Discorso sull’Eternità di Dio

From Diwygiad

Discorso sull’Eternità di Dio


Stephen Charnock (1628–1680)



Non esiste alcuna progressione in Dio. Dio è privo di progressioni o di eventualità. È una qualità dell’eternità: “dall’eterno in eterno tu sei Dio”, ovvero lo stesso. Dio non solo rimane sempre in esistenza, ma rimane sempre lo stesso in quell’esistenza: “tu sei sempre lo stesso” (Salmo 102:27). L’esistenza delle creature è progressiva, ma l’esistenza di Dio è permanente, e rimane intera e immutata con tutte le sue perfezioni per un’estensione infinita. Infatti, il primo significato di eternità è l’essere senza principio né fine, che indica l’estensione di un essere relativamente alla sua esistenza; ma non avere alcuna progressione, nulla che sia primo o ultimo, indica piuttosto la perfezione di un essere relativamente alla sua essenza. Le creature sono in un flusso perpetuo; ogni giorno si acquisisce qualcosa e si perde qualcosa. Un uomo è lo stesso relativamente all’esistenza in cui egli è un essere umano, come lo era da bambino, ma in lui vi è una progressione sempre nuova di quantità e di qualità. Ogni giorno egli acquisisce qualcosa finché non giunge alla sua maturità; ogni giorno egli perde qualcosa finché non giunge la sua ora. La notte un uomo non è lo stesso di quello che era nel giorno; qualcosa è stato perduto, e qualcosa si è aggiunto; ogni giorno c’è un cambiamento nella sua età, un cambiamento nella sua sostanza, un cambiamento nelle sue circostanze. Ma Dio ha tutto il suo essere in un solo e medesimo punto, o momento d’eternità. Egli non riceve nulla come aggiunta a ciò che era in precedenza; non perde nulla di ciò che era in precedenza; egli è sempre la stessa eccellenza e perfezione nella stessa infinità come sempre. I suoi anni non vengono mai meno (Ebr. 1:12), i suoi anni non vengono e vanno come gli altri; non c’è oggi, domani o ieri con lui. Come nulla è passato o futuro in lui riguardo alla conoscenza, ma tutte le cose sono presenti, così nulla è passato o futuro riguardo alla sua essenza. Nella sua essenza, egli non è oggi ciò che non era in passato, e non sarà domani o l’anno prossimo ciò che non è adesso. Tutte le sue perfezioni sono in lui assolutamente perfette in ogni momento; prima di tutti i tempi, dopo tutti i tempi. Come egli ha tutta la sua essenza intera sia in ogni luogo che nello spazio immenso, così egli ha tutto il suo essere sia in un solo momento di tempo che in infiniti periodi di tempo. Alcuni illustrano la differenza tra l’eternità e il tempo usando l’esempio di un albero o di una roccia, che si trovano sulla sponda di un fiume o sulla riva del mare; l’albero rimane sempre lo stesso e immobile, mentre le acque del fiume scorrono lungo il suo piede. Il flusso è nel fiume, ma l’albero non acquisisce nulla se non un diverso rapporto e relazione con la presenza delle varie parti del fiume mentre scorrono. Le acque del fiume premono, e si spingono in avanti, e ciò che il fiume ha in un istante non è lo stesso dell’istante successivo. Così tutte le cose terrene si trovano in un continuo flusso. E sebbene gli angeli non abbiano cambiamenti sostanziali, tuttavia essi hanno diverse circostanze, perché le azioni degli angeli oggi non sono le stesse azioni individuali che hanno compiuto ieri; ma in Dio non vi è cambiamento; egli rimane sempre lo stesso. Di una creatura si può dire che era, o che è, o che sarà; di Dio non si può dire altro che egli è. Egli è ciò che è sempre stato, ed è ciò che sarà sempre; mentre una creatura è ciò che non era, e sarà ciò che non è adesso. Come si può dire della fiamma di una candela che è una fiamma, ma non è la stessa esatta fiamma di prima, né è la stessa che sarà fra poco; c’è un suo continuo disfacimento nell’aria, e un continuo rifornimento per la produzione di altra fiamma. Finché continua, si può dire che vi è una fiamma, tuttavia non esattamente una sola, ma una successione di parti. Così di un uomo si può dire che si trova in una successione di parti, ma non è lo stesso che era, e non sarà lo stesso che è. Ma Dio è lo stesso, senza alcuna progressione di parti e di tempo; di lui si può dire, “Egli è.” Egli non è più di quanto fosse, e non sarà in futuro più di quanto egli è. Dio possiede una salda e assoluta esistenza, sempre costante in sé stessa. Egli vede tutte le cose che scorrono sotto di lui in una continua variazione; egli osserva le rivoluzioni del mondo senza alcun cambiamento della sua natura assolutamente gloriosa e immutabile. Tutte le altre cose passano da uno stato all’altro; da quello originale alla loro scomparsa e distruzione; ma Dio possiede il suo essere in un solo indivisibile punto, non avendo né principio, né fine, né un punto intermedio.

