La dottrina della predestinazione assoluta - Capitolo 2
From Diwygiad
LA DOTTRINA DELLA
PREDESTINAZIONE ASSOLUTA
ENUNCIATA E AFFERMATA
Girolamo Zanchi
(1516–1590)
CAPITOLO II
NEL QUALE LA DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE VIENE SPIEGATA IN RELAZIONE A TUTTI GLI UOMINI IN GENERALE
Avendo così posto la premessa relativa ai termini Scritturali comunemente utilizzati in questa controversia, procederemo ora ad osservare più da vicino questo elevato e misterioso articolo.
I. Noi, insieme alla Scrittura, affermiamo che vi è una predestinazione alla vita di alcune persone in particolare per la lode della gloria della grazia Divina, e una predestinazione di altre persone in particolare alla morte, la quale morte per punizione essi incontreranno inevitabilmente, e giustamente, sulla base dei loro peccati.
(1). Esiste una predestinazione di alcune persone particolari alla vita, e infatti “molti son chiamati, ma pochi eletti” (Mat. 22.14), ovvero, la rivelazione dell’Evangelo perviene, indiscriminatamente, a grandi moltitudini, ma pochi, relativamente parlando, ne traggono vantaggio spiritualmente ed eternamente, e questi pochi, per i quali esso è un sapore di vita a vita, di conseguenza ne beneficiano salvificamente, perché sono quelli scelti o eletti da Dio. Stesso significato hanno i seguenti passaggi, fra i molti altri: “Per gli eletti que’ giorni saranno abbreviati” (Mat. 24.22); “Tutti coloro ch’erano ordinati a vita eterna credettero” (Atti 13.48); “E coloro ch’egli ha predestinati, essi ha eziandio chiamati” (Rom. 8.30), e verso 33, “Chi farà accusa contro agli eletti di Dio?”; “In lui ci ha Dio eletti avanti la fondazione del mondo, acciocchè siamo santi, ed irreprensibili nel suo cospetto, in carità; avendoci predestinati ad adottarci per Gesù Cristo, a sè stesso, secondo il beneplacito della sua volontà” (Efe. 1:4,5); “Il qual ci ha salvati, e ci ha chiamati per santa vocazione; non secondo le nostre opere, ma secondo il proprio proponimento, e grazia, la quale ci è stata data in Cristo Gesù avanti i tempi de’ secoli” (2 Tim. 1.9).
(2) Questa elezione di certi individui alla vita eterna fu per la lode della gloria della grazia Divina. Questo è affermato esplicitamente, con molte parole, dall’apostolo (Efe. 1.5,6). La grazia, o puro favore, fu la causa impulsiva di tutto: fu il motore principale, che mise in moto tutte le ruote inferiori. Fu un atto di grazia in Dio scegliere qualcuno, quando invece Egli avrebbe potuto passare oltre a tutti. Fu un atto di grazia sovrana scegliere un uomo invece di un altro, quando entrambi erano ugualmente corrotti per natura, e ugualmente ripugnanti per il Suo dispiacere. In una parola, poiché l’elezione non dipende dalle opere, e non procede dal minimo riguardo verso il merito in coloro che ne sono l’oggetto, essa deve provenire dalla libera e imparziale grazia; ma l’elezione non è per le opere (Rom. 11.5,6), e quindi è unicamente per la grazia.
(3) Esiste, d’altra parte, una predestinazione di alcune persone in particolare alla morte. “Che se il nostro evangelo ancora è coperto, egli è coperto fra coloro che periscono” (2 Cor. 4.3). “I quali s’intoppano nella parola, essendo disubbidienti; a che ancora sono stati posti” (1 Pie. 2.8). “Ma costoro, come animali senza ragione, andando dietro all’impeto della natura, nati ad esser presi, ed a perire” (2 Pie. 2.12). “Perciocchè son sottentrati certi uomini, i quali già innanzi ab antico sono stati scritti a questa condannazione” (Gd. 4). “I cui nomi non sono scritti nel libro della vita, fin dalla fondazione del mondo” (Apo. 17.8). Ma di questi tratteremo espressamente, e più approfonditamente, nel quinto capitolo.
(4) Essi subiranno inevitabilmente questa morte futura, poiché, come Dio salverà con certezza tutti coloro che Egli vuole siano salvati, così Egli sicuramente condannerà tutti coloro che Egli vuole siano condannati; perché Egli è il Giudice di tutta la terra, i suoi decreti resteranno saldi, e alla cui sentenza non c’è appello. “Avrà egli detta una cosa, e non la farà? Avrà egli parlato, e non atterrà la sua parola?” E il Suo decreto è questo: che questi (ovvero, i non eletti, che sono lasciati sotto la pena dell’impenitenza finale, della mancanza di fede e del peccato) “E questi andranno alle pene eterne, e i giusti” ovvero, coloro che in conseguenza della loro elezione e unione in Cristo sono giustamente reputati e realmente costituiti tali, “nella vita eterna” (Mat. 25.46).
