La questione del copricapo al culto

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La questione del copricapo nel culto cristiano: è molto più importante ciò che si ha nella testa che sulla testa!

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Il criterio del Sola Scriptura

Il principio che definisce e regola il Cristianesimo riformato è che la nostra fede e la nostra condotta deve essere in armonia con l'insegnamento delle Sacre Scritture, che noi confessiamo essere autorevole Parola di Dio. Esse sono il documento fondamentale rispetto al quale va costantemente verificata e conformata ogni espressione della nostra vita, sia a livello individuale che come popolo di Dio nel suo insieme.

Riconciliati con Dio tramite l'opera salvifica di Gesù Cristo, noi stabiliamo un rapporto vivente con Lui che trova nel culto personale e comunitario la sua espressione di base. Nemmeno il modo con il quale ci rapportiamo a Dio nel culto non è lasciato, però, al nostro arbitrio o "spontaneità", ma è sovranamente regolato da Dio stesso nella Sua Parola. Noi non siamo liberi di rendere culto a Dio nel modo che ci sembra più opportuno, giusto o conveniente, né il nostro culto può semplicemente ricalcare le nostre tradizioni religiose o culturali. Così come le Sacre Scritture, in quanto cristiani, sono la regola del contenuto della nostra fede e della nostra condotta morale, così esse devono essere la regola della nostra prassi cultuale.

Al riguardo del culto che Gli è dovuto, Dio dice: "Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai" (Deuteronomio 12:32). Il culto di Dio è cosa tanto seria che Dio soltanto ne pone le regole. A nessuno è consentito aggiungere o togliere da ciò che Dio ha prescritto. Non è consentito alla chiesa di introdurre "innovazioni" oppure creare nuovi stili, forme o ordinanze del culto, ma semplicemente vedere ciò che Dio ha dichiarato nella Sua Parola ed ubbidirvi. Essa non ha potere discrezionale, ma solo ministeriale e dichiarativo.

La regola del culto

Questo è ciò che chiamiamo "il principio regolatore del culto": tutto ciò che sia il singolo credente e che la comunità cristiana fa durante il culto deve essere autorizzato e comprovato dall'insegnamento della Bibbia. Questo può essere appreso o da un comando esplicito (n1), oppure può esserne dedotto in modo naturale dal complesso delle Sacre Scritture. Anche quando, cioè, non vi sia al riguardo un esplicito comando, noi ne ricaviamo l'insegnamento autorevole attraverso un esempio storico ivi contenuto (n2), oppure, tramite il confronto fra diversi brani, noi troviamo come essi insegnino o presuppongano una certa pratica che così consideriamo normativa.

Per il Cristianesimo riformato, quindi, sono le Sacre Scritture a prescrivere l'intero contenuto del culto, vale a dire, tutti gli elementi o parti del culto devono essere prescritti da Dio stesso nella Sua Parola. Regolando ogni aspetto del culto, Dio stesso ci protegge, così, dai pericoli, sempre in agguato, dell'idolatria (spesso al di là della nostra ingenua consapevolezza), e garantisce la nostra libertà da tradizioni umane e da manipolazioni di qualsiasi natura.

Questo principio ha uguale applicazione sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, ed è universale nel fatto di regolare ogni tipo di culto, sia pubblico, privato o di famiglia.

La distinzione fra ordinanze e circostanze

Quando il principio regolatore del culto afferma che l'intero contenuto del culto, vale a dire, tutti gli elementi o parti del culto devono essere prescritti da Dio stesso nella Sua Parola, esso opera una distinzione fra ordinanze (prescritte) e circostanze (non prescritte).

Le circostanze del culto non si riferiscono al suo contenuto, ma alle condizioni, situazioni o contesto sociale, storico e culturale in cui esso avviene. Sono variabili, contestuali e quindi non normative. Dobbiamo saperle distinguere quando dobbiamo stabilire ciò che sia da considerarsi normativo e ciò che sia da considerarsi circostanziale, assoluto e relativo.

Le ordinanze normative del culto includono: la lettura e predicazione della Parola di Dio, la preghiera rivolta a Dio, il canto della Parola di Dio, in particolare dei Salmi, la celebrazione dei sacramenti, la raccolta delle offerte. Il culto deve avere questi elementi e da esso si deve escludere tutto ciò che non sia espressamente comandato, deducibile o esemplificato nell'insegnamento dell'intera Bibbia interpretata secondo i parametri del Nuovo Testamento.

Le circostanze del culto sono diverse. Se, ad esempio, il culto si debba svolgere all'aria aperta o in un edificio, e in quale tipo di edificio è una questione circostanziale. Se i fedeli si debbano sedere su sedie, banchi, davanti al predicatore o a circolo è una questione circostanziale. Secondo il principio regolatore del culto, esso deve avvenire nel giorno del Signore, ma non dice a che ora debba svolgerci o quanto a lungo debba durare il tutto o le sue parti. Questo dipende dalle opportunità, dal senso comune, da varie considerazioni che comunque devono rispettare i principi generali della Scrittura. Allo stesso modo quale posizione debbano assumere i fedeli nella preghiera, se in ginocchio, in piedi, con le mani giunte o elevate verso il cielo, è una questione circostanziale legata alla cultura e non normativa. A questo riguardo, benché nella Bibbia, ad esempio, si faccia riferimento alla preghiera "con le mani alzate" (n3) al cielo, benché nel contesto di un espresso comando apostolico, la cosa non è "obbligatoria", ma può essere fatta o non fatta a discrezione del credente considerando se la cosa sia o non sia opportuna secondo i principi generali della Parola di Dio. Allo stesso modo è circostanziale il "come vestirsi" quando si partecipa al culto, se, ad esempio, con "gli abiti della festa" oppure quelli di tutti i giorni. In questo caso il credente può voler portare gli abiti migliori per onorare Dio o per sottolineare l'importanza dell'avvenimento, ma la cosa non è normativa. In questa prospettiva è pure da considerarsi circostanziale e relativa al contesto culturale del tempo la discussa questione se al culto l'uomo debba avere il capo scoperto, e la donna coperto da un velo.

