "Le epistole di Giovanni". Il Canone muratoriano fa riferimento a due lettere di Giovanni. Nel Canone muratoriano si accoglie la lettera di Giuda sulla base delle testimonianze favorevoli di Clemente, Tertulliano ed Origene. Non è però accolta da tutti. Nel 360 circa non fa ancora parte delle chiese siriache e nord-africane.
  • In questo periodo l'Apocalisse ha una posizione abbastanza sicura, benché vi sia chi la contesta. Ireneo, Clemente e Tertulliano fanno riferimento a questo libro come Sacra Scrittura. Il Canone muratoriano nota come "alcuni del nostro popolo si rifiutano che venga letta nelle chiese.
  • Altri scritti. Tertulliano, Ireneo e Clemente citano "il Pastore di Erma" come Sacra Scrittura. Dopo il 200, però, una serie di decisioni ecclesiastiche cominciano a sciogliere i legami esistenti fra "Il Pastore" e gli altri libri. Questo dapprima è fatto quietamente. Si dice che debba essere letto solo privatamente per l'edificazione, ma che non debba essere letto pubblicamente insieme ai Profeti ed agli Apostoli. Questo atteggiamento è pure espresso dal Canone muratoriano, che afferma: "...certo dovrebbe essere letto, ma non può essere reso pubblico di fronte al popolo di Dio, insieme ai Profeti, il cui numero è completo, o con gli Apostoli di questi ultimi giorni". Questo sembra essere un tentativo di formare un Deuter-canone. Questo atteggiamento, però, suggella il fato de "Il Pastore". Le lettere di Clemente di Roma, soprattutto 1 Clemente (95 AD) erano lette nei culti pubblici, soprattutto a Corinto. 1 Clemente, però, non gode di diffuso riconoscimento canonico. Altri documenti sono l'Apocalisse di Pietro, la Didaché e "Gli atti di Paolo" (in latino). Sono accettati per un certo tempo in circoli limitati, ma vengono ben presto poi esclusi.

Valutazione

Alla fine del II secolo si vede come il Canone stia prendendo forma attraverso tutta la cristianità. In questo periodo 23 dei 27 libri sono indubitabilmente parte della collezione autorevole. Ebrei, Giacomo, 2 Pietro, Apocalisse, la Didaché, il Pastore di Erma e 1 Clemente hanno una posizione più dubbia. Il processo di canonizzazione viene accelerato nel II secolo a causa dell'attività catalitica di gruppi ereticali. Storicamente vi sono 4 fattori che sostengono la tesi di Zahn.

1) Il modo in cui i Padri si esprimono al riguardo del Canone non danno credito alcuno alla teoria dello Harnack. Essa esclude l'idea che nel 150 il Canone del Nuovo Testamento sia stabilito per la prima volta e che sia preceduto da un periodo privo di canone.

2) Non siamo ancora al tempo della chiesa di stato. Le chiese locali sono ancora autonome. La Chiesa ancora non possiede gli strumenti e la struttura per assicurare che tutti accettino lo stesso Canone e che sopprima le deviazioni esistenti in qualche parte della Chiesa. Il punti di vista di Harnack richiederebbe una situazione ecclesiastica che ancora non esiste.

3) Supponendo che la Chiesa possedesse gli strumenti per garantire uniformità, un simile tentativo si scontrerebbe con le singole peculiarità delle chiese regionali. In questo periodo non troviamo traccia di lotte giuridiche sulla questione del canone.

4)L'argomentazione più forte in favore delle tesi di Zahn è lo stato del Nuovo Testamento intorno al 200. Vi è una tolleranza di fondo generale su divergenze di lieve entità sul valore da darsi ad alcuni libri. L'idea di confini fluidi è impensabile se (secondo Harnack) la Chiesa avesse creato un Canone per opporsi a Marcione. In quel caso il Canone della Chiesa sarebbe stato definito altrettanto esattamente come quello di Marcione. L'accordo e il disaccordo episodico puntano piuttosto ad un processo di sviluppo spontaneo privo di alcuna coercizione da parte dell'autorità. In breve, lo stato del Canone fra il 170 ed il 220 indica come la chiesa fosse consapevole dell'esistenza di un canone, sia allora che prima. Fra il 150 e il 170 il Nuovo Testamento come idea o come fenomeno concreto non era qualcosa che fosse un elemento dirompente.