(5) I reprobi subiranno questa punizione giustamente e in ragione dei loro peccati. Il peccato è la causa immediata che provoca la condanna di un qualunque uomo. Dio condanna e punisce i non eletti, non semplicemente in quanto uomini, ma in quanto peccatori, e se fosse piaciuto al grande Governante dell’universo di impedire completamente l’ingresso del peccato nel mondo, Egli non avrebbe potuto, coerentemente con i Suoi attributi noti, condannare alcun uomo. Ma, poiché ogni peccato merita propriamente la morte eterna, e tutti gli uomini sono peccatori, coloro che sono condannati, sono condannati giustamente, e coloro che sono salvati, sono salvati per la sovrana misericordia mediante l’obbedienza e la morte vicaria di Cristo per essi.
Ora, questa duplice predestinazione, di alcuni alla vita e di altri alla morte (se può essere chiamata veramente duplice, perché si tratta delle parti costituenti del medesimo decreto), non può essere negata senza negare ugualmente (1) le più esplicite e frequenti dichiarazioni della Scrittura, e (2) l’esistenza stessa di Dio, perché, poiché Dio è un Essere perfettamente semplice, libero da ogni contingenza e composizione, e nondimeno la Scrittura insegna spesso riguardo alla Sua volontà di salvare alcuni e di punire altri, e Gli è similmente attribuito un inamovibile decreto di realizzare ciò in conseguenza della Sua volontà, e Gli è attribuita anche una perfetta preconoscenza della sicura e certa esecuzione di ciò che Egli ha così voluto e decretato; ne deriva che chiunque neghi questa volontà, decreto e preconoscenza di Dio, nega implicitamente e virtualmente Dio stesso, poiché la Sua volontà, il Suo decreto e la Sua preconoscenza non sono altro che Dio stesso che vuole, decreta e preconosce.
II. Noi affermiamo che Dio da tutta l’eternità decretò di creare l’uomo a Sua propria immagine, e decretò pure di consentire che egli cadesse da quell’immagine nella quale sarebbe stato creato, e in tal modo perdesse quella felicità di cui era stato insignito. Questo decreto e le sue conseguenze non erano limitate solo ad Adamo, ma includevano e si estendevano a tutta la sua discendenza naturale.
Si è già accennato in qualche misura a questo nel capitolo precedente, e ora procederemo a dimostrarlo.
(1) Che Dio creò l’uomo a Sua propria immagine è evidente dalla Scrittura (Gen. 1.27).
(2) Che Egli decretò dall’eternità di creare l’uomo in tal maniera è altrettanto evidente, poiché per Dio realizzare una qualunque cosa senza averla decretata, o aver stabilito un piano nella Sua mente, sarebbe un’esplicita contestazione della Sua sapienza, e se Egli decretasse ora, o in un qualunque tempo, ciò che non fu da sempre decretato, Egli non potrebbe essere immutabile.
(3) Che l’uomo veramente decadde dall’immagine Divina e dalla sua originale felicità è l’indiscusso messaggio della Scrittura (Gen. 3).