A capo scoperto o coperto?

Che al culto l'uomo debba avere il capo scoperto e la donna il capo coperto da un velo è un'antica usanza portata avanti con maggiore o minore coerenza dalle chiese cattolica e dall'ortodossia orientale, come pure da alcune chiese evangeliche.

Si dice che questa usanza risponda ad un preciso comando dell'apostolo Paolo e che quindi sia da considerare normativa per la chiesa di ogni tempo e paese. Il cuore della controversia, per quanto riguarda 1 Corinzi 11:2-6 è se si tratti di un principio morale permanente per la chiesa di ogni tempo e paese, oppure dell’applicazione di un principio generale ad una situazione particolare. Il cuore della controversia, per quanto riguarda 1 Corinzi 11:2-6 è se si tratti di un principio morale permanente per la chiesa di ogni tempo e paese, oppure dell’applicazione di un principio generale ad una situazione particolare.

Quando si considera un qualsiasi testo della Bibbia, è particolarmente importante interpretarlo comprendendo chiaramente il contesto in cui appare, come pure rapportarlo in modo coerente con il resto della rivelazione di Dio nelle Sacre Scritture.

Il testo al quale ci si riferisce è il seguente:

"(2) Ora vi lodo perché vi ricordate di me in ogni cosa, e conservate le mie istruzioni come ve le ho trasmesse. (3) Ma voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l'uomo, e che il capo di Cristo è Dio. (4) Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto fa disonore al suo capo; (5) ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa. (6) Perché se la donna non ha il capo coperto, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se per una donna è cosa vergognosa farsi tagliare i capelli o radere il capo, si metta un velo. (7) Poiché, quanto all'uomo, egli non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell'uomo; (8) perché l'uomo non viene dalla donna, ma la donna dall'uomo; (9) e l'uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. (10) Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità. (11) D'altronde, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo senza la donna. (12) Infatti, come la donna viene dall'uomo, così anche l'uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio. (13) Giudicate voi stessi: è decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto? (14) Non vi insegna la stessa natura che se l'uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore? (15) Mentre se una donna porta la chioma, per lei è un onore; perché la chioma le è data come ornamento. (16) Se poi a qualcuno piace essere litigioso, noi non abbiamo tale abitudine; e neppure le chiese di Dio" (1 Corinzi 11:2-16).

Nella prospettiva riformata, ci chiediamo così, la presenza o assenza di un copricapo al culto è da considerarsi un'ordinanza oppure una circostanza? Si tratta di un elemento normativo oppure il suo uso o non uso dipende da considerazioni circostanziali. Siamo dell'avviso che il copricapo non sia un'ordinanza perenne del culto che a Dio è dovuto, ma una circostanza e che quindi non possa essere inteso come normativo per i cristiani di ogni tempo e paese. Quanto segue ne spiega le ragioni.

Il contesto di 1 Corinzi 10-14

Per comprendere quando l’Apostolo afferma sulla questione del velo è necessario inquadrarla nel contesto della 1 Corinzi, lo svolgersi degli argomenti che vi conducono, in particolare la questione delle carni offerte agli idoli e la Cena del Signore.

Le carni offerte agli idoli

In 1 Corinzi 10:23 Paolo afferma: “Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica”. Egli poi procede ad insegnare ai cristiani di Corinto ed alla chiesa nel suo complesso che la liceità di nutrirsi di carne offerta ad idoli dipende dalle circostanze del caso. Nutrirsi di tali carni in un tempio pagano dove questo assume significato religioso è sicuramente un reprensibile atto di idolatria. Però, quando questa stessa carne perde il suo significato religioso e la si mangia perché in qualche modo risulta conveniente acquistarla, è legittimo, a meno che il farlo non scandalizzi fratelli e sorelle nella fede. Paolo, così, dà alla chiesa dei principi affinché ciascun credente giudichi da sé stesso se la cosa sia o non sia conveniente a seconda delle circostanze.

La Cena del Signore

Mettendo da parte per un attimo 1 Corinzi 11:2-16, dobbiamo ora considerare il contesto e le istruzioni dell’Apostolo al riguardo della Cena del Signore (1 Corinzi 11:17-34). E’ chiaro dal contesto del rimprovero di Paolo che i cristiani di Corinto erano colpevoli di comportarsi disordinatamente durante la celebrazione della Cena del Signore. In quella circostanza alcuni persino si ubriacavano, altri non attendevano, prima di iniziare che l’intera comunità si riunisse e, in generale, com’era da aspettarsi con tali comportamenti egoistici, tutto questo causava confusione e scandalo nella chiesa. Paolo, così, li istruisce sul come ristabilire ordine e pietà nella celebrazione di questa ordinanza.

Paolo dà le seguenti parole di istruzione: "Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio. Quanto alle altre cose, le regolerò quando verrò".

Ancora, in maniera simile alle preocccupazioni di Paolo nel mantenere ordine, pietà, decoro ed evitare ogni scandalo in 1 Corinzi 10 (al riguardo delle carni offerte agli idoli), Paolo istruisce i cristiani di Corinto sul come essi dovessero ordinare le circostanze che circondano la celebrazione della Cena del Signore. Egli insegna loro che è offensivo e divisivo non attendersi l’un l’altro e che se la ragione è non aspettare perché si ha fame, allora sarebbe stato meglio mangiare qualcosa a casa prima di venire. Anche se queste particolari circostanze non riguardano più noi nelle nostre attuali circostanze questo testo ci insegna ad osservare il principio che in un un contesto pubblico noi non si debba comportarci in modo da causare scandalo o riprensione non necessaria.