Il terzo ed il quarto secolo (220-400)

Fra il 170 ed il 220, a causa dell'effetto catalitico delle eresie della seconda metà del II secolo, specialmente del Marcionismo, i contorni del Canone sono stati delineati. La storia che segue è soltanto questione di due processi reciprocamente congiunti: (a) la fissazione a tenuta stagna dei limiti del Canone e, (b) un riconoscimento sempre più ampio del Canone fino alla sua accoglienza generalizzata. Eccone un riassunto.

Eusebio (ca. 260-340)

Giungiamo con Eusebio ad un importante pietra miliare nella storia del canone. Egli ci fornisce un'affermazione completa in cui spiega la posizione assunta dalla Chiesa in generale. Egli fa importanti distinzioni fra homologoumena (libri riconosciuti) ed antilegoumena (libri controversi), come segue:

  • I libri riconosciuti sono i Vangeli, gli Atti, le epistole di Paolo (inclusa Ebrei), 1 Pietro, 1 Giovanni e "forse" Apocalisse (se scritta davvero dall'Apostolo).
  • Egli divide i libri disputati in due categorie: (a) quelli che dovrebbero essere inclusi nel Canone (Giacomo, Giuda, 2 Pietro, 2/3 Giovanni), e (b) quelli che non dovrebbero essere inclusi (Atti di Paolo, Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro, Didache, Barnaba e "forse" Apocalisse (vioè, se non è apostolica). A parte da questa esitazione, il Nuovo Testamento di Eusebio corrisponde al nostro.

Atanasio (296-373)

La prima volta che abbiamo una lista dei libri del Nuovo Testamento che coincida esattamente con il nostro, è nella trentanovesima lettera festiva di Atanasio (367 AD). Egli l'aveva fatta circolare nell'ambito della gestione dei suoi doveri pastorali per consigliare i presbiteri sulla data della Pasqua, ecc. Egli fa una netta distinzione fra "scritti canonici" (i 27 libri e quelli soltanto) e quelli "degni d'essere letti" (gli apocrifi dell'Antico Testamento, il Pastore e la Didaché). Dopo aver elencato i libri, aggiunge: "Questi sono la fonte della salvezza, affinché coloro che hanno sete possano essere dissetati con le parole viventi che vi sono contenute. In questi soltanto è proclamata la dottrina della pietà. Che nessuno vi aggiunga o vi sottragga".

Le decisioni dei concili

  • La chiesa greca: la lettera di Atanasio assume forza giuridica e non è necessaria alcuna decisione conciliare.
  • La chiesa latina: il sinodo di Roma del 382 riconosce come canonici i 27 libri ed essi soltanto. La Vulgata di Girolamo, che appare poco dopo, contiene questi 27 libri.
  • La chiesa africana: il sinodo di Ippona nel 393 e Cartagine nel 397 ratificano quanto ha deciso il sinodo di Roma.
  • La chiesa siriaca: la versione Peshitta che include 22 libri del Nuovo Testamento, omette 2 Pietro, 3 Giovanni, Giuda ed Apocalisse. La chiesa siriaca nativa riconosce il Canone della Peshitta fino ai nostri giorni.
  • La chiesa etiopica riconosce i libri canonici della Chiesa cristiana più vasta più otto opere aggiuntive che trattano soprattutto dell'ordinamento ecclesiastico.

E' così che, sebbene il consenso non sia perfetto, alla fine del IV secolo il Canone ufficiale del Nuovo Testamento è fissato nel senso che esso è stato fissato ecclesiasticamente ed accettato da tutti. Da questo tempo nessuno sfida più realmente il Canone se non al tempo dell'Illuminismo.

Riflessione teologica

Dopo aver trattato lo sviluppo del canone, di rigore è una riflessione per porlo in prospettiva teologica. Ovviamente questo già è stato implicito nella nostra trattazione, ma dobbiamo ora esplicitarne i diversi punti.