(4) Che egli cadde in conseguenza del decreto Divino, noi lo dimostriamo nel modo seguente: Dio voleva che Adamo cadesse, oppure non voleva, oppure era indifferente. Se Dio non avesse voluto che Adamo trasgredisse, come poté accadere ciò? Forse l’uomo è più forte e Satana più sapiente di Colui che li ha creati? Sicuramente no. Ancora, non poteva Dio, se così Gli fosse piaciuto, impedire che il tentatore entrasse nel paradiso? O creare l’uomo, come fece con gli angeli eletti, con una volontà determinata a compiere solo il bene e incapace d’essere indotta al male? O, infine, rendere la grazia e la forza di cui aveva dotato Adamo così efficaci da resistere a tutte le istigazioni al peccato? Nessuno se non gli atei risponderebbero al negativo a queste domande. Sicuramente, se Dio non avesse voluto la caduta, Egli avrebbe potuto impedirla, e senza dubbio l’avrebbe fatto; ma Egli non l’impedì: ergo, Egli volle così. E se Egli volle così, certamente lo decretò, perché il decreto di Dio non è altro che il sigillo e la ratifica della Sua volontà. Egli compie solo ciò che ha decretato, e non ha decretato nulla che non abbia voluto, e tanto la volontà quanto il decreto sono assolutamente eterni, sebbene la loro esecuzione avvenga nel tempo. L’unico modo per aggirare la forza di questo ragionamento è di dire che “Dio era indifferente e incurante che l’uomo cadesse o meno”. Ma in quale vergognosa, indegna luce questo rappresenta la Divinità! È possibile immaginare che Dio potesse essere un inerte, noncurante spettatore di uno degli eventi più importanti che mai siano avvenuti? Non sono forse “i capelli stessi del nostro capo tutti numerati?” O “il passero cade a terra senza il nostro Padre celeste?” Se, dunque, le cose più insignificanti e banali sono soggette alla decisione del Suo decreto e al controllo della Sua provvidenza, quanto maggiormente lo è l’uomo, il capolavoro di questa creazione inferiore? E soprattutto l’uomo Adamo, che quando era stato appena creato dalle mani del suo Creatore era l’immagine vivente di Dio Stesso, e di poco inferiore agli angeli! e dalla cui perseveranza dipendeva il benessere non solo suo, ma parimenti quello del mondo intero. Ma, tanto era lontano Dio dall’essere indifferente in tale questione, che non esiste nulla riguardo a cui Egli sia indifferente, perché Egli opera tutte le cose, senza eccezione, “secondo il consiglio della Sua volontà” (Efe. 1.11), e conseguentemente, se Egli vuole positivamente tutto ciò che viene realizzato, Egli non può essere indifferente rispetto a nulla. In sostanza, se Dio non avesse disapprovato che Adamo cadesse, Egli avrebbe dovuto volere che ciò avvenisse, poiché tra la volontà di Dio e la Sua disapprovazione non c’è intermedio. E non è ben razionale così come Scritturale, anzi, non è assolutamente necessario supporre che la caduta non fosse contraria alla volontà e alla determinazione di Dio? Poiché, se lo fosse, la Sua volontà (che l’apostolo rappresenta come irresistibile, Rom. 9.19) sarebbe stata chiaramente frustrata e la Sua determinazione resa più che inutile. Ed è ben facile osservare quanto disonorevole, quanto incoerente, e quanto scandalosamente sovversivo della dignità di Dio sarebbe una tale supposizione, e quanto inconciliabile con un qualunque Suo attributo.
(5) Che l’uomo con la sua caduta abbia perso la felicità di cui era stato fregiato è evidente sia dalla Scrittura che dall’esperienza (Gen. 3.7-24; Rom. 5.12; Gal. 3.10). Egli dapprima peccò (e l’essenza del peccato si trova nella disobbedienza al comando di Dio) e quindi divenne immediatamente miserabile, essendo la miseria per ordine Divino la compagna naturale e inseparabile del peccato.
(6) Che la caduta e le sue infauste conseguenze non terminarono unicamente in Adamo, ma coinvolsero tutta la sua discendenza, è la dottrina dei sacri oracoli (Salmo 51.5; Rom. 5.12-19; 1 Cor. 15.22; Efe. 2.3). Inoltre, la morte è il salario del peccato non solo spiritualmente ed eternamente, ma anche temporalmente (Rom. 6.23; Gm. 1.15), e tuttavia vediamo che milioni di bambini, i quali non commisero mai, né avrebbero potuto, alcun peccato nelle loro persone, muoiono incessantemente. Ne deriva o che Dio deve essere ingiusto nel punire gli innocenti, o che questi bambini sono creature colpevoli in un modo o nell’altro; se non sono tali in loro stessi (intendo effettivamente tali per aver compiuto il peccato), devono essere tali in qualche altra persona, e lasciamo che sia la Scrittura a dire chi sia codesta persona (Rom. 5.12,18; 1 Cor. 15.22). E, domando, come possono questi condividere equamente la punizione di Adamo se non sono imputabili del suo peccato? E come possono essere giustamente imputabili del suo peccato se egli non fosse stato il loro capo federale e rappresentante, e avesse agito in loro nome, e avesse condotto le loro persone nella caduta?
III. Affermiamo che come non tutti gli uomini sono eletti a salvezza, così non tutti gli uomini sono ordinati a condanna. Questo discende da quanto è stato già dimostrato; nondimeno, aggiungerò qualche ulteriore dimostrazione di queste due affermazioni.