I doni spirituali

Nei capitoli 12, 13 e 14 l’Apostolo mette ancora l’accento sull’importanza dell’unità e dell’edificazione nella Chiesa di Cristo, in particolare nel non far uso dei doni spirituali in maniera disordinata ed offensiva, cosa che non edifica il corpo, causando contese e divisioni.

Il punto che vogliamo qui affermare è questo: in 1 Corinzi 10-14 Paolo fornisce principi generali di buon ordine, vale a dire, che la Chiesa di Corinto si comporti in maniera edificante e non offensiva.

Il tema generale e la sequenza degli argomenti è chiaro: Paolo fa uso di circostanze specifiche e questioni che i cristiani di Corinto dovevano affrontare allora per insegnare loro come applicare principi di pietà per limitare al minimo occasioni di scandalo e promuovere amore, edificazione ed unità. Le carni sacrificate agli idoli è questione certamente limitata a quel tempo e cultura, come l’errore di ubriacarsi durante la celebrazione della Cena del Signore e l’espressione caotica e disordinata dei dei doni profetici. Benché per noi, nella nostra cultura, non sia più generalmente rilevante la questione della carne sacrificata agli idoli, di gente che si ubriaca alla Cena del Signore o dell’abuso dei doni profetici, continua a valere il principio che noi si debba fare ogni cosa in modo sobrio, pacifico, ordinato e per l’edificazione di tutti (credenti e non credenti), non dando ad alcuno motivo di scandalo o di riprensione non necessaria.

Il coprirsi il capo

Continuando ad attenerci a questo contesto, noi crediamo che Paolo, in 1 Corinzi 11:2-16 continui sulla stessa linea della sua argomentazione di fondo. Egli menziona la pratica di coprirsi il capo come qualcosa di culturalmente accettabile ai Corinzi e cerca di insegnare loro che, anche in questo campo, essi, quando vengono al culto, non debbano creare scandalo e suscitare contese e divisioni sovvertendo le usanze del posto. Al riguardo della questione del coprirsi il capo egli applica lo stesso principio insegnato sia prima che dopo il testo sul coprirsi il capo. Di fatto egli dice: non alterate l’ordine stabilito di queste circostanze quando vi accorgete che, così facendo, voi rischiate di creare inutile scandalo distruggendo l’unità della chiesa. Non siate contenziosi su questo argomento, al contrario, nel vostro attuale contesto culturale, fate ciò che edifica e che promuova l’unità.

Usanze legittime ma relative

Al vers. 16 l'apostolo scrive "noi non abbiamo tale abitudine". A quale "abitudine" si riferisce? Nella traduzione italiana sembrerebbe l'abitudine di "essere litigiosi". Verosimilmente pero intende "Noi non abbiamo l'abitudine che noi o le chiese di Dio le donne preghino a capo scoperto". Potrebbe essere la risposta alla domanda del v. 13 "E decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto?". Il termine "abitudine" in greco e "sunetheia" e si traduce pure "usanza".

Paolo si riferisce al copricapo femminile come ad un'usanza comune nel mondo ellenista di allora, cosi come lo erano i capelli corti dei maschi e lunghi per le femmine. Presso altre culture vi erano usanze diverse e persino opposte a queste. Le usanze sono relative ad una certa cultura e non universali. Non sono la stessa cosa di un mandato divino, una pratica di culto stabilita e regolata autorevolmente dalle Scritture. Contestare un'usanza culturale senza motivo avrebbe creato confusione, disordine e scisma. Laddove non contraddice la legge morale di Dio anzi puo' servire per evidenziarla, essa puo e deve essere accettata, ma si tratta di uba semplice usanza, qualcosa di non assolutizzabile. In altri contesti culturali la cosa puo essere diversa. Usanza, abitudine, non e comandamento. Ci si deve cosi chiedere che cosa in un determinato contesto possa meglio evidenziare il principio biblico. Non necessariamente le differenze fra i generi devono essere segnalate dalla presenza o assenza di un copricapo. I Corinzi trasgredivano i segni che nella loro cultura segnalavano la differenza ed i ruoli fra i sessi e cosi facendo comunicavano alla loro societa un messaggio equivoco o persino cosi facendo davano scandalo. Per questo motivo dovevano rispettare le usanze della loro cultura. Questo, pero, non vale necessariamente per noi negli stessi termini. Paolo fa cosi una distinzione fra abitudine o usanza e tradizione apostolica normativa.

Paolo, così, in questo testo, non sta trattando dell’argomento della natura morale di avere il capo coperto o scoperto durante il culto. Al contrario, egli tratta degli effetti distruttivi che un certo comportamento avrebbe sull’unità e sulla pace della chiesa nel contesto culturale di Corinto.

Altre questioni culturali nel Nuovo Testamento

Che nella Scrittura si debbano sempre attentamente considerare le distinzioni culturali può essere dimostrato anche da diverse altre questioni similari. Si considerino i seguenti due obblighi scritturali che chiaramente sono legati al contesto culturale in cui sono stati espressi, vale a dire la questione della lavanda dei piedi e del bacio santo.

L’obbligo di lavarsi vicendevolmente i piedi

Nella notte in cui Gesù istituisce la Cena del Signore, Egli dà ai Suoi discepoli una lezione dimostrativa sul servizio fraterno: Lui, il loro Maestro, si umilia e lava loro i piedi. “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io”.

Forse che è ora un obbligo per tutti i cristiani di ogni tempo e paese lavarsi vicendevolmente i piedi? Oppure si sono considerazioni culturali di quel tempo nella storia che ci aiutano a comprendere quesy’obbligo dato da Cristo ai Suoi discepoli?