(1.)

Non esiste alcuna progressione nella conoscenza di Dio. La varietà di successioni e di cambiamenti nel mondo non costituiscono una progressione, o nuovi soggetti nella mente Divina, perché tutte le cose sono presenti per lui dall’eternità relativamente alla sua conoscenza, sebbene esse non siano effettivamente presenti nel mondo rispetto alla loro esistenza. Egli non conosce una cosa ora, e un’altra fra poco; egli vede tutte le cose in un istante; “A Dio son note ab eterno tutte le opere sue” (At. 15:18), ma nel loro vero ordine di successione, poiché si trovano nell’eterno consiglio di Dio per essere realizzate nel tempo. Anche se vi è una successione e un ordine delle cose mentre si compiono, non vi è tuttavia alcuna successione in Dio rispetto alla sua conoscenza di esse. Dio conosce le cose che saranno compiute e l’ordine nel quale saranno compiute nel mondo; ma conosce sia le cose che l’ordine con un solo atto. Anche se tutte le cose sono presenti per Dio, tuttavia esse sono presenti per lui nell’ordine in cui compaiono nel mondo, e non presenti come se dovessero compiersi insieme. La morte di Cristo doveva precedere la sua risurrezione in ordine di tempo; vi è una successione in questo; entrambe sono conosciute insieme da Dio, ma l’atto della sua conoscenza non è esercitato riguardo a Cristo come se morisse e risuscitasse nello stesso momento; in questo modo vi è una successione nelle cose quando non c’è successione nella conoscenza di esse da parte di Dio. Poiché Dio conosce il tempo, egli conosce tutte le cose nel modo in cui si trovano nel tempo; egli non conosce tutte le cose come se avvenissero simultaneamente, sebbene conosca in un istante cosa è, cosa è stato e cosa sarà. Tutte le cose sono passate, presenti e future relativamente alla loro esistenza; ma non esiste passato, presente o futuro relativamente alla conoscenza di esse da parte di Dio, perché egli vede e conosce non secondo un ordine, ma secondo sé stesso; egli è la sua stessa luce con la quale egli vede, il suo proprio cristallo nel quale vede; osservando sé stesso, egli osserva tutte le cose.

Non esiste progressione nei decreti di Dio. Egli non decreta adesso una cosa che non aveva decretato prima; perché come le sue opere erano note dal principio del mondo, così le sue opere furono decretate dal principio del mondo; come esse sono note simultaneamente, così sono decretate simultaneamente; vi è una successione nella loro esecuzione; prima la grazia, poi la gloria; ma il proposito di Dio di concedere entrambe fu in un solo e medesimo momento dell’eternità. “In lui ci ha Dio eletti avanti la fondazione del mondo, acciocchè siamo santi” (Efe. 1:4): l’elezione di Cristo e l’elezione di alcuni in lui per essere santi e beati avvenne prima della fondazione del mondo. È per l’eterno consiglio di Dio che tutte le cose compaiono nel tempo; esse compaiono nel loro ordine secondo il consiglio e la volontà di Dio dall’eternità. La redenzione del mondo viene dopo la creazione del mondo, ma il decreto con cui il mondo fu creato, e con cui fu redento, esisteva dall’eternità.

(2.)