(1) Non tutti gli uomini universalmente sono eletti a salvezza, e, primo, questo può evincersi a posteriori; è innegabile dalla Scrittura che Dio nell’ultimo giorno non salverà ogni individuo dell’umanità! (Dan. 12.22; Mat. 25.46; Gv. 5.29). Quindi, diciamo, Dio non ha mai inteso salvare ogni individuo, poiché, se l’avesse fatto, ogni individuo sarebbe e dovrebbe essere salvato, perché “il suo consiglio sarà stabile, ed compirà tutta la Sua volontà”. (Vedi quanto è stato già esposto su questo punto nel primo capitolo, al secondo articolo, posizione 8). Secondo, questo può essere desunto anche dalla preconoscenza di Dio. La Deità da tutta l’eternità, e di conseguenza nel momento stesso in cui infonde la vita e l’esistenza in un reprobo, preconosce e sa con certezza, come conseguenza del Suo stesso decreto, che una tale persona non raggiungerà la salvezza. Ora, se Dio preconosceva questo, deve averlo predeterminato, perché la Sua volontà è il fondamento dei Suoi decreti, e i Suoi decreti sono il fondamento della Sua prescienza; Egli dunque preconosceva gli eventi futuri perché con la sua predestinazione Egli aveva reso la loro eventualità certa e inevitabile. Né è possibile, per la natura stessa delle cose, che fossero eletti a salvezza, e la ottenessero, coloro di cui Dio preconosceva la perdizione, perché in tal caso l’atto con cui Dio tralasciò alcuni sarebbe mutevole, incerto e precario, la preconoscenza Divina sarebbe ingannata, e la volontà Divina impedita. Tutto ciò è assolutamente impossibile. Infine, che non tutti gli uomini sono scelti per la vita, né creati a quello scopo, è evidente dal fatto che esistono alcuni che erano odiati da Dio prima che nascessero (Rom. 9.11-13), “preparati per la perdizione” (ver. 22), e “fatti per il giorno del male” (Pro. 16.4).
Ma (2) non tutti gli uomini sono ordinati a condanna. Esistono alcuni che sono scelti (Mat. 20.16). Un’elezione, o numero eletto, che ottiene grazia e salvezza, mentre gli altri “sono induriti” (Rom. 11.7), un piccolo gregge, al quale il Padre per il suo beneplacito consegna il regno (Luca 12.32). Un popolo che il Signore ha preservato (Ger. 50.20) e formato per Sé Stesso (Isa. 43.21). Una stirpe particolarmente favorita, ai quali “è dato di conoscere i misteri del regno de' cieli”, mentre ad altri “non è dato” (Mat. 13.11), “un rimanente secondo l’elezione della grazia” (Rom. 11.5), che “Dio non ha destinato all’ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo di Gesù Cristo” (1 Tes. 5.9). In breve, sono “una generazione eletta; il real sacerdozio, la gente santa, il popolo d'acquisto; affinché proclamino le virtù di colui che li ha dalle tenebre chiamati alla sua maravigliosa luce” (1 Pie. 2.9), i cui nomi per quel fine “sono nel libro della vita” (Fili. 4.3) e scritti in cielo (Luca 10.20; Ebr. 12.23). Lutero osserva che in Romani 9, 10 e 11, l’Apostolo insiste in modo particolare sulla dottrina della predestinazione, “Perché” dice, “ogni cosa sorge e dipende dall’ordine Divino, con il quale fu preordinato chi dovesse ricevere la parola di vita e chi non dovesse credervi, chi dovesse essere liberato dai propri peccati e chi dovesse esservi indurito, chi dovesse essere giustificato e chi condannato”.
IV. Affermiamo che il numero degli eletti, e pure quello dei reprobi, è così fisso e determinato che non può essere né aumentato né diminuito. È scritto che Dio “conta il numero delle stelle e le chiama tutte per li nomi loro” (Sal. 147.7). Ora, che l’onnisciente Dio ignori i nomi e il numero delle creature razionali che Egli stesso ha creato è tanto incompatibile con l’infinita sapienza e conoscenza quanto ignorare da parte Sua le stelle e gli altri prodotti inanimati della Sua infinita potenza, e se Egli conosce tutti gli uomini in generale, presi in massa, si può ben dire, in un senso più definito e speciale, che Egli conosce coloro che sono Suoi per l’elezione (2 Tim. 2.19). E se Egli conosce quanti sono Suoi, Egli deve, di conseguenza, conoscere quanto non sono Suoi, ovvero, quali e quanti Egli ha lasciato nella massa corrotta affinché fossero giustamente puniti per i loro peccati. Si ammetta questo (e chi potrebbe non ammettere una verità tanto evidente?), e ne discenderà che il numero, sia degli eletti che dei reprobi, è fisso e certo; altrimenti si potrebbe dire che Dio conosce ciò che non è vero, e che la Sua conoscenza deve essere falsa e ingannevole, e quindi non sarebbe affatto conoscenza, perché ciò che per natura non è altro che, al massimo, precario, non può mai essere il fondamento di una sicura e infallibile conoscenza. Ma che Dio conosca con precisione chi fra gli uomini è o non è oggetto del favore della Sua elezione è evidente da Scritture come queste: “Tu hai trovata grazia davanti agli occhi miei, e io ti ho conosciuto per nome” (Eso. 33.17). “Io ti ho conosciuto, avanti che ti formassi nel ventre” (Ger. 1.5). “I vostri nomi sono scritti ne’ cieli” (Luca 10.20). “I capelli del vostro capo son tutti annoverati” (Luca 12.7). “Io so quelli che io ho eletti” (Gv. 13.18). “Conosco le mie pecore, e son conosciuto dalle mie” (Gv. 10.14). “Il Signore conosce que’ che son suoi” (2 Tim. 2.19). E se il numero di codesti è stabilito con tanta fermezza, ne deriva che abbiamo ragione ad affermare:
V. Che i decreti d’elezione e riprovazione sono immutabili e irreversibili. Se così non fosse:
(1) I decreti di Dio sarebbero precari, vani e incerti, e di conseguenza, non sarebbero affatto decreti.