Era di fatto il ruolo del servo quello di lavare in acqua fresca i piedi polverosi e stanchi del padrone e della padrona di casa, come pure quello degli ospiti. Sebbene il Signore autorizzi i Suoi discepoli a lavarsi i piedi l’un l’altro come atto appropriato in quel contesto culturale, noi non crediamo che nella nostra società noi si abbia attualmente l’obbligo di praticare quella specifica usanza culturale. Noi riconosciamo esservi un principio morale (di servizio umile e disinteressato) che stia dietro quella pratica che noi dobbiamo continuare ad esemplificare nella nostra vita come ministri e discepoli di Cristo. Il Signore qui illustra il dovere morale che incombe su tutti coloro che governano la Sua Chiesa di essere, nella cura che hanno degli altri, i più grandi servitori di tutti. La pratica letterale della lavanda dei piedi aveva significato culturale per coloro che vivevano nel mondo antico, ma non ha alcun reale significato per colorto che vivono nel mondo occidentale del XXI secolo. Forse il nostro equivalente più stretto alla lavanda dei piedi è offrire ospitalità e servire rinfreschi a chi ci fa visita in casa.

E’ pure interessante notare che questa non è l’unica volta nel uovo Testamento che si faccia menzione della lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi era un tale atto significativo nella Chiesa apostolica che essa assumeva la caratteristica di una delle “buone opere” che la chiesa doveva praticare nel designare quelle donne che dovevano ricevere supporto economico da parte della chiesa. “La vedova sia iscritta nel catalogo quando abbia non meno di sessant'anni, quando è stata moglie di un solo marito, quando è conosciuta per le sue opere buone: per aver allevato figli, esercitato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti, concorso a ogni opera buona” (1 Timoteo 5:9-10).

Vi sono alcune chiese che hanno fatto della lavanda dei piedi un’ordinanza da osservare ogni qual volta celebrano la Cena del Signore. a vasta maggioranza delle chiese cristiane, però, comprende correttamente la lavanda dei piedi come una pratica legata solo alla cultura del tempo. Noi riconosciamo come la lavanda dei piedi sia stata autorizzata da Cristo (in Giovanni 13:14-15) e raccomandata dall’apostolo Paolo (in 1 Timoteo 5:9-10), e che essa significa il principio morale del servizio fraterno. Noi riconosciamo però anche che la lavanda dei piedi non sia qualcosa a cui si debba essere universalmente legati, ma un principio morale inalterabile di servizio.

Allo stesso modo noi riconosciamo che uomini e donne non siano universalmente tenuti ad usanze culturali alterabili di scoprirsi o coprirsi il capo, ma piuttiosto al principio morale inalterabile della conduzione maschile in Cristo e della rispettosa sottomissione delle donne nel Signiore nell’ambito delle assemblee della chiesa.

L’obbligo di salutarsi l’un l’altro con un santo bacio

Vi sono tre luoghi nel Nuovo Testamento dove troviamo l’imperativo di salutarsi l’un l’altro con un santo bacio. “Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio” (Romani 16:16); “Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio” (1 Corinzi 16:20); “Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio” (2 Corinzi 13:12).

In un altro brano, l’imperativo del “santo bacio” è esteso fino ad includere “tutti i fratelli”. “Salutate tutti i fratelli con un santo bacio” (1 Tessalonicesi 5:26).

Si potrebbe sollevare la stessa questione dell’obbligo del “bacio santo” così com’è sollevata dalla lavanda dei piedi. E’ forse anche questo un obbligo a cui sono tenuti tutti i cristiani di ogni tempo e paese? Oppure vi sono considerazioni culturali a quel tempo della storia che ci aiutano a comprendere quest’obbligo dato dall’apostolo Paolo alle chiese di Roma, Corinto e Tessalonica?

Ancora, è generalmente riconosciuto come la pratica del “bacio santo” non fosse pratica esclusiva dei cristiani, ma un’espressione culturale di amicizia nella società più vasta. Essendo questo il caso, non dobbiamo artificialmente legarci a questa pratica culturale come se fosse necessaria fra i credenti del mondo occidentale nel XXI secolo. L’equivalente culturale predominante del “bacio santo” è una santa stretta di mano, oppure di un santo abbraccio. Forse che questo sarebbe un allontanarsi dall’espressione fattiva di un santo bacio come comandato da Paolo ed una violazione della Parola di Dio? Ancora, noi non comprendiamo di essere legati da questa specifica usanza culturale, sebbene ne comprendiamo il principio morale (manifestare l’amore cristiano) che sottosta a quella pratica che, di fatto, non costituisce un obbligo. Allo stesso modo noi riconosciamo che uomini e donne non sono universalmente legati ad usanze alterabili culturali di scoprirsi o coprirsi il capo, ma al principio morale della legittima autorità e sottomissione nella chiesa.

Preservare ed evidenziare un principio

Se consideriamo sommariamente il brano stesso di 1 Corinzi 11:2-16 diventa evidente come, per comprenderne la valenza, sia significativo il contesto culturale in cui si pone. Se la copertura del capo dovesse essere considerata nello stesso modo della lavanda dei piedi e del santo bacio, come pure il buon ordine da osservare al riguardo delle carni sacrificate agli idoli e la Cena del Signore, allora Paolo sta istruendo i cristiani di Corinto al riguardo del principio morale permanente dell’ordine e del decoro appropriato fra l’autorità maschile e la sottomissione femminile nel culto pubblico nel quadro dell’espressione culturale appropriata familiare alla società di Corinto.

Così, quando Paolo si appella all’ordine “gerarchico” in 1 Corinzi 11:3 (“Ma voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l'uomo, e che il capo di Cristo è Dio”), egli comincia con il presentare il principio morale inalterabile della leadership maschile e della sottomissione femminile. Questa, di fatto, era la verità che veniva negata quando gli uomini si coprivano il capo e le donne se lo scoprivano, contrariamente all’usanza culturale accettata a Corinto. Lo scoprirsi dell’uomo ed il coprirsi della donna erano semplicemente espressioni culturali esteriori di quest’ordine rivelato di leadership (simile al segno culturale esteriore del santo bacio che significava la verità rivelata dell’amore fraterno).