Dio ha vita in se stesso (Gv. 5:26): “Il Padre ha vita in sé stesso”; egli è “il Dio vivente”; quindi “dimora in eterno” (Dan. 6:26). Egli ha vita per la sua essenza, non per partecipazione. Egli è un sole che dà luce e vita a tutte le creature, ma non riceve né luce né vita da nulla; e quindi ha una vita illimitata, non una goccia, ma una sorgente; non una scintilla di vita limitata, ma una vita che trascende tutti i limiti. Egli ha vita in se stesso e tutte le creature hanno la loro vita in lui e da lui. Colui che ha vita in se stesso deve esistere necessariamente e non può essere posto in esistenza, perché allora egli non avrebbe vita in sé, ma in ciò che l’ha posto in esistenza e gli ha dato la vita. Ciò che esiste necessariamente, quindi, esiste dall’eternità; ciò che ha il suo essere da sé non può mai essere prodotto nel tempo, non può aver bisogno di esistere in un solo momento, perché riceve il suo essere dalla sua essenza, senza l’influenza di alcuna causa efficiente. Quando Dio pronunciò il suo nome, “Io Sono Colui Che Sono”, gli angeli e gli uomini erano in esistenza; il mondo era stato creato da oltre duemila e quattrocento anni; Mosé, al quale egli parlava, esisteva; tuttavia solo Dio è, perché solo lui ha l’origine dell’essere in se stesso; ma tutto ciò che essi erano era un ruscello che sgorgava da lui. Egli non ha da nessun’altra cosa la sua sussistenza; tutte le cose ricevono da lui la loro sussistenza come loro radice, come il raggio dal sole, come i fiumi e le sorgenti dal mare. Tutta la vita siede in Dio come sul suo proprio trono, nella sua più perfetta purezza. Dio è vita; essa si trova in lui in origine e in essenza, e quindi dall’eternità. Egli è puro atto, null’altro che vigore e atto; egli ha per sua natura quella vita che gli altri hanno per sua concessione; da cui l’Apostolo dice (1 Tim. 6:16) non solo che egli è immortale, ma che ha il pieno possesso dell’immortalità; per sempre, senza restrizioni, senza dipendere dalla volontà di un altro, può solo essere. Egli fu sempre, perché non ricevette il suo essere da nessun altro, e nessuno può portare via un’esistenza che non fu data da qualcun altro. Se vi fosse stato un qualche spazio prima che egli esistesse, allora vi sarebbe qualcosa che lo fece esistere; la vita non sarebbe in lui, ma in ciò che ne ha prodotto l’esistenza; egli quindi non sarebbe Dio, ma quell’altra cosa che gli diede l’esistenza sarebbe Dio. E dire che Dio sorse per caso, quando vediamo che nulla nel mondo si sviluppa per il caso, ma ha una qualche causa della sua esistenza, sarebbe vano; perché dal momento che Dio è un essere, il caso, che non è nulla, non potrebbe produrre qualcosa, e per la stessa ragione per la quale per caso egli sarebbe sorto, così per caso potrebbe svanire completamente. Quale strana idea di Dio sarebbe questa! Un Dio che non avesse vita in sé stesso se non per un accidente! Poiché egli ha la vita in se stesso, e non vi fu una causa della sua esistenza, egli non può avere alcuna causa della sua limitazione, e non può essere definito in un istante di tempo più di quanto non possa esserlo in un luogo. Ciò che ha la vita in sé, ha la vita senza confini, e non può mai venir meno, né esserne privato; così egli vive necessariamente, ed è assolutamente impossibile che non viva; mentre tutte le altre cose “in lui vivono, si muovono e sono” (Atti 17:28); e come esse vivono per la sua volontà, così possono tornare ad essere nulla al suo comando.

(3.)

Se Dio non fosse eterno, egli non sarebbe immutabile nella sua natura. Essere senza eternità è contrario alla natura dell’immutabilità, perché qualunque cosa abbia un inizio, viene mutata dal suo passaggio dalla non esistenza all’esistenza. Iniziò ad essere ciò che non era, e se ha fine, cessa di essere ciò che era; non si può quindi dire che sia Dio, se ha avuto un principio o una fine, o una progressione in sé. Mal. 3:6: “Io sono il Signore, non muto”. Giobbe 37:23: “Egli è l’Onnipotente, noi non possiam trovarlo”. Qui Dio argomenta, dice Calvino, l’immutabilità del suo proposito a partire dalla sua natura immutabile come Jehovah. Se egli non fosse eterno, vi sarebbe stato il più grande mutamento da nulla a qualcosa. Un cambiamento di essenza è maggiore di un cambiamento di proposito. Dio è un sole che splende sempre nella medesima gloria; non cresce nella sua gioventù e non invecchia. Se egli non fosse privo di progressioni, fisso in un punto dell’eternità, vi sarebbe un cambiamento dal passato al presente, e dal presente al futuro. L’eternità di Dio è uno scudo contro ogni sorta di mutevolezza. Se nell’essenza di Dio fosse sorta qualche cosa che non esisteva prima, non si potrebbe affermare che egli sia eterno né immutabile nella sostanza.