Il significato della storia

L'approvazione pressoché unanime con la quale la Chiesa aveva ricevuto gli scritti del Nuovo Testamento, può essere considerata alla luce della speciale guida provvidenziale di Dio. Il teologo riformato François Gaussen, nel XIX secolo considera questo come evidenza "che una mano nascosta ma potente si è interposta, e che il Capo della Chiesa veglia in silenzio sui nuovi Oracoli come Egli aveva vegliato sugli antichi, preservandoli di età in età contro la follia umana" (Le Canon des saintes écritures au double point de vue de la science et de la foi, 1860). Questa provvidenza divina appare dal fatto che la ricezione del Canone è un movimento che sorge dalla base, e non dal vertice, scaturendo come dalla condiscendenza delle autorità ecclesiastiche. Il Canone non è stato imposto dagli apostoli, ma neanche dai leader della chiesa. Atanasio non era un innovatore: egli semplicemente aveva posto il suo sigillo su ciò che la Chiesa da lungo tempo stava facendo. I concili della chiesa che trattano del Canone sono venuti molto più tardi ed erano pochi. Essi si pongono alla fine del processo, non all'inizio. Non c'è stato alcun concilio che, presto subentrando, avesse avuto un'influenza decisiva sul corso degli avvenimenti. Le evidenze storiche suggeriscono che nel corso dei tre secoli susseguenti il suo completamento, è stato il Canone a raccomandarsi alla Chiesa. Questo si accorda con la promessa di Cristo a proposito dello Spirito Santo che sarebbe venuto sui Suoi discepoli. E' lo Spirito della verità che li guida in tutta la verità (Giovanni 16:13; cf. 14:26; 15:26).

Il ruolo della Chiesa

La lentezza con la quale si è formato il Canone conduce alcuni alla conclusione che "la Chiesa ci ha dato il canone". Nella discussione contemporanea, questa posizione è stata fortemente sostenuta dallo studioso cattolico conservatore Nicolaus Appel. Egli considera il Canone come frutto di una decisione ecclesiastica fatta nel periodo post-apostolico. In questo periodo la Chiesa, afferma, era giunta ad una più profonda consapevolezza della necessità di un Canone e di comprendere quale fosse l'entità ed i limiti di questo canone. Solo sulla base di una chiesa guidata infallibilmente vi può essere - secondo questa concezione - un Canone sicuro. L'infallibilità del Canone dipenderebbe così dall'infallibilità della Chiesa. Leon Morris ha dato una risposta concisa alla questione nel suo: "E' stata la Chiesa a dare origine al Canone?": "Non è stata la Chiesa a dare origine alla Bibbia. La sua ispirazione è divina, non ecclesiastica. Essa si regge o cade sulla base del proprio rapporto con Dio, non con la Chiesa. Inoltre, tutte le decisioni ufficiali della Chiesa al riguardo sono venute molto più tardi. Non ne troviamo se non verso la fine del IV secolo. Allora, però, il Canone era stato già deciso in tutte le sue implicazioni" (p. 337).

Le formulazioni delle decisioni conciliari sono qui pure significative. I decreti non prendono mai la formula: "Questo concilio decreta che da ora in avanti tali e tali libri siano da considerarsi canonici". Sarebbe meglio dire che non è stata la Chiesa a dare autorità al canone, ma a riconoscere il canone. Per questo i decreti conciliari prendono la forma di "Questo concilio dichiara che questi sono i libri che sono stati da sempre considerati come canonici". Sarebbe quindi meglio dire che il Canone si sia "scelto da solo" e non che la Chiesa l'abbia scelto. La canonicità è una qualità inerente al libro stesso, qualcosa che Dio le ha dato, non una condizione di favore che la Chiesa gli abbia conferito.

Herman Ridderbos riassume bene questa situazione: "Dev'essere messo in rilievo come non sia la Chiesa a controllare il Canone, ma il Canone a controllare la Chiesa. Per la stessa ragione, il Canone non può essere prodotto delle decisioni della Chiesa. La Chiesa non può "fare" o "stabilire" il proprio criterio di base. Tutto ciò che la Chiesa può fare è questo, che ha ricevuto il Canone come modello e regola per la fede e la vita, affidatole con autorità assoluta" ("Canon of the New Testament," 196), vedi anche The canon of the New Testament: its origin, development, and significance di Bruce Manning Metzger.