Paolo, inoltre, rende chiaro ai Corinzi (in 1 Corinzi 11:4-5) che quando gli uomini coprono il loro capo e le donne se lo scoprono nel culto pubblico, essi portano vergogna a sè stessi qualora invertissero le usanze convenzionali appropriate per gli uomini e le donne comuni a Corinto. “Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto fa disonore al suo capo; ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa”.

Allo stesso modo, se i credenti a Corinto si fossero rifiutati di salutarsi vicendevolmente con un santo bacio, questo sarebbe equivalso a negare il principio inalterabile dell’amore fraterno ed avrebbe comportato grande vergogna sul loro capo per essersi rifiutati di fare quel che persino i pagani facevano l’un l’altro come espressione culturale del loro amore. Notiamo pure come il "santo bacio" livellasse le classi sociali. Un padrone che bacia il proprio schiavo era sicuramente un atto rivoluzionario!

Lo stesso principio morale (quello dell’autorità maschile e della sottomissione femminile) è insegnato sulla base dell’ordine della creazione in 1 Corinzi 11:7-9. Noi crediamo che se l’attuale nostra cultura usa abitualmente segni maschili/femminili per esprimere l’ordine dei generi, sarebbe necessario che noi li seguissimo. Se, però, il coprirsi il capo non fosse solo un fatto culturalmente rilevante, ma piuttosto (come alcuni affermano) un regolamento divino richiesto nel culto pubblico per ogni tempo e paese basato sulle leggi di natura e sull’ordine della creazione, ci aspetteremmo di trovare evidenza di questo nell’Antico Testamento. Ci aspetteremmo di trovare il coprirsi il capo stabilito nel Giardino dell’Eden come ordinanza della creazione. L’evidenza, però, è contraria, perché Genesi 2:25 insegna non solo come Eva non portasse un copricapo, ma che fosse nuda! Se la nudità fosse segno perenne dello stato di grazia, non dovremmo forse, per assurdo, praticarla? Infatti, “L'uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna”.

Non troviamo la regola corinzia del coprirsi il capo come insegnata per il culto pubblico nell’Antico Testamento. Di fatto, per certo uomini che avevano un incarico ufficiale, era vero l’esatto opposto. I sommi sacerdoti dovevano coprirsi il capo in Levitico 8:9 in contrasto questo alle istruzioni di Paolo che gli uomini nel culto avessero il capo scoperto: “Poi gli mise in capo il turbante e sul davanti del turbante pose la lamina d'oro, il santo diadema, come il SIGNORE aveva ordinato a Mosè”.

Allo stesso modo i sacerdoti dovevano coprirsi il capo in Ezechiele 44:18, contrariamente alla regola di Paolo in 1 Corinzi 11:4. “Avranno in capo tiare di lino e mutande di lino ai fianchi; non indosseranno indumenti che fanno sudare”.

Consideriamo questa prova come evidenza sufficiente che la pratica del coprirsi il capo di 1 Corinzi 11:2-16 non può essere un requisito morale inalterabile basato sull’ordinamento creazionale, la legge di natura, o le regole del culto nell’Antico Testamento.

Paolo fa uso di ogni argomento a sua disposizione per dimostrare la condotta disordinata e non appropriata delle donne che (in quel contesto culturale) si scoprivano il capo nel culto pubblico. Persino gli angeli, che approvano il buon ordine, piuttosto che la confusione nel culto, diventano la ragione per la quiale queste donne dovevano coprirsi ilò capo in sintonia con la pratica prevalente delle donne a Corinto. "Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità” (1 Corinzi 11:10).

Se Paolo può rivolgersi alla condotta disordinata dei Corinzi nell’uso dei doni spirituali attirando l’attenzione sul fatto che “perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace, come si fa in tutte le chiese dei santi” (1 Corinzi 14:33), allora egli può pure rivolgersi alla condotta disordinata delle donne che hanno rimosso il segno culturale della loro sottomissione, rammentando loro dell’ordine esteriore e sottomissione di cui gli angeli stessi si rallegrano. Paolo solleva una domanda retorica in 1 Corinzi 11:13: “Giudicate voi stessi: è decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto?”.

Ci chiediamo, così: se Paolo stava comandando ai Corinzi ed alla chiesa di ogni tempo e paese di ubbidire ad un’inalterabile legge di Dio, senza considerare tempi e cultura, che cosa allora egli stava chiamando le persone a giudicare da loro stessi? Li stava forse incoraggiando a giudicare da sé se i comandamenti inalterabili di Dio fossero giusti? No, non poteva quello essere il caso, perché noi non dobbiamo "giudicare" i comandamenti di Dio, ma dobbiamo adorarlo ed ubbidirgli! Se qualcuno rispondesse: “Paolo stava chiamando le persone a giudicare secondo la legge di Dio scritta nel loro cuore, secondo le leggi di natura”, noi replicheremmo: Forse che la luce della natura nell’essere umano decaduto insegna i principi secondo i quali i generi devono comportarsi al culto? Specificatamente, forse che tutti i pagani intuitivamente comprendono come sia peccaminoso per una donna pregare Dio a capo scoperto ed un uomo a capo coperto? Se è così, dove sono le prove di questo? Al contrario, troviamo al riguardo le pratiche più diverse e contraddittorie. In un’epoca il coprirsi significa sottomissione, in un’altra significa l’esatto opposto - vale a dire autorità. Paolo stava così chiamando i Corinzi a giudicare secondo un’uniforme luce di natura in una terra pagana? No.

Che cosa stava chiedendo che giudicassero? Dovevano giudicare se, nelle circostanze culturali di quel tempo, fosse appropriato per una donna pregare in pubblico con il capo scoperto. Questo poteva essere giudicato facilmente e per i Corinti era una questione rilevante a cui rispondere. Tutto ciò che dovevano fare per rispondervi era guardare a ciò che era appropriato nella loro cultura e rispondervi di conseguenza.