(2) La sua preconoscenza sarebbe incerta, indeterminata, e soggetta alla delusione, mentre invece essa ha sempre il suo compimento, e desume necessariamente la certa realizzazione futura della cosa o delle cose preconosciute: “Ricordatevi delle cose di prima, che furono già ab antico; perciocchè io sono Iddio, e non vi è alcun altro Dio, e niuno è pari a me; che annunzio da principio la fine, e ab antico le cose che non sono ancoro fatte; che dico: Il mio consiglio sarà stabile, ed io metterò ad effetto tutta la mia volontà” (Isa. 46.9,10).
(3) Neppure la Sua Parola sarebbe vera, quando dichiara, riguardo agli eletti, che “i doni, e la vocazione di Dio son senza pentimento” (Rom. 11.29); “coloro ch’egli ha predestinati… essi ha eziandio glorificati” (Rom. 8.30); che coloro che egli amava, li amò fino alla fine (Gv. 13.1), insieme ad innumerevoli passi dello stesso tono. La Sua Parola non sarebbe vera neppure riguardo ai non eletti se fosse possibile per essi essere salvati, perché viene dichiarato che essi sono preparati per la perdizione (Rom. 9.22); preordinati alla condanna (Gd. 4), e abbandonati ad una mente reproba affinché siano condannati (Rom. 1.28; 2 Tes. 2.12).
(4) Se tra gli eletti e i reprobi non esistesse un abisso così grande che nessuno dei due può essere altrimenti di ciò che è, la volontà di Dio (che da sola è la causa per cui alcuni sono eletti e altri non lo sono) sarebbe resa inefficace e di alcun effetto.
(5) Né potrebbe la giustizia di Dio rimanere salda se Egli dovesse condannare gli eletti, per i cui peccati Egli ha ricevuto ampia soddisfazione per mano di Cristo, o se dovesse salvare i reprobi, i quali non sono partecipi di Cristo come lo sono invece gli eletti.
(6) La potenza di Dio (con la quale gli eletti sono preservati dal cadere in una condizione di condanna, e i malvagi sono serbati e messi a tacere in una condizione di morte) sarebbe in tal modo elusa, per non dire abolita completamente.
(7) Né Dio sarebbe immutabile se coloro che erano prima il popolo che Egli amava, potessero cominciare ad essere oggetto del Suo odio, o se i vasi della Sua Ira potessero essere salvati insieme ai vasi di grazia. Per questo Agostino scrive, “Fratelli, non immaginiamo che Dio scriva il nome di un uomo nel Suo libro e poi lo cancelli, perché se Pilato poteva dire, ‘Quanto ho scritto, ho scritto,” come si può pensare che il sommo Dio possa scrivere il nome di una persona nel libro della vita e poi cancellarlo?” E non possiamo noi, con uguale ragione, chiedere, d’altra parte, “Come si può pensare che uno qualunque dei reprobi possa essere scritto nel libro della vita, che contiene i nomi dei soli eletti, o che qualcuno possa esservi iscritto senza essere scritto dall’eternità insieme ai viventi?” Concluderò questo capitolo con il commento di Lutero: “Questo,” dice, “è ciò che demolisce la dottrina del libero arbitrio dalle sue fondamenta, ovvero, che l’amore eterno di Dio per alcuni uomini e l’odio per altri sia immutabile e non possa essere ribaltato”. Sia l’una che l’altra volontà hanno la propria completa realizzazione.