La testimonianza interiore dello Spirito Santo

I teologi cattolici romani sostengono tradizionalmente che l'autorità del Canone sia garantita da una Chiesa infallibile. I Riformatori avevano visto in questo una minaccia al principio del Sola Scriptura. Per loro l'autorità del Canone non era dipendente dalla Chiesa. Al contrario, esso si è auto-autenticato e suggellato nel cuore del popolo di Dio dalla testimonianza dello Spirito Santo. Questa testimonianza, però, è stata generalmente considerata più in riferimento all'autorità complessiva della Bibbia che per convalidare il contenuto specifico del Canone. Per questo essi fanno appello alla provvidenza di Dio. La Scrittura ha un'origine, un carattere ed un'autorità divina. Essa porta in sé stessa i caratteri di Dio. Essa mette in chiara evidenza che è da Dio, ma che l'essere umano è incapace di percepirlo ed ha quindi bisogno della testimonianza interiore dello Spirito Santo.

Le posizioni cattoliche e riformate sono chiaramente messe in contrasto nella Confessione Belga, Articolo 5, ("L'autorità della Scrittura"): "Noi riceviamo solamente tutti questi libri come santi e canonici, per regolare, fondare e stabilire la nostra fede, e crediamo pienamente tutte le cose che sono in essi contenute, non tanto perché la Chiesa li riceve e li approva come tali, ma principalmente perché lo Spirito Santo testimonia nel nostro cuore che essi sono da Dio, e anche perché provano essere tali da sé stessi, quando gli stessi ciechi possono percepire che avvengono le cose che vi sono predette". La testimonianza interiore dello Spirito Santo non è comunicazione di verità aggiuntive. Non è una proposizione data da Dio. E' semplicemente uno degli aspetti dell'azione organica dell'attività santificante dello Spirito Santo. Essa è sempre cum verbo ("Con la Parola"). E' elemento integrale del processo mediante il quale la mente del peccatore è illuminata e la sua volontà rinnovata (1 Corinzi 2:10-16; 1 Tessalonicesi 2:4,13). E' un'attestazione supplementare (John Murray, "The Attestation of Scripture," 42ss), vale a dire in aggiunta alle eccellenze obiettive inerenti alla Scrittura. Alla Parola bisogna permettere di stabilire le proprie prerogative, cioè, indipendentemente dalla Chiesa.

Il criterio della canonicità

Comprendere e valorizzare il significato di testimonianza interiore dello Spirito Santo è l'unico fattore determinante che potrà metterci in grado di vedere il criterio della canonicità nella giusta prospettiva. Sebbene certi criteri possono sembrare aiutarci a risolvere la questione del canone, nella natura del caso essi devono essere considerati tutti a posteriori. Quali sono "i segni" che contraddistinguono la canonicità? Nella storia della Chiesa sono stati dati diversi plausibili suggerimenti, ma nessuno di essi ha potuto essere stabilito con certezza. Alcuni esempi:

Apostolicità

Il criterio dell'apostolicità era sicuramente operativo nella vita della Chiesa antica. La sua applicazione in alcuni circoli ha chiaramente contribuito alla tarda accoglienza di Ebrei, Giacomo, Giuda ed Apocalisse. In alcuni casi questo criterio (un riconosciuto apostolo di Cristo come autore) è stato poi modificato per significare "l'ambiente influenzato direttamente da un apostolo", cosa che ha portato ad accogliere il vangelo di Luca e di Marco, non direttamente "apostolici". Questo, però, indebolisce la categoria di "apostolicità". Altri scritti, poi, non inclusi nel canone, avrebbero potuto pretendere di essere chiamati giustamente apostolici come altre epistole paoline che però non ci sono giunte (cfr. 1 Corinzi 5:9; Colossesi 4:16). L'apostolicità, quindi, non è un criterio del tutto adeguato per definire la canonicità nel suo insieme. Nessun documento del Nuovo Testamento ha conseguito la sua canonicità sulla sola base dell'apostolicità.