Una delle obiezioni più forti contro l’interpretazione culturale di 1 Corinzi 11:2-16 si afferma trovarsi in 1 Corinzi 11:14: “Non vi insegna la stessa natura che se l'uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore?”. A che tipo di natura Paolo sta pensando? Alla luce inalterabile della natura scritta nei nostri cuori?

L’apostolo Paolo considera “natura” ciò che è convenevole ed appropriato in una particolare cultura (basta che non contraddica la legge morale di Dio che in ogni caso ha la priorità). Le acconciature sia di uomini che di donne divergono grandemente da cultura a cultura, e ciò che è appropriato in una può essere l’esatto opposto nell’altra. In certe culture i capelli lunghi sono appropriati per gli uomini, mentre corti o rasati quelli delle donne. Gli usi e i costumi divergono anche a seconda della classe di appartenenza. Presso i Greci dell’età arcaica i capelli lunghi erano privilegio delle classi elevate e non vi erano sostanziali differenze fra le acconciature dei due sessi: i capelli, arricciati artificialmente, ricadevano sulle spalle, trattenuti da nastri e diademi. In epoca classica ed ellenistica per gli uomini prevalse l’uso dei capelli corti; le donne usavano nastri, bende e diademi per raccogliere i capelli sulla nuca o sul capo. La varietà delle acconciature e degli ornamenti era caratteristica delle Ateniesi, che inoltre si tingevano i capelli con polveri e pigmenti. I Romani ignorarono a lungo le raffinatezze della pettinatura e fu solo con il diffondersi dei costumi greci che gli uomini iniziarono a tenere i capelli corti e a farseli arricciare, e le donne ad adottare elaborate acconciature tipiche in età imperiale, quando la difficile arte della pettinatura era affidata a schiave specializzate.

Questo segue molto bene le finalità dell’argomentazione di Paolo ed è indubbiamente qualcosa che i corinzi potevano giudicare facilmente. Se diciamo che Dio esplicitamente comandi l’uso del copricapo in questo brano indipendentemente dalla cultura dei Corinzi, allora non vi sarebbe stato nulla che essi avrebbero potuto giudicare da sé stessi e questo renderebbe irrilevante la domanda di Paolo. Questo non siamo disposti ad affermarlo.

Le motivazioni di un’esigenza culturale

All’ORDINANZA CREAZIONALE che “la donna è la gloria dell’uomo” (11:7), l’Apostolo fa seguire in “Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità” (11:10) delle applicazioni culturali. Ci chiediamo se quel “perciò” che inizia la frase si riferisca all’ORDINANZA CREAZIONALE menzionata al v. 7 (vale a dire che la donna sia la gloria dell’uomo” in 11:7 ed alle prove bibliche di questo a cui si allude nel racconto della creazione in 11:8-9), oppure quel “perciò” che introduce questa frase si riferisca a quanto segue alla fine di 11:10, vale a dire “a causa degli angeli”? In altre parole, Paolo sta insegnando che la ragione per la quale la donna deve avere sul capo un “segno di autorità” è perché essa è “la gloria dell’uomo” OPPURE “a causa degli angeli”? Non è necessario fare questa decisione esegetica perché che la donna debba avere sul capo un “segno di autorità” è perché essa è SIA “la gloria dell’uomo”, che “a causa degli angeli”.

La gloria dell’uomo

La prima causa e ragione per cui la donna doveva portare su capo “un segno di autorità” è perché lei è “la gloria dell’uomo” (11:7) manifestando essa (attraverso la sottomissione) il primato dell’uomo.

Ancora una volta Paolo usa al riguardo della donna il verbo “deve”, parallelo al “non deve” dell’uomo in 11:7 di avere il capo scoperto. Si tratta di un “dovere” simile a quanto Gesù dice a proposito del segno della lavanda dei piedi (“Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” Giovanni 13:14). In quel caso Gesù non implica che il letterale “lavare i piedi gli uni degli altri” sia un dovere morale universale che vincoli tutti i cristiani di ogni tempo e paese, ma che in quel contesto sia da praticarsi perché significativo. Poi, evidentemente, esso deveva corrispondere ad una vita intera vissuta in quella prospettiva. Il concetto va manifestato sia simbolicamente (come “messaggio visivo” che varia da cultura a cultura) che nella vita concreta. La forma che poi assume il “messaggio visivo” può essere diversa a seconda delle circostanze: l’ìimportante è che sia accompagnato dalla pratica di quel significato. Cosi qui, il fatto che la donna “debba” portare sul capo un velo è prima di tutto un DOVERE CULTURALE relativo a quel contesto, affinché la chiesa di Corinto eviti vergogna, confusione di generi e ruoli, come pure scismi ecclesiastici. Questo dovere, poi, si dovrà manifestare nella vita intera, come DOVERE MORALE.

Che cos’era questo “un segno di autorità”? Nel contesto di Corinto, le stesse donne che, come si usava allora, portavano comunemente sul capo un copricapo, al culto se lo toglievano! Al culto pensavano forse di essere nel privato di casa propria? Al culto (un contesto pure pubblico) credevano forse che fossero sospesi i ruoli sociali? Che cosa avrebbero pensato della cosa gli altri? Forse che generi e ruoli nella chiesa pure erano aboliti? No, una legittima e giusta autorità, generi, ruoli e distinzioni in chiesa rimane, anche se spiritualmente “non c’è né maschio né femmina” (Galati 3:28). Il “segno di autorità” era la convenzione sociale di allora delle donne di portare un velo sul capo. “Non stava bene”, non era appropriato toglierselo, come se, per assurdo, oggi le donne, in chiesa, stessero in maglietta e mutandine, seminude, dicendo magari di “mettersi in libertà”, di “sentirsi più a loro agio” così. “Prendersi queste libertà” non è appropriato, come non era appropriato per loro allora togliersi il velo in pubblico, cosa che, fra l’altro, facevano le prostitute! Il “segno di autorità” che dovevano portare era qualcosa che segnalasse la loro legittima posizione di donne “oneste” nell’ambito della società.