(4.)

Dio non potrebbe essere un Essere infinitamente perfetto, se non fosse eterno. Una durata finita è incompatibile con la perfezione infinita. Qualunque cosa sia contratta entro i limiti del tempo, non può incorporare in sé tutte le perfezioni. Dio ha un’insondabile perfezione. “Potresti tu trovar modo d’investigare Iddio? Potresti tu trovar l’Onnipotente in perfezione?” (Giobbe 11:7). Egli non può essere investigato: egli è infinito, perché è incomprensibile. L’incomprensibilità sorge da una perfezione infinita che non può essere concepita dalla limitata capacità della comprensione umana. La sua essenza, riguardo alla sua diffusione e alla sua durata, è incomprensibile, così come la sua azione: se Dio, quindi, avesse avuto un principio, non sarebbe infinito; se non fosse infinito, non possederebbe la perfezione più elevata, perché si potrebbe concepite un’altra perfezione più elevata di essa. Se il suo essere potesse cessare, egli non sarebbe perfetto; può meritare l’appellativo di somma perfezione ciò che è soggetto a corruzione e dissoluzione? Essere finiti e limitati è la maggiore imperfezione, perché consiste in una negazione dell’essere. Egli non potrebbe essere il più beato Essere se non fosse sempre tale e non dovesse sempre rimanere tale; e qualunque perfezione egli avesse, sarebbe compromessa dal pensiero che con il tempo essa cesserebbe, e quindi non potrebbero essere sentimenti puri in quanto non permanenti. “Egli è benedetto di secolo in secolo” (Sal. 106:48). Se avesse un principio, non potrebbe avere tutta la perfezione senza limite; sarebbe stato limitato da ciò che gli diede il principio; ciò sarebbe Dio, e non lui, e quindi più perfetto di lui. ma poiché Dio è la più sovrana perfezione, di cui nulla può essere immaginato di più perfetto dall’intelligenza più capace, Egli è certamente “eterno;” essendo infinito, nulla può essergli aggiunto, e nulla sottratto.

(5.)

Dio non potrebbe essere onnipotente se non fosse eterno. Il titolo di onnipotente non si concilia con una natura che ha avuto un principio; tutto ciò che ha un principio, un tempo fu nulla; e quando esso era nulla, non poteva fare nulla: dove non c’è essere non c’è potere. Il titolo di onnipotente non si concilia neppure con una natura che perisce: non può realizzare alcun proposito colui che non può preservarsi dalla forza e dalla violenza esterne dei nemici, o dalle cause interiori di corruzione e dissoluzione. Non si può fare affidamento sull’uomo, “il cui alito è nelle sue nari” (Isa. 2:22); si potrebbe forse fare migliore affidamento su Dio se fosse nella stessa condizione? Non potrebbe essere propriamente onnipotente colui che non fosse sempre potente; se egli è onnipotente, nulla può danneggiarlo; colui che ha tutta la potenza non può ricevere danno. Se egli fa tutto ciò che gli piace, nulla può renderlo miserabile, perché la miseria consiste in quelle cose che accadono contro la nostra volontà. L’onnipotenza e l’eternità di Dio sono collegate tra loro: “Io son l’Alfa, e l’Omega; il principio, e la fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che ha da venire, l’Onnipotente”. (Apo. 1:8). Onnipotente perché eterno, e eterno perché onnipotente.

(6.)