Lettura pubblica

Zahn afferma che fattore importante nello sviluppo del Canone fosse la ripetuta e diffusa lettura pubblica di determinati documenti nell'ambito del culto cristiano nella maggior parte delle chiese. Il fatto che determinati scritti venissero ritenuti adatti ad essere letti durante il culto li avrebbe gradualmente fatti entrare nel canone. Questo criterio, però, non rende giustizia al fatto che, ad esempio, molto popolari nel culto pubblico di molte chiese fossero il Pastore di Erma e la Didaché. D'altro canto vi sono scarse evidenze a suggerire che fossero largamente diffusi e letti nel culto della chiesa antica 2 Pietro, 3 Giovanni e Giuda. Il criterio del diffuso riconoscimento per la lettura pubblica nelle chiese è da considerare, ma non è in sé stesso determinante del fatto che un documento fosse incluso nel canone. Vi sono documenti che non erano popolari o largamente conosciuti e che pure sono entrati nel canone.

Concentrazione cristologica

Martin Lutero indica come criterio di canonicità la misura in cui determinati documenti si concentrano in Cristo. Il suo motto era: "Was Christum treibet und prediget": i documenti che maggiormente presentano e predicano Cristo. Questo approccio, però, conduce inevitabilmente ad un "Canone nel canone". Di fatto Lutero poneva determinati libri in posizione secondaria nel canone, ad esempio Ebrei, Giacomo, Giuda ed Apocalisse, come se questi ultimi non predicassero "abbastanza" il Cristo. Le chiese della Riforma, però, si sono attenute in questo più a Calvino che a Lutero. Calvino, infatti, riconosce la validità di tutti 27 i libri del Nuovo Testamento, nella persuasione che tutti e da tutti il Cristo sia predicato e predicabile. L'influenza di Lutero la si vede in alcune traduzioni dell'epoca, come quella del Tyndale, in cui Ebrei, Giacomo, Giuda ed Apocalisse compaiono in appendice al Nuovo Testamento.

Valutazione

Si potrebbero discutere altri criteri di canonicità. Sono stati proposti ad esempio: l'antichità, la cattolicità, l'ispirazione e l'ortodossia. Storicamente, però, ogni tentativo di evidenziarne uno rispetto agli altri come determinante, è fallito. Anzi, mettere in evidenza uno di questi criteri rispetto agli altri si è rilevato di fatto distruggere la canonicità del Nuovo Testamento. Questo è vero persino per l'apostolicità e la cristo-centricità. Quello che potremmo chiamare "il fattore X" è impossibile da isolare. Significherebbe sottomettere il Canone a fallibili considerazioni umane e questo sicuramente distrugge l'autorità assoluta del canone. Razionalizzare questo fenomeno significa di fatto poggiarsi sull'autonomia umana. Si pone così il punto della Archimede al di sopra del canone. "Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo", diceva, ma il punto di appoggio di questa leva non può essere realizzato senza pregiudicare il Canone stesso. Siamo costretti per forza di cose a considerare il Canone come un'entità che si stabilisce da sola (cfr. la testimonianza interiore). La canonicità è un concetto unico. Non coincide con ciò che è apostolico né con ciò che appare cristologico. Il Canone è l'autorità più alta e non possiamo fare appello ad un'autorità più alta ancora per convalidarlo. Ammettiamo che questo approccio è fortemente presupposizionale ed aprioristico. La Scrittura è auto-autenticante. La storia mostra come essa si raccomandi da sola alla Chiesa. Lo sviluppo del concetto di Canone è in armonia con le nostre presupposizioni sulla natura della sua autorità.