Paolo, così, afferma per la donna cristiana che esiste un “dovere” sociale e culturale da onorare e manifestare anche esteriormente. La donna doveva manifestare essere “la gloria dell’uomo”, non qualcuno di cui gli uomini abbiano vergogna vergogna perché si comporta in modo improprio.

A causa degli angeli

Il secondo motivo per il quale la donna cristiana nell’ambito della chiesa di Corinto doveva avere “un segno di autorità” è “a causa degli angeli” (v. 10).

Questa motivazione, sebbene non compaia come una distinta argomentazione, viene spesso usata dai sostenitori della presunta universalità di questa prescrizione come loro pezza d’appoggio. Certo, l’Apostolo menziona gli angeli come un’ulteriore ragione per la quale le donne cristiane di Corinto dovevano coprirsi il capo durante il culto pubblico di Dio. Questo, però, non implica né prova in alcun modo che le donne cristiane delle chiese di ogni tempo e paese, senza eccezione, debbano coprirsi il capo durante il culto pubblico di Dio.

Per “angeli” certo qui ci si riferisce agli angeli eletti di Dio “spiriti al servizio di Dio, mandati a servire in favore di quelli che devono ereditare la salvezza” (Ebrei 1:14), quegli stessi che, come presuppone Gesù stesso, si prendono cura particolarmente dei piccoli, “gli angeli loro nei cieli” (Matteo 18:10). Gli angeli assistono allo svolgersi del piano di salvezza rallegrandosi di ogni suo successo e rattristandosi quando la volontà di Dio viene trascurata o disattesa fra lo stesso popolo di Dio. Possiamo immaginare quanto siano rattristati nel vedere, nella stessa chiesa, errori, confusione, contese e divisioni ingiustificabili, soprattutto quando avvengono nel culto di Dio, dove si suppone che i credenti entrino in una particolare comunione con Dio.

Nel caso particolare inteso dall’apostolo, gli angeli non si rattristavano del fatto in sé stesso che le donne non avessero il capo coperto, ma del significato che davano a quel gesto. In quella cultura, la copertura del capo delle donne, culturalmente rilevante, era segno di riconoscimento del loro ruolo particolare e della loro legittima sottomissione; rifiutare quel segno equivaleva a null’altro che manifestare la loro ribellione ed indisponibilità ad occupare il posto che Dio aveva loro assegnato. Da qui la tristezza degli angeli: essi erano rattristati dall’atteggiamento ribelle delle donne agli ordinamenti di Dio, non della mancanza in sé stessa del velo sul loro capo, ma perché così facendo, quelle donne manifestavano colpevole ribellione. Gli angeli assistono anche oggi al nostro culto e sono rattristati quando noi disattendiamo a ciò che Dio si aspetta da noi moralmente e spiritualmente, con o senza velo o cappello sulla testa!

Come manifestiamo oggi la nostra ubbidienza o ribellione agli ordinamenti di Dio? Quali sono i segni che manifestano la nostra fedeltà o infedeltà? Non hanno molto probabilmente a che fare con ciò che portiamo o non portiamo sul capo! Il segno esteriore è sempre relativo. Molto probabilmente oggi segno significativo della nostra fedeltà a Dio è essere regolarmente e attivamente presenti al culto comunitario. Una sedia lasciata vuota perché invece che essere al culto noi siamo altrove, questa si che rattrista gli angeli (e Dio prima di tutto) indipendentemente da quello che portiamo o non portiamo sul capo. Premesso che il segno in sé stesso è sempre relativo, perché ce l’hanno anche gli ipocriti, in che modo le donne e gli uomini manifestano oggi autenticamente di essere donne e uomini di Dio? In che modo manifestano la confusione dei generi e delle rispettive responsabilità? In che modo ci comportiamo oggi “in modo vergognoso” per la stessa società in cui viviamo? Questo è il punto, non il copricapo, legato alle usanze di una particolare cultura. Le donne dovevano rispettare anche in chiesa la distinzione di generi e di ruoli manifestandola esteriormente con le convenzioni sociali comunemente accettate.

Interessante come qui purte Paolo, con l’espressione che segue, voglia pure moderare l’impressione che potrebbe dare essendo a questo riguardo troppo rigoroso, o “bacchettone”! E’ vero, fra donne e uomini vi sono differenze di ruoli e di responsabilità che vanno rispettate e espressamente manifestate. Bisogna però tener conto che sicuramente fra uomo e donna vi è integrazione: la donna viene dall’uomo, ma anche l’uomo nasce dalla donna, e quindi neppure “esageriamo” con queste cose cadendo nell’errore opposto della discriminazione! Così come la donna non è indipendente dall’uomo ma legata a lui dai parametri creazionali, l’’uomo non è indipendente dalla donna. “D'altronde, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo senza la donna” (11:11). Uomini e donne sono dipendenti l’uno dall’altra: “Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch'esse sono eredi con voi della grazia della vita” (1 Pietro 3:7). Così Paolo pure conclude: “Infatti, come la donna viene dall'uomo, così anche l'uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio” (11:12).

Documenti confessionali

La Confessione augustana (1630)

Le prime confessioni di fede della Riforma dichiarano che la questione del copricapo nel culto pubblico non sia questione che possa vincolare la coscienza del credente né che se violata possa costituire un peccato.

La Confessione augustana afferma: «Delle usanze nella Chiesa insegnano che debbano venire osservate quelle che lo possono senza [commettere] peccato, e che sono profittevoli per la tranquillità e il buon ordine nella Chiesa, come in particolare sono i giorni festivi, le festività [maggiori] e così via. Ciononostante, a proposito di tali cose gli uomini vengono ammoniti a che le coscienze non siano affaticate come se tale osservanza fosse necessaria alla salvezza. Vengono anche ammoniti sul fatto che le tradizioni umane istituite per compiacere Dio, per ottenere [la sua] grazia e per dare soddisfazione dei peccati [cioè per cancellare o attenuare le conseguenze spirituali e sociali di un peccato commesso, NdT] sono contrarie al Vangelo ed alla dottrina della fede. Pertanto voti e tradizioni riguardanti le carni, i giorni [in cui astenersi o fare penitenza, NdT], eccetera istituiti per meritare grazia e per dare soddisfazione di peccati sono inutili e contrarie al Vangelo».

