Catgin 1-7

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La restituzione alla salvezza e alla vita

Se questa conoscenza di noi stessi che ci mostra la nostra nullità è entrata scientemente nei nostri cuori, ci e’ anche abbastanza facile acquistare per mezzo d’essa una vera conoscenza di Dio. 0 piuttosto Egli stesso ci ha aperto come una prima porta nel suo regno quando ha distrutto queste due terribili pesti, cioè la sicurezza di fronte alla sua vendetta e la falsa fiducia in noi stessi.

Infatti noi cominciamo allora a elevare al cielo gli occhi, che prima avevamo fissati e fermati sulla terra. E noi che già posavamo in noi stessi, aneliamo al Signore. Come pure d’altro lato questo Padre misericordioso, sebbene la nostra iniquità meriti ben altra cosa, pure secondo la sua benignità inenarrabile si mostra volontariamente a noi che siamo così afflitti e perplessi e con i mezzi ch’egli sa essere utili alla nostra debolezza, ci richiama dall’errore sulla via diritta, dalla morte alla vita, dalla rovina alla salvezza, dal regno del diavolo al suo Regno.

Poiché dunque il Signore ha stabilito questo primo gradino per tutti quelli ch’egli vuole ristabilire eredi della vita celeste cioè che, nauseati dalla coscienza e aggravati dal peso dei loro peccati, si sentano compunti nel cuore e stimolati ad avere timore di Lui Egli ci pone dinanzi al principio la Sua legge, affinché essa ci eserciti in questa conoscenza.

La domanda alla quale vuole rispondere questo primo capitolo è questa: «Può l’uomo conoscere Dio all’infuori della rivelazione biblica?». Per es., mediante il sentimento religioso in lui innato o la contemplazione della natura o la voce della coscienza? La risposta è: «L’uomo lo potrebbe se non fosse peccatore, se Adamo non fosse caduto.

Ma la realtà è che a causa del peccato questa possibilità non si effettua. Ed ecco che gli uomini "adorano i sogni e le fantasie dei loro cuore anziché Dio" e nonostante la molteplice testimonianza che le creature rendono al Signore noi non lo riconosciamo come dovremmo, perché è "cieca la nostra natura decaduta per una sì gran luce".

Mentre la "volontà malvagia e piena di affetti corrotti non odia nulla di più che la giustizia di Lui"».

Ora siccome questa possibilità di conoscerlo c’è, perché egli non sì è lasciato senza testimonianza, la nostra ignoranza diventa colpa e indurimento dei nostro cuore. Infatti non è che manchi la luce, ma sono gli occhi della nostra natura peccaminosa che non vedono. «Tutte le cose ci mostrano la retta via», ma noi non la percorriamo. E tutte le testimonianze di Dio nella natura, nella storia, nell’uomo divengono per noi altrettanti pretesti per ignorarlo e bestemmiarlo.

Osservando per es. le qualità che sono in noi, non siamo già portati a esaltare il Creatore, che ce le ha donate, ma piuttosto a considerarle come nostro possesso e a innalzare e glorificare noi stessi. Ammirando le bellezze delle creature dell’universo non sappiamo elevarci all’adorazione dì Colui che dal nulla le ha chiamate all’esistenza, ma soddisfatti ci fermiamo piuttosto alla contemplazione d’esse.

La nostra tendenza peccaminosa è in questi casi sempre quella di divinizzare l’uomo e le altre creature, anziché riconoscere in esse la mano del Creatore e dare gloria a Lui soltanto.

Ma anche quando da queste testimonianze di Dio nella natura e nella storia cerchiamo mediante la nostra ragione o mediante il nostro senso religioso di giungere ad una certa conoscenza di Dio, in realtà non ci riusciamo. Infatti l’immagine di Lui che ci formiamo nella nostra mente, come pure l’Iddio che i popoli pagani credono di aver trovato con la loro religione, non è l’Iddio vivente, ma soltanto un idolo, fatto di pietra o immaginato col pensiero, ma sempre e soltanto un idolo. E tale rimane anche se da noi viene adornato con gli attributi più sublimi e viene chiamato l’unico Iddio.

Ma ancora; se pure giungessimo in qualche modo alla vera conoscenza del Creatore, ciò non ci sarebbe sufficiente, né salutare, perché noi siamo peccatori e di conseguenza suoi nemici. Qui bisogna anche sapere quali sono le sue disposizioni verso di noi, se ci vuole percuotere e distruggere nella sua ira o se invece è propenso al perdono e alla grazia.

Ma questa conoscenza possiamo averla solo mediante la sua rivelazione particolare, di cui testimoniano i profeti e gli apostoli nella Bibbia. Dobbiamo venire alla Parola, dice Calvino, cioè alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo.

Solo qui c’è data la conoscenza dell’Iddio vivente e del suo animo verso di noi, perché nel Figlio c’è rivelato il Padre, nel Redentore il nostro Creatore. Poiché, come s’è visto, «in questa rovina del genere umano nessuno può sentire Dio, né come padre, né come autore della salvezza, né in alcun modo favorevole finché non venga Cristo come mediatore per rappacificarlo con noi» Ist. 1559 1, 2, 1).

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