Considerazioni di storia della redenzione

Bisogna considerare brevemente a questo punto il concetto di "storia della redenzione". Herman Ridderbos [H. Ridderbos, The Authority of the New Testament Scriptures, Grand Rapids: Baker, 1963, 16] osserva come l'autorità del Canone non debba essere cercata nella storia della Chiesa, ma nella storia della redenzione. Nel Nuovo Testamento, egli rileva, vi è una connessione inseparabile fra gli aspetti principali della redenzione ed il loro annuncio e trasmissione. L'annuncio della redenzione è inseparabile dalla storia stessa della redenzione. Questo non vuol dire stabilire un criterio extra-biblico, perché l'intero ventaglio della Scrittura, dalla creazione fino al compimento finale, deve essere considerato un processo redentivo e storico. Dio fornisce un commentario verbale alla Sua attività redentrice. Il Nuovo Testamento è la registrazione, la testimonianza dell'attività redentrice di Dio. Il Nuovo Testamento, quindi, di per sé stesso è un fenomeno della storia della redenzione, è un fenomeno della storia di cui rende testimonianza. Il principio di base, quindki è la correlazione dell'atto redentivo con la sua attestazione rivelatoria. Gli atti e la Parola di Dio vanno assieme. Dio parla, ma il Suo parlare è legato alla Sua azione. Questa correlazione è pure applicabile alla storia nel suo evolversi. I punti più alti della storia della redenzione sono pure i punti più alti della storia della rivelazione. Possiamo così solo dire che il fondamento più profondo del Canone giaccia in Cristo stesso e nella natura del Suo avvento ed opera. La base stessa del riconoscimento del canone, quindi, è, in linea di principio storico-redentiva. Cristo, infatti, non solo è Egli stesso il Canone nel quale Dio viene nel mondo e nel quale glorifica Sé stesso in contrasto al mondo, ma è Cristo a stabilire il Canone e a darvi la sua forma storica concreta.

Il Canone è da considerarsi chiuso?

Una delle implicazioni della prospettiva storico-redentiva è il Canone chiuso. Cristo e la tradizione apostolica costituiscono la pienezza escatologica della rivelazione divina. Il Canone è quindi limitato a quei documenti dei quali la Chiesa fa esperienza come fondanti della propria esistenza. La sensibilità al flusso della storia della redenzione mostra la correlazione esistente fra l'attività redentiva e la rivelazione, e, in negatico, fra l'inattività ed il silenzio. Per esempio, la ricostruzione del tempio è l'ultimo avvenimento della storia della redenzione prima di Cristo. Dopodiché vi è un lungo periodo di "bassa" nella storia della redenzione dalla durata di 400 anni. Rispetto alla rivelazione questo è un periodo di silenzio. Un nuovo avvenimento redentivo poi subentra. In Cristo sia rivelazione che redenzione giungono al loro culmine e conclusione. Solo il ritorno di Cristo è quello che ora attendiamo (1 Tessalonicesi 1:10). La redenzione in Cristo è registrata autorevolmente (Vangeli) ed interpretata (Epistole). La storia della rivelazione, in questo modo, per noi è chiusa. Questo è connesso con l'istituzione apostolica (cfr. Giovanni 14-16). Esso fornisce l'attestazione rivelatoria infallibile di Cristo e della Sua opera.

Conclusione

A nostro avviso, Ridderbos ["Canon of the New Testament," 200] illustra correttamente la natura del processo canonico nella storia della Chiesa antica: la Chiesa ha trattato con questa situazione come uno che conosca ed indichi una certa persona come il proprio genitore. Tale conoscenza non si basa sulla dimostrazione, ma su un'esperienza diretta. E' qualcosa di connesso direttamente con la propria identità. In questo ed in nessun altro modo dobbiamo rappresentarci la conoscenza e la "decisione" della Chiesa a riguardo del canone. E' così che la storia del Canone a posteriori appoggia lo storico-redentivo a priori. Rimane una confessione di fede che il Canone del Nuovo Testamento corrisponda esattamente al Canone di Cristo. La loro identità non può essere stabilita in modo assoluto da uno studio storico. Le evidenze storiche e le "prove" possono portarci solo fino ad un certo punto. Come in qualunque altra area, si arriva al punto in cui è soltanto questione di fede. I nostri presupposti teologici e le evidenze storiche non coincidono perfettamente. Sebbene la nostra prospettiva sul Canone renda più grande giustizia al processo storico di quanto facciano Harnack ed i teologi cattolico-romani, noi non pretendiamo di avere un criterio infallibile di canonicità. Alla fine, con Ridderbos, dobbiamo riconoscere in fede che il Canone empirico corrisponda con il Canone di Cristo. Possiamo essere assolutamente certi e non "praticamente" certi sullo status del canone, ma la nostra certezza non dipende dal nostro studio dei dati storici, ma proviene dalla nostra fede nella sovranità e provvidenza di Dio.

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