Questa confessione era ampiamente sottoscritta all'epoca della Prima riforma. di fatto, una versione susseguente di questa Confessione (riveduta da Filippo Melantone, ma non riveduta su questo punto) fu sottoscritta da Giovanni Calvino a Ratisbona nel 1545. Se, come afferma questa confessione ("nessuno direbbe che una donna pecchi se andasse in pubblico a capo scoperto, basta che non sia di scandalo per gli uomini), allora ci chiediamo: Quale comprensione contestuale avevano questi fratelli e sorelle in fede al riguardo di 1 Corinzi 11? Chiaramente, in una cultura dove gli uomini ordinariamente non si scandalizzano se vedono una donna andare in giro fuori con la testa scoperta, come la nostra stessa cultura, questa confessione di fede afferma non esservi peccato.

La Confessione di fede di Westminster (1646)

La Confessione di fede di Westminster, al punto 1.6 afferma: “L'intero consiglio di Dio riguardo a tutte le cose necessarie alla sua propria gloria, la salvezza umana, la fede e la vita, può o venire esplici­tamente espresso dal testo biblico, o venire dedotto come conseguenza buona e necessaria del testo stesso. Ad esso nulla mai potrà essere aggiunto, sia per nuove rivelazioni dello Spirito o per tradizio­ne umana. Ciononos­tante, per la comprensione salvifica di ciò che è rivelato nella Scrittu­ra, riconosciamo necessaria l'illumina­zione interiore dello Spirito di Dio. Ciononostante rimangono questioni concernenti il culto che deve essere reso a Dio o il governo della Chiesa, comuni alle azioni umane ed alla società, che possono essere regolate alla luce della natura e della cristiana discrezione, secondo i principi generali della Parola, i quali devono sempre essere osservati”.

Quando nella seconda parte di questo articolo, la Confessione di fede parla di questioni circostanziali che devono essere regolate “alla luce della natura e della cristiana discrezione”, come testo di sostegno essa cita prima: “Giudicate voi stessi: è decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto? Non vi insegna la stessa natura che se l'uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore?" (1 Co. 11:13-14) e poi, al riguardo dei “principi generali della Parola, i quali devono sempre essere osservati” cita: "Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un'interpretazione, si faccia ogni cosa per l'edificazione ... ma ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine" (14:26,40).

Essa mette in rilievo, quindi, come la questione del copricapo sia espressamente una questione circostanziale non vincolante. Tant’è vero che persino le “Istruzioni sul culto pubblico dei Canoni di Westminster”, che specificano che cosa Dio nella Sua Parola richieda alla Sua chiesa nel culto che Gli è dovuto, per quanto dettagliate siano, nemmeno citano la questione del copricapo in 1 Corinzi, non ritenendola quindi vincolante per la chiesa di ogni tempo e paese.

Conclusione

Siamo perciò giunti alla conclusione, fondati su argomenti scritturali e in accordo con i migliori teologi dei tempi più puri della chiesa, che 1 Corinzi 11:2-16 debba essere interpretato nell’ambito di un contesto culturale. Noi crediamo che Paolo non stia comandando alla chiesa di ogni tempo e paese, di seguire le specifiche pratiche di copertura del capo prescritte per la chiesa di Corinto.

Affermiamo, però, che i principi insegnati in quel brano siano molto illuminanti di come noi si debba condurci con decenza ed ordine nei contesti culturali più diversi. Noi affermiamo inoltre, come Paolo, che in quei paesi dove il copricapo è segno culturale di autorità o di sottomissione, che il modo ordinato di procedere sia seguire le norme di quel paese, basta che tali usanze non siano in opposizione alle regole generali della Parola di Dio. In un luogo o tempo dove il copricapo non è in sé stesso segno alcuno di sottomissione o di autorità, noi affermiamo che non si debba portare un copricapo come segno di autorità o di sottomissione, e quindi causare confusione o scandalo per la chiesa. Se un uomo o una donna non attribuisce alcun significativo segno di autorità o sottomissione al copricapo, e semplicemente vuole portarlo in chiesa, crediamo che sia libero di poterlo fare. In questo modo, come cristiani, possiamo far uso della nostra libertà per promuovere unità e pace nel corpo di Cristo e allontanare dalla chiesa occasioni non necessarie di contesa.

Imporre una pratica che, per quanto rispondente ad un'antica tradizione, ha, come abbiamo dimostrato, la valenza di un comandamento che aveva un senso esclusivamente nella cultura in cui viveva allora la comunità cristiana di Corinto, equivarrebbe oggi a fare un'indebita violenza ai credenti. La Confessione di Fede di Westminster afferma: "Dio solo è Signore sulla coscienza e l'ha liberata da tutte le dottrine ed i comandamenti umani in qualche modo contrari alla sua Parola, o collaterali ad essa per quanto riguarda la fede o il culto. Perciò credere a tali dottrine o obbedire a tali comandamenti per motivi di coscienza significa tradire la vera libertà di coscienza. Esigere una fede implicita o un obbedienza assoluta e cieca, significa annientare la libertà di coscienza ed anche la ragione" CFW 20:2.

Inoltre: “...perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo … Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Romani 14:17-19).

Note

  • (1) Ad esempio, "Fate questo in memoria di me" (Luca 22:19).
  • (2) Ad esempio, il cambiamento operato, per il giorno del culto pubblico, dal settimo al primo giorno della settimana.
  • (3) "Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute" (1 Timoteo 2:8).

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