Dio non sarebbe la causa prima di tutto se non fosse eterno; ma egli è il primo e l’ultimo, la causa prima di tutte le cose, il fine ultimo di tutte le cose; ciò che è primo non può iniziare ad essere, perché allora non sarebbe stato il primo; non può cessare d’esistere, perché tutto ciò che si dissolve, si dissolve in ciò di cui consiste, che esisteva prima, e quindi non sarebbe il primo. Il mondo può non essere esistito; un tempo esso non era nulla; esso deve avere una qualche causa che l’ha creato dal nulla; nulla ha il potere di crearsi da sé, ma deve esistere una causa superiore, per la cui volontà e potenza esso viene ad esistere, e che dà a tutte le creature la loro distinta forma. Questa potenza non può che essere eterna, deve esistere prima del mondo; il fondatore deve esistere prima della fondazione, e la sua esistenza deve essere dall’eternità; altrimenti dobbiamo dire che nulla esisteva dall’eternità, e se non vi era alcun essere dall’eternità, non può esservi ora alcuno nel tempo. Ciò che vediamo, e ciò che siamo, deve provenire da se stesso oppure da qualcun altro; non può provenire da sé, perché se una qualche cosa si creò da sé, essa aveva il potere di crearsi; essa aveva dunque un potere attivo prima di avere l’esistenza; era un qualcosa rispetto al potere, e allo stesso tempo nulla rispetto all’esistenza. Supponete che avesse il potere di produrre se stesso, questo potere deve essere conferito su di esso da un altro; e così il potere di produrre se stesso non proveniva da sé, ma da un altro; ma se il potere di esistere fosse provenuto da se stesso, perché non si produsse prima? Perché in un certo momento era fuori dall’esistenza? Se vi è una qualunque esistenza delle cose, è necessario che ciò che è “la causa prima” debba “esistere dall’eternità”. Qualunque cosa fu la causa immediata del mondo, la prima e fondamentale causa su cui poggiamo, non deve aver avuto nulla prima di sé; se ebbe qualcosa prima di sé, non fu la prima; colui quindi che è la causa prima, deve essere senza principio, nulla può esistere prima di lui. Se ha avuto un principio da qualcun altro, non potrebbe essere il principio e l’autore di tutte le cose; se egli è la causa prima di tutte le cose, deve darsi un principio oppure deve esistere dall’eternità. Non potrebbe darsi un principio, perché tutto ciò che ha un principio nel tempo non era nulla prima, e quando non era nulla non poteva fare nulla; non potrebbe darsi alcunché, perché allora si darebbe ciò che non aveva prima, e farebbe ciò che non poteva fare prima. Se si fosse creato nel tempo, perché non si creò prima? Cosa lo impedì? O perché non poteva, o perché non voleva; se non poteva, allora gli è sempre venuta meno la capacità sufficiente, e sempre gli sarebbe mancata, a meno che non gli fosse conferita, e quindi non avrebbe l’esistenza da se stesso. Se non voleva crearsi prima, allora egli avrebbe potuto crearsi quando avesse voluto: tuttavia, come poteva avere il potere di volere o non volere senza esistere? Il nulla non può volere o non volere; il nulla non ha facoltà; tanto che è necessario ammettere un qualche essere eterno, oppure correre per inestricabili labirinti. Se neghiamo che esista un essere eterno, dobbiamo negare tutta l’esistenza; la nostra stessa esistenza, l’esistenza di ogni cosa che ci riguarda; sorgeranno assurdità inconcepibili. Dunque, se Dio è la causa di tutte le cose, egli esisteva prima di tutte le cose, e dall’eternità.

Uso pratico 1.


Com’è terribile trovarsi sotto i colpi di un Dio eterno! La sua eternità per colui che lo odia è un terrore grande quanto il conforto per colui che lo ama, perché egli è “l’Iddio vivente, e il Re eterno; la terra trema per la sua ira, e le genti non possono sostenere la sua indignazione”. (Ger. 10:10). Sebbene Dio sia il minimo dei loro pensieri, e sia trascurato nel mondo, tuttavia il pensiero dell’eternità di Dio, quando verrà a giudicare il mondo, dovrebbe far tremare i suoi denigratori. Che il Giudice e punitore viva per sempre causa la più grande afflizione nell’animo miserabile, e vi aggiunge un carico inimmaginabile, soprattutto che l’illimitatezza del potere esecutivo non necessiterebbe di quella durata. La sua eternità rende la punizione ancora più terribile del suo potere; il suo potere la rende acuta, ma la sua eternità la rende perpetua; il dolore dopo ogni sferzata è destinato a continuare per sempre. E quanto è triste pensare che Dio ponga la sua eternità come garanzia della punizione dei peccatori ostinati, e la impegni con un voto, che egli “aguzzerà la sua spada folgorante”, che “prenderà in mano il giudizio”, che “farà vendetta sopra i suoi nemici, e retribuzioni a quelli che lo odiano”; una retribuzione proporzionata alla grandezza delle loro offese e alla gloria di un Dio eterno! “Perciocchè io levo la mano al cielo, E dico: Come io vivo in eterno” (Deu. 32:40, 41), ovvero, quanto è sicuro che io vivo per sempre, io aguzzerò la mia spada sfolgorante. Come nessuno può comunicare un bene perpetuamente, così nessuno può comunicare un male con una tale durata di Dio. È un grave danno perdere in fondo al mare una nave dal ricco carico, che non approderà mai; ma quanto maggiore è perdere in eterno un Dio sovrano, di cui noi eravamo capaci di godere in eterno, e subire un male tanto duraturo quanto quel Dio che abbiamo ignorato, e che invece avremmo potuto evitarci! Le miserie degli uomini dopo questa vita non sono estinte, ma sono aguzzate, dalla vita e dall’eternità di Dio.

