Il principio regolatore del culto

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Il principio che definisce e regola il Cristianesimo riformato è che la nostra fede e la nostra condotta deve essere in armonia con l'insegnamento delle Sacre Scritture, che noi confessiamo essere autorevole Parola di Dio. Esse sono il documento fondamentale rispetto al quale va costantemente verificata e conformata ogni espressione della nostra vita, sia a livello individuale che come popolo di Dio nel suo insieme.

Riconciliati con Dio tramite l'opera salvifica di Gesù Cristo, noi stabiliamo un rapporto vivente con Lui che trova nel culto personale e comunitario la sua espressione di base. Nemmeno il modo con il quale ci rapportiamo a Dio nel culto non è lasciato, però, al nostro arbitrio o "spontaneità", ma è sovranamente regolato da Dio stesso nella Sua Parola. Noi non siamo liberi di rendere culto a Dio nel modo che ci sembra più opportuno, giusto o conveniente, né il nostro culto può semplicemente ricalcare le nostre tradizioni religiose o culturali. Così come le Sacre Scritture, in quanto cristiani, sono la regola del contenuto della nostra fede e della nostra condotta morale, così esse devono essere la regola della nostra prassi cultuale.

Al riguardo del culto che Gli è dovuto, Dio dice: "Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai" (Deuteronomio 12:32). Il culto di Dio è cosa tanto seria che Dio soltanto ne pone le regole. A nessuno è consentito aggiungere o togliere da ciò che Dio ha prescritto. Non è consentito alla chiesa di introdurre "innovazioni" oppure creare nuovi stili, forme o ordinanze del culto, ma semplicemente vedere ciò che Dio ha dichiarato nella Sua Parola ed ubbidirvi. Essa non ha potere discrezionale, ma solo ministeriale e dichiarativo.

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La regola del culto

Questo è ciò che chiamiamo "il principio regolatore del culto": tutto ciò che sia il singolo credente e che la comunità cristiana fa durante il culto deve essere autorizzato e comprovato dall'insegnamento della Bibbia. Questo può essere appreso o da un comando esplicito (n1), oppure può esserne dedotto in modo naturale dal complesso delle Sacre Scritture. Anche quando, cioè, non vi sia al riguardo un esplicito comando, noi ne ricaviamo l'insegnamento autorevole attraverso un esempio storico ivi contenuto (n2), oppure, tramite il confronto fra diversi brani, noi troviamo come essi insegnino o presuppongano una certa pratica che così consideriamo normativa.

Per il Cristianesimo riformato, quindi, sono le Sacre Scritture a prescrivere l'intero contenuto del culto, vale a dire, tutti gli elementi o parti del culto devono essere prescritti da Dio stesso nella Sua Parola. Regolando ogni aspetto del culto, Dio stesso ci protegge, così, dai pericoli, sempre in agguato, dell'idolatria (spesso al di là della nostra ingenua consapevolezza), e garantisce la nostra libertà da tradizioni umane e da manipolazioni di qualsiasi natura.

Questo principio ha uguale applicazione sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, ed è universale nel fatto di regolare ogni tipo di culto, sia pubblico, privato o di famiglia.

La distinzione fra ordinanze e circostanze

Quando il principio regolatore del culto afferma che l'intero contenuto del culto, vale a dire, tutti gli elementi o parti del culto devono essere prescritti da Dio stesso nella Sua Parola, esso opera una distinzione fra ordinanze (prescritte) e circostanze (non prescritte).

Le circostanze del culto non si riferiscono al suo contenuto, ma alle condizioni, situazioni o contesto sociale, storico e culturale in cui esso avviene. Sono variabili, contestuali e quindi non normative. Dobbiamo saperle distinguere quando dobbiamo stabilire ciò che sia da considerarsi normativo e ciò che sia da considerarsi circostanziale, assoluto e relativo.

Le ordinanze normative del culto includono:

  • la lettura e predicazione della Parola di Dio,
  • la preghiera rivolta a Dio,
  • il canto della Parola di Dio, in particolare dei Salmi,
  • la celebrazione dei sacramenti,
  • la raccolta delle offerte.

Il culto deve avere questi elementi e da esso si deve escludere tutto ciò che non sia espressamente comandato, deducibile o esemplificato nell'insegnamento dell'intera Bibbia interpretata secondo i parametri del Nuovo Testamento.

Le circostanze del culto sono diverse. Se, ad esempio, il culto si debba svolgere all'aria aperta o in un edificio, e in quale tipo di edificio è una questione circostanziale. Se i fedeli si debbano sedere su sedie, banchi, davanti al predicatore o a circolo è una questione circostanziale. Secondo il principio regolatore del culto, esso deve avvenire nel giorno del Signore, ma non dice a che ora debba svolgerci o quanto a lungo debba durare il tutto o le sue parti. Questo dipende dalle opportunità, dal senso comune, da varie considerazioni che comunque devono rispettare i principi generali della Scrittura. Allo stesso modo quale posizione debbano assumere i fedeli nella preghiera, se in ginocchio, in piedi, con le mani giunte o elevate verso il cielo, è una questione circostanziale legata alla cultura e non normativa. A questo riguardo, benché nella Bibbia, ad esempio, si faccia riferimento alla preghiera "con le mani alzate" (n3) al cielo, benché nel contesto di un espresso comando apostolico, la cosa non è "obbligatoria", ma può essere fatta o non fatta a discrezione del credente considerando se la cosa sia o non sia opportuna secondo i principi generali della Parola di Dio. Allo stesso modo è circostanziale il "come vestirsi" quando si partecipa al culto, se, ad esempio, con "gli abiti della festa" oppure quelli di tutti i giorni. In questo caso il credente può voler portare gli abiti migliori per onorare Dio o per sottolineare l'importanza dell'avvenimento, ma la cosa non è normativa. In questa prospettiva è pure da considerarsi circostanziale e relativa al contesto culturale del tempo la discussa questione se al culto l'uomo debba avere il capo scoperto, e la donna coperto da un velo.

Note

  • (1) Ad esempio, "Fate questo in memoria di me" (Luca 22:19).
  • (2) Ad esempio, il cambiamento operato, per il giorno del culto pubblico, dal settimo al primo giorno della settimana.
  • (3) "Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute" (1 Timoteo 2:8).

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