Uso pratico 2: di conforto.


Quale motivo di conforto potremmo avere in uno qualunque degli attributi di Dio, se non fosse per la sua infinitezza ed eternità, anche se fosse “misericordioso, buono, sapiente, fedele?” Quale sostegno potrebbe esservi, se fossero perfezioni appartenenti ad un Dio corruttibile? Quali speranze di risurrezione a felicità, o della sua durata, potremmo avere se quel Dio che l’ha promessa non fosse immortale per perpetuarla e potente per realizzarla? La sua potenza non sarebbe illimitata se la sua durata non fosse eterna.

1. Se Dio è eterno, anche il suo patto è tale. Esso si fonda sull’eternità di Dio; il pegno con cui lo conferma è la sua vita. Poiché non esiste alcuno maggiore di lui, egli giura per se stesso (Ebr. 6:13), o per la sua vita, che impegna insieme alla sua eternità per il pieno compimento; tanto che se egli vive per sempre, il suo patto non sarà annullato; è un “consiglio immutabile” (ver. 16, 17). L’immutabilità del suo consiglio segue l’immutabilità della sua natura. Immutabilità ed eternità vanno insieme mano nella mano. La promessa di vita eterna è antica quanto Dio stesso rispetto allo scopo della promessa, o rispetto alla promessa fatta a Cristo per noi. “La vita eterna la quale Iddio ha promessa avanti i tempi de’ secoli” (Tito 1:2). Come ha una ante-eternità, così ha anche una post-eternità; per questo il vangelo, che è la pubblicazione del nuovo patto, è chiamato “l’evangelo eterno” (Apo. 14:6), che non può essere alterato e perire più di quanto Dio non possa mutare e svanire nel nulla; egli non può rinnegare moralmente la sua verità più di quanto non possa fisicamente abbandonare la sua vita. Il patto è lì rappresentato con un colore verde, per indicare la sua perenne rigogliosità; l’arcobaleno, l’emblema del patto “intorno al trono, simigliante ad uno smeraldo” (Apo. 4:3), una pietra di color verde, mentre un arcobaleno naturale ha molti colori; questo invece uno solo, a significare la sua eternità.

2. Se Dio è eterno, poiché è il nostro Dio nel patto, Egli è un bene e possedimento eterno. “Questo Dio è il nostro Dio in sempiterno” (Sal. 48:14): “Egli è un rifugio in ogni età”. Percorreremo tutta la terra, e poi giungeremo alle benedizioni che Giacobbe desiderava per Giuseppe, “le benedizioni de’ colli eterni” (Gen. 49:26). Se una rendita di migliaia di sterline all’anno rende la vita di un uomo confortevole nel breve termine, quanto maggiormente potrà l’anima essere sommersa dalla gioia nel godimento del Creatore, i cui anni non passano mai, il quale vive per essere goduto per sempre, e può conservarci per sempre in vita per gioire con lui! La morte, infatti, sopraggiungerà su di noi per l’irreversibile comando di Dio, ma il Creatore immortale farà in modo che essa rimetta il suo morso, e ci farà approdare ad una gloriosa immortalità; le nostre anime alla loro dissoluzione, e i nostri corpi alla risurrezione, dopo la quale essi rimarranno per sempre, e occuperanno l’estensione di quella infinita eternità nella fruizione del sovrano ed eterno Dio; perché è impossibile che il credente unito al Dio immortale, il quale è dall’eterno in eterno, possa perire; infatti, essendo unito a colui il quale è una sorgente perenne di vita, non può rimanere nella morsa della morte. Finché Dio è eterno, e sempre lo stesso, non è possibile che coloro che sono partecipi della sua vita spirituale non siano partecipi anche della sua eternità. È dalla considerazione dell’illimitatezza degli anni di Dio che la chiesa trae il proprio conforto che “I figliuoli de’ suoi servitori abiteranno, E la progenie loro sarà stabilita nel suo cospetto” (Sal. 102:27, 28). E dall’eternità di Dio Abacuc (cap. 1:12) deduce l’eternità dei credenti: “Non sei tu ab eterno, o Signore Iddio mio, Santo mio? noi non morremo”. Dopo che si saranno ritirati da questo mondo, essi vivranno per sempre con Dio, senza alcun mutamento in quella moltitudine di anni ed età che scorreranno per sempre. Quel Dio che non ha né principio né fine, quello è il nostro Dio, il quale non ha solo l’immortalità per se stesso, ma immortalità da elargire ad altri. Come egli ha “abbondanza di Spirito” per vivificarli (Mal. 2:15), così egli ha abbondanza d’immortalità per preservarli. Solo in considerazione di questo un uomo può dire saggiamente, “Anima, tu hai molti beni, riposti per molti anni, quietati” (Lu. 12:19, 20); dire questo di un qualunque altro possedimento è la più grande follia nel giudizio del nostro Salvatore. “La mortalità sarà assorbita dalla mortalità”; “i fiumi di piacere” saranno “per sempre”. Morte è una parola che non è mai pronunciata o sentita da alcuno che possieda quell’eternità; essa è allontanata come uno dei nemici vinti da Cristo. La felicità dipende dalla presenza di Dio, alla cui presenza i credenti saranno per sempre. La felicità non può perire finché Dio vive; egli è il primo e l’ultimo, la prima di tutte le delizie, nulla prima di lui; l’ultimo di tutti i piaceri, nulla oltre di lui; un paradiso di delizie in ogni punto, senza una spada folgorante.

3. Il godimento di Dio sarà sempre nuovo e glorioso dopo molte epoche, come se fosse la prima. Dio è eterno, e l’eternità non conosce mutamento; vi sarà allora il pieno possesso senza alcun decadimento dell’oggetto goduto. Non può esservi nulla del passato, nulla del futuro; il tempo non vi aggiunge né vi sottrae nulla; quell’infinita completezza di perfezione che fiorisce in lui adesso, fiorirà in eterno, senza alcun appassimento alla fine, né per quelle innumerevoli epoche che scorreranno nell’eternità, né tanto meno per alcuna privazione: “Ma tu sei sempre lo stesso, E gli anni tuoi non finiranno giammai” (Sal. 102:27). Com’è Dio, così sarà la sua eternità, senza progressione, senza divisioni; la pienezza della gioia sarà sempre presente; senza un passato a cui pensare con rimpianto perché lontano, e senza un futuro da attendere con desideri struggenti. Quando godiamo di Dio, noi godiamo nella sua eternità senza alcun movimento; un possedimento di tutto insieme, senza che si dissolvano i piaceri di cui si desidera il ritorno, o aspettative di gioie future che si desidererebbe più prossime. Il tempo è fluido, ma l’eternità è stabile, e dopo molte epoche, le gioie saranno squisite e soddisfacenti come nel primo istante in cui furono assaporate dai nostri bramosi appetiti. Quando la gloria del Signore sorgerà su di voi, sarà così lontana dal tramontare che dopo che saranno trascorsi milioni di anni, numerosi come la sabbia del mare, il sole, nella luce del cui sguardo voi vivrete, sarà luminoso come alla sua prima apparizione; sarà così lontana dal cessare di splendere, che splenderà così forte, così piena, come nella prima comunicazione di sé nella gloria alla creatura. Dio, dunque, mentre siede sul suo trono di grazia, e agisce secondo il suo patto, è come una pietra di diaspro, che è di colore verde, un colore sempre piacevole (Apo. 4:3); poiché Dio è sempre vigoroso e fiorente, che accende nuovi e vigorosi raggi di vita e di luce alla creatura, fiorente in una perpetua primavera, e appaga i più ampi desideri; egli plasma il vostro interesse, piacere e soddisfazione; con infinita varietà, senza alcun mutamento o progressione; egli avrà varietà per accrescere i diletti ed eternità per perpetuarli; questo sarà il frutto del godimento di un Dio infinito ed eterno; egli non è un pozzo, ma una fontana, dove l’acqua è sempre viva, e non si corrompe mai.

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